È indubbio che Joe Wright sia uno dei più valenti “adattatori” cinematografici dell’ultimo decennio: già con Orgoglio e pregiudizio, tratto dall’omonimo romanzo di Jane Austen, Espiazione da Ian McEwan, ma anche con il recente e acclamato L’ora più buia, in cui veniva rievocata la complessa figura di Winston Churchill, interpretata magistralmente da Gary Oldman (insignito con il premio Oscar), il giovane regista britannico (classe 1972) ha dimostrato di possedere un notevole talento per la messa in scena del passato, sia quello restituito da un’opera letteraria sia dalla storia. Realizzare un film che richiede un’imponente organizzazione – dai costumi alle scenografie, al coordinamento di centinaia di comparse – è un’operazione che non tutti sono in grado di svolgere, raggiungendo risultati soddisfacenti. Anna Karenina (2012) conferma questa impressione, laddove il dramma umano, psicologico, etico e sociale della protagonista (una splendida e intensissima Keira Knightley) è rappresentato in tutta la sua potenza, divenendo metafora universale delle durissime battaglie intraprese da coloro che hanno preferito “non cedere sul proprio desiderio” – per dirla con Jacques Lacan – sfidando ogni convenzione e resistendo eroicamente alla tentazione del mimetismo, certamente rassicurante, ma, al tempo stesso, mortifero e inaridente.
Mai calligrafico, bensì inventivo e visionario, il film di Wright gioca felicemente con l’aspetto artificioso della messa in scena, mostrando deliberatamente allo spettatore il grado di finzione di cui ogni opera cinematografica non può fare a meno, senza imporre la cosiddetta “sospensione di incredulità”, regola non scritta ma sempre osservata quando ci si pone di fronte alle immagini in movimento che scorrono su uno schermo. Il set, in questo modo, diviene uno spazio “eccessivo”, in cui gli attori non si possono immedesimare fino in fondo nei personaggi, in quanto è svelata l’affabulazione: gli interpreti, quindi, si calano nei loro rispettivi ruoli, ma rimangono anche al di fuori di essi, giustapponendosi accanto. Se questo procedimento innesca un’interessante riflessione sulla capacità del cinema di produrre incantamento, nulla si perde in termini di flusso emotivo della celebre storia raccontata nel 1877 da Lev Nikolàevič Tolstòj, che attraverso la rielaborazione in significative immagini rivive potentemente, fornendo la possibilità di evadere – nel senso nobile della parola – dalla prosaicità del quotidiano, per vivere fino in fondo la tragedia patita dalla fragile donna della borghesia russa di fine Ottocento. Anche il grande Dostoevskij non esitò a definire Anna Karenina «il capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo».
A maggior ragione, dunque, cimentarsi con un’opera letteraria di tale levatura, senza mortificarla, impoverirla o banalizzarla era davvero un’impresa titanica, ma Wright ha saputo dare corpo a una rappresentazione ricca, che riesce a ben rievocare le atmosfere, la mentalità e lo sfondo sociale e umano in cui si muove Anna, scontrandosi a più riprese con l’ottusità della morale imperante. Di più: riuscire a catturare per oltre due ore – quasi rapendolo – l’attenzione dello spettatore contemporaneo, sempre meno incline all’attenzione e alla comprensione dell’interiorità degli altri, è la prova di quanto il regista abbia saputo ben interpretare, attualizzandola, la vasta e intensa materia maneggiata, giungendo a un esito eccellente. Il suo è un grande cinema, che si fa sempre meno e a cui, invece, non dovremmo rinunciare.
Pubblicato e distribuito da Universal Pictures, Anna Karenina è disponibile in dvd, in formato 2.35:1, con audio e sottotitoli in varie lingue.