Tra i percorsi di sei festival Italiani, sparsi in tutto lo Stivale, ogni anno si tiene un progetto generoso e altruista, di quelli che fanno davvero bene alla nostra cultura di immagini. Nato nel 2022 da un’idea di Luciano Barisone (critico e direttore navigato di festival prestigiosi), Itineranze Doc crede nell’idea di instradare giovani cineasti, accompagnare ognuno di loro nel corso del lavoro al film. E lo fa attraverso un programma gratuito di formazione e training che vuole supportare a livello creativo e produttivo giovani autori e autrici di cinema del reale nello sviluppo del loro primo (o secondo) lungometraggio.
Durante i giorni del PerSo 2025 (Perugia Social Film Festival), si è svolta la quarta tappa del progetto, legata alle Teorie sul montaggio nel cinema documentario e preparazione di un teaser in un ciclo di incontri curato dall’esperta montatrice Aline Hervé.
Durante i giorni del Festival di Perugia abbiamo avuto la possibilità di intervistare Nora De Marchi e Luciano Barisone, che ci hanno raccontato le origini di Itineranze Doc, il desiderio di tendere una mano a giovani cineasti e l’amore che li lega al cinema del reale: un linguaggio inteso come estetica e poesia dello sguardo anziché facile didattica.
Come nasce il progetto Itineranze? Qual è il desiderio, o la necessità, alla base?
Luciano Barisone: A me l’idea di Itineranze è venuta dal fatto che dopo aver lasciato Visions du Réel, di cui sono stato il direttore, ho cominciato a partire da giovani cineasti che erano venuti al festival. Mi chiedevano: “Come ti sembra questo progetto? Secondo te come posso andare avanti? Guarda questo montato che ho fatto, cosa ne pensi? Secondo te in quale festival posso andare?” Mi sono reso conto che c’erano veramente un sacco di giovani cineasti che avevano bisogno di un aiuto da questo punto di vista.
Allora, dato che in questi festival ci siamo incontrati più volte, non solo a Venezia, Cannes, Berlino, ma anche per esempio al Festival dei Popoli, mi è venuta l’idea di fare un percorso a tappe in cui mettere insieme sei realtà – che a parte il Festival dei Popoli, che è il più conosciuto a livello mondiale, sono tutti piccoli festival – e creare una società che potesse essere d’aiuto ai giovani cineasti italiani. E poi mi piaceva molto anche l’idea che fossero due festival al nord (Bellaria Film Festival e Front Doc), due al centro (PerSo e il Festival dei Popoli) e due al sud dell’Italia (Sole Luna Doc Film Festival e IsReal Festival).
Poi ho trovato delle complicità e allora abbiamo cominciato a lavorare con la struttura del film. Quindi la domanda era: come aiutare i giovani cineasti a realizzare i loro film? Tradizionalmente quando uno vuole realizzare un film partecipa con una piccola società di produzione a un pitch, e cerca delle coproduzioni che portino dei soldi per poter realizzare il film.
Volevamo aiutare questi giovani che magari erano ancora un po’ inesperti a strutturare il loro lavoro nella parte scrittura, quindi scrivere bene un progetto per farlo funzionare, fare un buon teaser, una presentazione per immagini e infine prepararli oralmente come se fosse un allenamento sportivo praticamente, allenarli per il pitch.
E come viene articolato questo lavoro nei festival?
L.B: Nella prima parte, quindi nei primi due festival, si tratta soprattutto il discorso della scrittura, negli altri si affronta il teaser e infine finale il pitch.
Come nasce ed evolve, invece il rapporto con gli studenti?
L.B: Lanciamo un concorso nazionale, lo pubblicizziamo, riceviamo i progetti, poi facciamo una selezione di sei lavori che passeranno attraverso i sei festival. Sono tutti lavori che rispondono all’idea di cinema del reale. E poi perché il cinema è nato con i Lumière, non è nato con Méliès. Poi, a me non piace il termine “documentario” perché la radice di questo termine è “docere”, insegnare. Come se fosse un cinema che insegna, e io non credo a questo. Tu potresti imparare da qualsiasi cosa, a me il cinema del reale interessa molto di più come mezzo di espressione poetica, politica e sociale.
Nora De Marchi: Diciamo che poi veniamo anche da una tradizione di riflessione sul cinema, che fa sì che rigettiamo anche in parte la distinzione tra documentario e finzione, in un’idea più generica del fatto che noi lavoriamo sul cinema. È chiaro che il tipo di cinema che sosteniamo è quello del reale, anche perché è uno dei più accessibili adesso per i giovani autori, per tutta una serie di questioni legate proprio al costo dell’avvicinamento al cinema.
Sono assolutamente d’accordo con voi. Però sembra ancora difficile scardinare secondo me questo preconcetto riguardo al cinema del reale, come se il documentario possa essere solo un lavoro divulgativo derivante dai modelli televisivi. Voi come affrontate questo tema con gli allievi?
N. D: In realtà i ragazzi non sono proprio alle primissime esperienze, spesso hanno un progetto agli albori ma hanno già intrapreso questo tipo di carriera. Diciamo che sono ragazzi già allineati con il nostro programma e modo di lavorare, si crea una sorta di magia in questo. La prima magia sta nel fatto che riusciamo a collaborare con sei realtà, ognuna con le sue contingenze problematiche date dalla situazione estremamente violenta in cui versano i festival e gli autori italiani in questo momento. E nonostante la violenza sistemica riusciamo a creare un clima di collaborazione, unione e di reciproco sostegno che è già di per sé miracoloso.
La seconda magia è il clima in cui i partecipanti si esprimono: in uno spazio sicuro dove poter raccontare le proprie idee ma anche le proprie fragilità, trovarsi in una condizione di sicurezza per poter anche ricevere dei feedback distruttivi che mettano in crisi il progetto nel modo necessario per cui i progetti vengono poi ricostruiti in modo più forte.
La crisi è necessaria all’interno del processo creativo ma è molto dolorosa. Se questo avviene in un contesto protetto, però, magari aiutiamo anche gli autori e le autrici a normalizzare le fatiche, le difficoltà e i momenti di blocco che sono necessari affinché il processo creativo prenda forma. E poi la terza magia secondo me è il fatto che noi siamo tutti allineati sul tipo di cinema a cui tendere: non spieghiamo ai partecipanti qual è il nostro concetto di cinema, ma tutti i progetti che arrivano sono progetti che si allineano su quel tipo di visione che abbiamo noi.
È molto interessante, davvero. A proposito di questo, volevo sapere da voi come nasce il rapporto con il festival PerSo e quale tappa nella realizzazione di un film state seguendo questi giorni?
L.B: Conosco Giovanni Piperno, il co-direttore del festival, da tanti anni perché è un cineasta storico e interessante. Tramite il suo contatto ho conosciuto Luca Ferretti, abbiamo cominciato a parlare di cinema e lui mi ha invitato al festival come giurato. Ma in generale, il rapporto con i sei festival che attraversa il progetto Itineranze nasce da vecchie storie, tutte amicizie che poi si sono concretizzate in questa direzione.
N.D: C’è anche l’idea che il PerSo, nella sua vocazione sociale fin dal nome, rientri perfettamente all’interno del tipo di cinema che vogliamo fare noi, che ha un impatto sulla realtà. Si tratta di un festival militante nell’idea di rappresentare un momento attivo di confronto e dialogo con il presente.
E poi per quanto riguarda la tappa qui a Perugia, da diversi anni Aline Hervé è la nostra referente per quel che concerne la costruzione dei teaser, una scelta strategica di immagini che supportano la narrativa dei vari partecipanti e delle varie partecipanti per poi sostenere il momento dei pitch.
Il pitch è la prima presentazione pubblica di questi progetti, quindi è un momento molto delicato ma è anche necessario. Può essere un po’ doloroso perché è necessario selezionare, prendere delle strade che non saranno quelle definitive, ma in cui l’autore e l’autrice devono posizionarsi rispetto all’impronta da dare a loro film quando è ancora embrionale. E in più dovranno presentare il pitch in inglese, in dieci minuti, davanti a una platea di persone che non conoscono. Qui a Itineranze prepariamo le immagini, e nella selezione spesso si creano delle scelte dolorose ma anche molto benefiche.
L.B: E necessarie. Poi in fondo è come quando scrivi, che devi trovare una linea e una sintesi, non puoi andare in tutte le direzioni.