Virgilio Villoresi con il suo primo lungometraggio Orfeo, fuori concorso a Venezia 82, porta sullo schermo Poema a fumetti di Dino Buzzati del 1969, una delle prime graphic novel della letteratura italiana di cui vediamo alcune tavole nel film. Girato in pellicola, in studio, Virgilio Villoresi ha intrecciato diversi linguaggi visivi: il found footage con cui in una sequenza iniziale omaggia sua madre ballerina, la stop motion, uso di lenti ottiche, giochi vittoriani, caleidoscopi, luci e ombre. Lo abbiamo incontrato insieme ai suoi interpreti: Luca Vergoni (Orfeo) e Giulia Maenza (Eura).
La costruzione di un mondo
Orfeo inizia con la premessa tipica di una favola: c’era una volta una villa abbandonata in via Saterna; questa villa si trasforma a seconda di chi la guarda. L’idea di un luogo che rispecchia l’anima di chi lo attraversa mi ha ricordato il romanzo di Shirley Jackson L’incubo di Hill House. Nella sequenza delle scale, una vetrata prende le sembianze di una donna. Come in quel romanzo gotico anche la tua villa ha vita propria. Come hai costruito i luoghi visionari del tuo film?
Abbiamo costruito il set alternando scenografie costruite a mano scala 1:1 e miniature. Ad esempio, la scena che hai citato della scalinata è completamente in miniatura e ci sono tanti riferimenti. Ho cercato di concentrare nel mio lavoro tutto l’amore che ho per i grandi artisti del 900. In quella scena in particolare mi sono ispirato alle finestre dell’art nouveau francesi. Le abbiamo ricostruite da zero prendendo ispirazione dalle originali, riproducendo quelle particolari curvature che tracciano le linee del volto umano. Le presenze fantasmagoriche femminili che abitano la villa sono proiezioni.
Alfred Kubin, scrittore e disegnatore nel 1909, scrisse il suo romanzo distopico/fantastico, L’altra Parte. Anche lui ha immaginato e disegnato la sua città fantastica e oscura allo stesso tempo, Perla, una città di rovine. Quali sono le rovine, i riferimenti visivi su cui hai costruito la tua città?
Tutto questo mondo di rovine di Kubin è presente, rimescolato nel mio film insieme a tutte le altre suggestioni. Dal punto di vista architettonico Piero Portaluppi per me è stato un punto di riferimento importante soprattutto per la porta finale, una decorazione che ho ripreso da un’arcata presente vicino ai giardini di Porta Venezia a Milano. Di lui adoro la grande capacità di sintesi nelle linee e nelle decorazioni. Un altro riferimento è presente nel tappeto rosso nella sala alla fine della scena del corridoio rosso, con il quale ho omaggiato i volti di Lina Cavalieri che usava Piero Fornasetti. Oltre all’architettura e al design ci sono diverse citazioni cinematografiche come La morte corre sul fiume (1955), o Texas Carnival (1951), omaggiato nel finale.
Cinema classico e sperimentale
La postura degli attori ricorda molto i film degli anni ’70. Appena Luca Vergoni entra in scena sta suonando il piano nel locale notturno il Polypus e il suo volto si staglia su una parete rossa. Sembra di vedere David Hemings in Profondo Rosso, o Malcolm McDowell in Arancia Meccanica.
La parte iniziale del film racconta la storia d’amore tra Orfeo ed Eura in un’atmosfera volutamente sospesa che vuole assolutamente ricordare la recitazione dei film del passato, dove gli sguardi erano molto importanti. Soprattutto nell’aldilà c’è molta ispirazione di Mario Bava e Dario Argento; nella prima parte c’è più Hichcock. Il film nel suo insieme è un omaggio al cinema classico e al cinema sperimentale. Ci sono anche citazioni più astratte. Ad esempio, c’è Jordan Belson che è un regista commovente. Il suo cinema astratto è un viaggio iniziatico. Le sequenze caleidoscopiche sono realizzate con oggetti pensati in età vittoriana, come il cromatrap, usati dallo stesso Belson.
Come è stato per voi attori entrare e muovervi nel mondo di Virgilio?
Giulia Maenza: Ogni giorno sul set era una sorpresa. È stato divertente cambiare set. Ogni volta che entravo nello studio a Milano dove il film è stato girato, scoprivo un pezzo nuovo del mondo di Orfeo, mi uniformavo e prendevo parte a questa danza onirica. Ho una grande stima nei confronti di Virgilio che ha voluto riportare in vita un mondo presente negli anni ’30-40.
Luca Vergoni: Entrare nello studio che ogni volta era sempre diverso, da un bosco, a una villa, un corridoio, la sala della giacca. Abbiamo girato per due anni in mille mondi diversi e sempre nello stesso luogo. Nel set una pila di blocchi diventava un castello e questa costruzione del set mi ha fatto sentire come dentro un teatro. La recitazione, come hai notato, si ispira ai grandi film del passato.