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Trieste Science+Fiction Festival

‘Egghead Republic’: l’ombra di un’idea

Un viaggio in un Kazakistan radioattivo, esplorando il vuoto tra arte, spettacolo mediatico ed eccesso senza offrire risposte definitive.

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Egghead-Republic_Trieste Science+Fiction Film Festival

Da Toronto a Trieste, Egghead Republic ha avuto il suo debutto nella sezione Neon del Trieste Science + Fiction Festival, dopo la prima alla cinquantesima edizione del Toronto International Film Festival. Diretto dal duo svedese Pella Kågerman e Hugo Lilja, il film immagina un mondo in cui la Guerra Fredda non è mai finita e una bomba atomica precipitata in Kazakistan ha trasformato la steppa in un deserto nucleare.

Tratto liberamente dal romanzo The Egghead Republic di Arno Schmidt, il film rielabora la materia letteraria attraverso lo sguardo di Sonja, ventiduenne svedese, club kid e aspirante illustratrice per una delle riviste più “hip” del pianeta: Kalamazoo, una Vice trasfigurata in simulacro mediatico, dove il culto dell’esperienza estrema sostituisce il rigore del racconto.

L’artista e l’abisso

L’opera si apre con un’energia bruciante, la promessa di un’odissea post-sovietica: un giornalista, un’illustratrice e due operatori camera riescono ad assicurarsi un’incursione in una zona rossa nelle profondità del Kazakistan. Terra apparentemente radioattiva e militarizzata, abitata da mutazioni e centauri, saranno i primi a esporre i suoi segreti in un reportage fuori dal comune.

Nonostante la premessa affascinante, la missione del film implode rapidamente su se stessa, dissolvendosi in qualcosa di più inquietante.
La domanda che aleggia insistente è tanto semplice quanto insidiosa: “Quanto sei disposto a sacrificare per la tua arte?” Un interrogativo che, pur muovendosi ai limiti del cliché, si fa chiave interpretativa di un commento amaramente satirico sul destino delle immagini nel nostro tempo, un’epoca in cui la velocità e l’indistinzione governano tutto, e in cui lo scandalo, reale o costruito, brucia con la stessa rapidità con cui viene dimenticato.

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Un magma informe

I personaggi, però, non offrono risposte convincenti. Sonja, aspirante illustratrice e artista, smarrisce presto la sua ambizione originaria, naufragando in atteggiamenti assurdi, autolesionisti, persino suicidi. Nel rapporto con Dino, il suo capo, si riflette la stessa ambiguità: lui è l’antagonista apparente, eppure la distanza tra i due è minima. Entrambi incarnano lo stesso vuoto, la medesima incapacità di distinguere l’arte dall’autocompiacimento. Perfino i sogni psichedelici di Sonja, legati alla Germania natale, che punteggiano il film come intuizioni allucinogene, restano scollegati dal resto: esercizi di stile più che autentiche rivelazioni interiori.

Le tensioni tra i personaggi si ripetono, il ritmo si appiattisce e la narrazione si trasforma in un flusso indistinto di idee: sesso, droga, propaganda, ansia nucleare, tutte amalgamate in un magma informe. Questo immaginario culmina nella rivelazione finale dell’IRAS, Institute of Radical Art and Sciences, un presunto centro d’avanguardia dove l’eccesso diventa condizione creativa. Ma la provocazione si rivela sterile, ingenua, che riduce la radicalità artistica a un rituale di eccessi superficiali. Le apparizioni di cadaveri e le allusioni al “transbraining” amplificano l’assurdo, ma finiscono per svuotarlo, lasciando solo un senso di straniamento privo di conseguenze.

Le spiegazioni, quando arrivano, si dissolvono senza lasciare traccia. La ricerca dell’arte come verità si trasforma in un labirinto di pose, dove ogni possibile rivelazione si annulla nella propria eccentricità.

Decadenza e disorientamento

La regia alterna riprese a mano a sequenze di pseudo–found footage, componendo un tessuto visivo volutamente disordinato, tra il documentario e il delirio digitale. I colori, slavati e privi di contrasto, restituiscono un mondo esausto, mentre le inquadrature, spesso statiche o ripetitive, perdono la capacità di suggerire stupore. L’immagine appare come corrosa dall’interno, riflesso di una steppa contaminata non solo dalla radioattività, ma da un’estetica che ha smarrito la propria intensità.
Egghead Republic sembra voler dire tutto, e nel farlo si svuota, si appiattisce in un flusso indistinto di stimoli e tensioni.

Eppure, tra le pieghe di questo caos resta qualcosa. Egghead Republic conserva la traccia di un’intuizione: è un film che tenta di catturare un mondo in cui ogni immagine nasce già avvelenata dal suo stesso riflesso, dove l’apocalisse non è più un evento, ma una condizione.

“One must put themselves in an exceptional frame of mind.”

dichiara all’inizio il personaggio del controverso scrittore Bob Singleton. Io, purtroppo, non ci sono riuscito.

Egghead Republic

  • Anno: 2025
  • Durata: 94'
  • Distribuzione: Best Friend Forever
  • Genere: Fantascienza
  • Nazionalita: Svezia
  • Regia: Pella Kågerman e Hugo Lilja