Dancer in the Dark, uno dei film più controversi e potenti della storia del cinema, torna finalmente nelle sale italiane. Dal 9 all’11 giugno 2025, insieme ad altri due capolavori di Lars von Trier – Dogville e Le Onde del Destino. La cosiddetta “trilogia delle donne” verrà riproposta in versione restaurata 4K.
Questi tre film non sono collegati da una trama lineare, ma da un filo narrativo che attraversa il dolore e la forza femminile, simboli universali e potenti dell’arte e della sofferenza. Al centro della trilogia, Dancer in the Dark si distingue per la presenza magnetica di Björk, icona musicale e protagonista indiscussa del film, che incarna perfettamente la tensione tra fragilità e resistenza.
La trilogia è un viaggio attraverso sofferenze universali, raccontate con una sensibilità unica, in cui il dolore femminile diventa arte, speranza e, allo stesso tempo, condanna.
La trama e il contesto
Dancer in the Dark è un musical anomalo, uscito nel 2000, che non ha nulla a che vedere con i classici spettacoli allegri e spensierati del genere. Qui, al ritmo di danza e canto, si racconta una storia crudele, fatta di ingiustizia, con al centro il sacrificio di una donna in una società spietata.
La protagonista è Selma, un’immigrata cecoslovacca negli Stati Uniti degli anni ’60, che lavora duramente in una fabbrica. Affetta da una malattia genetica degenerativa che la sta portando lentamente alla cecità, il suo unico scopo è mettere da parte soldi per l’operazione che possa salvare la vista a suo figlio. Selma vive con un sorriso ingenuo e una forza interiore sorprendente, alimentata dalla passione per i musical, che sono la sua fuga e la sua speranza.
Ma il destino si rivela crudele: tradita da chi le era più vicino, Selma si ritrova coinvolta in un incubo giudiziario, destinata a pagare per una colpa che non ha.
L’estetica e la regia di Lars von Trier
Lars von Trier costruisce un film spietatamente realistico, capace di colpire lo spettatore con la sua crudezza e la sua onestà. Il realismo è sporco e palpabile, ma viene costantemente intervallato da sequenze musicali che, invece di alleggerire, accentuano il contrasto emotivo: una danza continua tra amore e terrore, sollievo e angoscia.
La fotografia gioca un ruolo fondamentale: i colori sono freddi, spenti, privi di calore, e rafforzano la sensazione di isolamento e di durezza che pervade tutto il film. È un freddo che entra dentro, quasi a gelare il sangue, rendendo la storia ancora più intensa e crudele.
La regia riesce a fondere perfettamente il dolore con la musica, trasformando i rumori industriali della fabbrica in una sorta di sinfonia dissonante, che accompagna e amplifica il viaggio interiore di Selma.
Björk e il simbolismo del sacrificio
La performance di Björk è il cuore pulsante del film. Più che un’attrice, è un veicolo di emozioni pure, capace di trasmettere fragilità e forza insieme. I suoi occhi raccontano molto più delle parole, con un’ingenuità dolce e intensa che conquista lo spettatore e lo trascina nella sua realtà.
Björk danza come un’anima leggera, distaccata dai problemi della vita reale, ma profondamente legata all’amore per suo figlio. La musica diventa una dimensione quasi onirica in cui Selma cerca conforto, un’oasi di pace in un mondo crudele e giudicante.
Il film è un emblema del sacrificio materno, e la cecità – sia fisica che morale – diventa metafora dell’ingiustizia sistemica che travolge Selma senza pietà. La scena della fabbrica che si trasforma in un teatro musicale è una delle più memorabili e simboliche del film, un momento in cui la realtà e il sogno si mescolano in un’esplosione di arte pura.
E il finale? Uno dei più strazianti e devastanti mai visti, senza concessioni alla pietà, che lascia lo spettatore senza fiato.