Di Clint Eastwood, che il 31 maggio festeggia il suo compleanno, è stato già detto molto e si rischia la retorica parlando della sua fortuna di ‘attore quasi per caso’ negli anni Cinquanta, protagonista di film di intrattenimento negli anni Sessanta e Settanta, dei suoi successivi ruoli in film autoriali e dei primi premi importanti vinti negli anni Ottanta e Novanta, così come della sua inizialmente stentata e successivamente magnifica, carriera di regista, tanto più interessante e lodevole perché maturata nel tempo e sbocciata tardivamente, dai primi anni Duemila fino ad oggi, con film ormai cult della storia del cinema.
Forse un aspetto meno esplorato dello stile inconfondibile e delle storie profondamente americane ma contestualmente universali che #DirtyClint ha raccontato nei suoi film più importanti, è lo sguardo psicologico che, da regista, pone su alcuni personaggi, in particolare i giovani, ragazze o ragazze, bambini o ragazzini che vede come soggetti in evoluzione e pertanto, pur con pessimismo da adulto e spesso evidenziando il male e la durezza con cui la vita li ha colpiti, lascia intuire i motivi delle loro azioni, i sogni infranti, le sofferenze inflitte, le possibilità di redenzione o i danni irrimediabili causati dal mondo adulto.
Già tutto questo è evidente in Mystic River (2003), dove la vita e le vicende drammatiche dei tre protagonisti (interpretati da Sean Penn, Kevin Bacon e Tim Robbins) sono segnate per sempre dal rapimento e dagli abusi inflitti ad uno di loro da un pedofilo quando erano tre ragazzini e giocavano per strada: Sean, Jimmy e Dave, pur avendo preso strade diverse, sono tre vittime della miseria e della violenza, di un mondo spietato a cui ciascuno ha reagito come ha potuto, cercando di proteggersi da quel dolore: nel commento finale infatti, Sean e Jimmy commentano che, in qualche modo, nella macchina del pedofilo non è salito solo il loro amico, tanti anni prima, ma anche loro.
Gioventù rubata
Altro esempio lampante dell’intenso sguardo ‘amorevole’ di Clint verso la gioventù e le sue energie, sempre privo di sbavature, è quello con cui si china a raccontare la tragica storia della determinata e dolce protagonista di Million Dollar Baby (2005), interpretata dalla premiatissima Hilary Swank: qui l’attenzione del regista per un ardente desiderio giovanile prima, per il suo trasformarsi in realtà e poi per l’infrangersi del sogno, raggiungono una grandezza da Oscar quando Eastwood ha già compiuto 74 anni, con 4 statuette portate a casa (miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista e miglior attore non protagonista).
Nel film Gran Torino (2008), il lento e progressivo cambiamento dell’indurito reduce della guerra di Corea, Walt Kowalski, verso i suoi vicini asiatici avviene anche grazie al difficile ma fatale incontro con il giovane Thao e sua sorella Sue, ai quali il vedovo capisce di volere e potere dare una chance, sottraendoli alla strada e alle gang locali, anche a costo della sua stessa vita.
Ancora in Il Corriere – The Mule (2018), sintomatico dell’approccio psicologico del regista, pur ricercato mediante un dialogo schietto ed ironico, è lo scambio fra l’ottantenne Earl Stone divenuto corriere per i debiti contratti ed un giovane membro della banda dei trafficanti, dove il primo chiede al secondo perché abbia deciso di fare quella vita e si sente rispondere che la banda è la sua famiglia, l’unica che l’abbia voluto e gli abbia dato sostentamento e protezione: di certo un messaggio sociale, forse non originalissimo, ma chiaro, conciso e realistico.
Tanti altri potrebbero essere gli esempi, anche andando a ritroso nella cinematografia di Eastwood, basti pensare a Un mondo perfetto (1993), in cui Butch Haynes il protagonista evaso di prigione per ritrovare il padre, e che prende in ostaggio un bambino, aveva avuto una pessima infanzia ed era stato incastrato e sbattuto in galera da minorenne pur avendo commesso un reato molto lieve, o a Changeling (2008), dove verrà scoperchiato, da una madre tenace e disperata, un vaso di Pandora pieno di orrori inferti ai danni di bambini.
Dunque non solo un duro dal cuore tenero, DirtyClint, ma anche un regista, e un uomo, capace di non soggiacere facilmente agli stereotipi sui giovani e sulle loro indifferenze o manchevolezze ma intento a comprenderne e accettarne ed accoglierne le frustrazioni, le debolezze, i traumi ed i vissuti personali, mantenendo sempre uno sguardo non giudicante nel raccontare ‘le vite degli altri’.
DIRTY CLINT. I Film, la Musica, le Donne e Noi: I figli di Clint Eastwood – Taxidrivers.it