Il western è da sempre considerato il genere cinematografico per eccellenza: può contenere avventura, azione, dramma, commedia, romanticismo e persino orrore. È la definizione stessa di cinema, anche perché fu uno dei primi soggetti cinematografici a essere trattati: la nascita della settima arte coincise infatti con la fine del mito della frontiera. Non a caso André Bazin lo definiva “il cinema americano per eccellenza”.
Western: la nascita insieme alla storia del cinema
Quando il cinema nacque nel 1895, il mito della frontiera era ormai in declino, ma ancora vivo nell’immaginario collettivo. Nel 1898 venne realizzato Cripple Creek Bar Room, un corto di appena un minuto e privo di trama, interamente ambientato in un saloon. Basti ricordare che Wyatt Earp, dopo essere stato uno degli sceriffi più temuti del West, trascorse gli ultimi anni della sua vita come consulente per sceneggiature cinematografiche (come raccontato nel film Intrigo a Hollywood di Blake Edwards).
Tra le prime opere che segnarono il genere va ricordato La grande rapina al treno, diretto da Edwin S. Porter e uscito nel 1903, uno dei primi film a rompere la quarta parete. L’opera portava sullo schermo il fascino della frontiera: grandi orizzonti, territori ancora da scoprire, avventura, mistero e il romanticismo della “cavalleria della prateria”.

Sentieri Selvaggi: il film simbolo del cinema Fordiano.
La consacrazione con Ford e Wayne
Il genere divenne presto estremamente popolare: tra il 1925 e il 1939 uscirono ben 480 lungometraggi western. Ma è negli anni ’40, con l’arrivo di autori come John Ford e attori come John Wayne, James Stewart e Gary Cooper, che il western raggiunse il suo apice. In particolare Ford e Wayne divennero i pilastri del genere, grazie a opere entrate nell’immaginario collettivo come Ombre rosse (1939), Sentieri selvaggi (1956) e L’uomo che uccise Liberty Valance (1962). Questi tre film rappresentano la summa della poetica fordiana: indagano l’anima del West, ma anche la storia e l’identità americana.

Il mucchio selvaggio: il film che radicalizzo il genere.
Il cambiamento radicale degli anni ’60 e ’70
Con il tempo il western continuò la sua evoluzione, sostenuto dai molti autori e interpreti che lo alimentavano. Tuttavia, tra gli anni ’60 e ’70 iniziò una fase discendente, con pellicole che cominciarono a sovvertire i codici classici del genere. Fu l’epoca degli spaghetti western, inaugurati dalla trilogia del dollaro e dalla trilogia del tempo di Sergio Leone, e del cinema crepuscolare di Sam Peckinpah e Sidney Pollack, con opere come Il mucchio selvaggio e Corvo rosso non avrai il mio scalpo (1972).
Si trattava di film che riflettevano un’America in trasformazione: un Paese che si ribellava al suo sistema conservatore, che iniziava a mettere in discussione il revisionismo storico del passato, trovando analogie con la guerra del Vietnam e affrontando con maggiore trasparenza il massacro dei nativi americani. Era una visione rivisitata del western: l’eroe non trionfava più e lasciava spazio all’antieroe; la violenza, anche esplicita, dominava la scena e il mondo appariva segnato da un profondo nichilismo.
Il genere mutò ancora, modernizzandosi, soprattutto grazie a un personaggio: l’ispettore Callaghan. Il primo film e i successivi riprendevano la figura del pistolero senza nome, trasportandola in un contesto urbano: il protagonista diveniva un tutore della legge anti sistema, impegnato a combattere i criminali con gli stessi metodi degli sceriffi del West, ma immerso nell’asfalto delle metropoli.

Gli Spietati: l’esempio perfetto del western crepuscolare.
Gli anni ’80 e ’90: il declino e la rinascita
Negli anni ’80 il western subì un ulteriore declino: gli studios cominciarono a produrne sempre meno, preferendo il cinema d’azione muscolare con protagonisti come Sylvester Stallone. Al di fuori di registi del calibro di Walter Hill e Clint Eastwood, il genere cessò di essere al centro dell’interesse del pubblico.
Negli anni ’90 si assistette a una ripresa, proprio a cent’anni dal primo film western realizzato e alla fine del millennio. Con Gli spietati, Clint Eastwood decostruì il western classico, raccontando un mondo di uomini che tentano di sfuggire alle proprie colpe. Film come Balla coi lupi (1990), L’ultimo dei Mohicani (1992) e Geronimo (1993) riportarono l’attenzione sulle conseguenze della conquista del West e sul genocidio dei nativi americani.
Da quel momento il genere riprese piede: con meno produzioni rispetto agli albori, ma con opere di grande rilievo, a tal punto da rappresentare il fascino della frontiera oggi ancora vivo nel pubblico.

Non è un paese per vecchi: il western anni 2000 per eccellenza.
Western: gli anni 2000
Negli anni 2000 il western cambiò forma, pur rimanendo fedele a sé stesso: nuove opere mostrarono come romanticismo e crudezza del mito del West facessero ancora parte della società americana contemporanea. Ottimi esempi sono Non è un paese per vecchi (2007) dei fratelli Coen e Crazy Heart, Out of the Furnace di Scott Cooper, che raccontavano storie di violenza e sprazzi di umanità in un contesto completamente moderno. Non dimentichiamoci l’approccio autoriale e pulp di Quentin Tarantino con i suoi omaggi Django Unchained (2012) e The Hateful Eight (2015), opere che contribuirono a rinnovare il genere, restituendo una forte critica all’America razzista, soprattutto dopo anni segnati da episodi di violenza della polizia.
Il western moderno trovò così nuova forza, in particolare nella sua componente politica, diventando specchio dell’America contemporanea e dei suoi problemi sociali.

Hell or High Water: uno dei progetti che ha consacrato Taylor Sheridan.
Taylor Sheridan: il nuovo “John Ford” della frontiera
Se c’è un autore che più di tutti ha riportato il western in auge negli ultimi anni, ridandogli linfa e interesse, è sicuramente Taylor Sheridan.
Dopo anni di gavetta come attore, il suo talento cominciò a emergere grazie a tre opere uscite a un anno di distanza l’una dall’altra: Sicario (2015), Hell or High Water (2016) e Wind River (2017)
Tutte scritte da lui (l’ultima anche diretta), formano la sua personale Trilogia della Frontiera, una reinvenzione moderna del western. Con tre storie differenti Sheridan racconta le problematiche contemporanee degli Stati Uniti: la crisi della frontiera messicana e del traffico illegale, il malessere sociale della popolazione, le difficoltà delle riserve indiane e gli omicidi che avvengono al loro interno. Sono opere che hanno lasciato il segno tra pubblico e critica, richiamando lo stile del grande cinema della New Hollywood e consacrando Sheridan tra i nuovi autori di punta del cinema americano.

Yellowstone: il western odierno
Il fenomeno di Yellowstone
Successivamente l’autore si è spostato verso la televisione, lavorando sotto l’ala di Paramount e creando un vero fenomeno: Yellowstone, dal successo straordinario, frutto della sua scrittura, sugli intrighi della famiglia Dutton e caratterizzato da un cast di altissimo livello. Da esso sono nati i prequel 1883 e 1923, oltre agli spin-off Landman, Tulsa King, Lioness e Mayor of Kingstown, tutti accolti con grande entusiasmo.
Queste opere hanno dato vita a un universo narrativo unico, il cosiddetto Taylorverse: Sheridan racconta un mondo in trasformazione, dove i personaggi conservano la propria umanità, ma devono confrontarsi con nuovi nemici. Non più banditi o Comanche, ma uomini di potere, imperi economici e un capitalismo sempre più aggressivo.
I protagonisti del Taylorverse sono antieroi, fuorilegge o uomini comuni, immersi in un mondo moderno che ha cambiato abito ma non natura: una terra ancora maledetta.
Il western moderno: cosa cambia da quello classico?
In seguito alla disamina storica del genere appena conclusa, ci si potrebbe domandare cosa cambia tra il western classico e quello moderno?
A conti fatti, ben poco: cambia il periodo storico, ma non il nucleo tematico. Il mito della frontiera, la fine di una conquista, il tramonto di un mondo che non c’è più.
In fondo, siamo tutti un po’ cowboys che osservano il mondo cambiare troppo velocemente. Gli anni passano, le nuove generazioni si allontanano da ciò con cui siamo cresciuti, e le terre libere e selvagge lasciano spazio a cemento e asfalto.
Il western non è mai scomparso: fa parte della nostra esistenza. È un ciclo che ritorna, muta, si rinnova, ma continua a raccontare chi siamo.
Tutti noi ammiriamo la fine del nostro passato, cercando inutilmente di riprendercelo, domandandoci cosa ci riserverà questo presente selvaggio e senza regole.