Diceva Fabrizio De Andrè (ma non solo lui) che Gesù è stato il più grande rivoluzionario della storia, ed è proprio a partire da questa umanissima connotazione del figlio di Dio che Helen Edmundson e Philippa Goslett, le sceneggiatrici di Maria Maddalena, articolano il rapporto tra il Messia e la donna che non smise mai seguirlo. Anziché incagliarsi sul taglio ‘femminista’ dato a questa interessante rivisitazione del Vangelo, è probabilmente più significativo segnalare quanto in essa sia presente la scansione di ciò che costituisce, in un certo senso, l’inesauribile risorsa – e anche il mistero – della cristianità, ovvero quella successione passione-morte-resurrezione che, oltre a fornire l’essenza del culto, incarna esemplarmente la dimensione logica e cronologica di un rinnovato approccio estetico all’immagine.
Ebbene, si comincia nell’acqua, con Maria Maddalena (Rooney Mara) in caduta libera (nel senso di liberante), e sotto la superficie del mare si conclude. Tanto cinema viene evocato: sia il recentissimo e fortunato La forma dell’acqua, ma anche, e soprattutto, quel Respiro del nostro Emanuele Crialese, di cui viene praticamente citata per intero l’ultima, splendida sequenza, quella con gli abitanti dell’isola che, alla stregua dei tonni de La terra trema di Luchino Visconti, si concentravano, come in un rito tribale, in uno spazio esiguo, sbattendo forsennatamente le gambe.
Il regno di Dio di cui molto si parla nel film è rappresentato, nella sua ricaduta idolatrica, da quella comunità sempre anelata, ma impossibile da realizzare, laddove essa è costitutivamente connotata da una mancanza inemendabile. Essa, cioè, non può essere istituzionalizzata, non deve, in altre parole, divenire reale, poiché se ciò accadesse ci troveremmo di fronte a una sorta di campo di concentramento a cielo aperto, il che, nell’epoca postmoderna, assumerebbe, assai verosimilmente, le sembianze di un terrificante totalitarismo tecnologico.
Allora, opportuno e significativo appare il dialogo tra Maria Maddalena e Pietro (Chiwetel Ejiofor), quando, dopo aver assistito, da sola, alla resurrezione di Gesù (Joaquin Phoenix), la donna invita i disorientati apostoli a comprendere che il regno annunciato è già presente, si tratta di torcere lo sguardo, attraverso un radicale movimento etico interiore, e riuscire a vedere adesso ciò che erroneamente di ritiene sempre a venire.
Senza scomodare il messianismo levinasiano, si può probabilmente affermare che il femminile in questa declinazione rappresenta quel minore, in senso deleuziano, che, non essendo ammaliato dai meccanismi del Potere, ma veicolando ed esprimendo la gioia (spinoziana) della Potenza, offre la rara opportunità di affrancarsi dall’illusione di un rapporto dialettico con la realtà, per immergersi, è proprio il caso di dire, in un piano d’immanenza, in cui alla iattura del rapporto di causalità del tempo cronologico si affianca una dilatazione dell’istante, una durata, grazie a cui potersi riconnettere con quella riserva di senso fatalmente preclusa a un atteggiamento intenzionale.
Solo così si può riguadagnare il sacro, resistendo, cioè, alla tentazione di colonizzare il mondo in cui si presume di muoversi; è necessario non solo cessare di esercitare il dominio sull’altro, ma anche, con un gesto sovrumano, titanico, divenire in grado di perdonarlo, pure qualora si fosse reso colpevole del più grave misfatto nei nostri confronti. Questa è la modalità cristiana tramite cui superare se stessi, la quale prescrive l’abbandono della vanità della soggettività in favore di un sacro afflato comunitario che precede il singolo logicamente e ontologicamente. Bisogna porgere l’altra guancia, non scendendo a patti con il chiacchiericcio, la curiosità e l’equivoco del quotidiano; non essere più se stessi, laddove si è sempre insieme all’altro, in una festosa comunione con esso. Cos’è l’eucarestia se non la celebrazione della comunità cristiana che si fa una con il corpo del Figlio di Dio?
Al di là della retorica apologia del femminile, realizzata attraverso il riposizionamento della figura di Maria Maddalena, a funzionare davvero nel buon film di Garth Davis (reduce dal successo di Lion – La strada verso casa) è lo sguardo trasfigurante, grazie a cui etica ed estetica si confondono in una preziosa indiscernibilità, che consente allo spettatore di pensare al religioso al di fuori e prima di qualunque istituzionalizzazione, così da approcciarsi a esso in maniera rinnovata e vitale.
Joaquin Phoenix è un Cristo meno dolce e rassicurante del solito, ma ciò non è un difetto: il figlio di Dio, colto nella sua umanissima condizione, è percepito in maniera più empatica. Rooney Mara è una Maddalena tutta lacrime e tormento interiore; ma quell’ininterrotto pianto acquisisce il suo vero significato quando si confonde con le acque battesimali con cui Gesù le apre le porte di una comunità che è un sentire comune, un’armoniosa orchestra dove ogni strumento ha il suo posto.
Distribuito da Universal Pictures, Maria Maddalena è disponibile in blu ray, in formato 2.20:1, con audio (DTS-HD Master Audio) e sottotitoli in diverse lingue. Nei contenuti speciali: Maria Maddalena (il cast) e Dirigendo Maria Maddalena.