The Crescent inizia all’interno di una piccola chiesa di campagna in cui la giovane Beth (Danika Vandersteen) e il suo figlio piccolo Lowen (Woodrow Graves) assistono a un funerale, che scopriremo essere del marito morto in un incidente. La madre di Beth invita la figlia a superare il dolore e a lasciare che del bambino di occupino altri. Al rifiuto di Beth, l’anziana le suggerisce di andare in vacanza nella casa di famiglia in riva al mare.
Il giovane regista Seth A. Smith dirige, monta e musica una pellicola che indaga sul trauma del passaggio dalla vita alla morte, del dolore dell’abbandono (o della sua assenza). Ambientato in Nova Scotia, la scenografia naturale di un Canada isolato e marino è di grande suggestione visiva e Seth Smith ha un occhio particolare per la messa in quadro degli elementi, siano le onde del mare, che arrivano da un confine immoto e infinito per infrangersi di fronte alla casa di legno, sia il vento, che soffia incessante, come elemento di perenne fustigazione fisica e spirituale.
Beth dipinge acquarelli surrealisti con la tecnica della marmorizzazione, creando tessuti di puro colore in movimento che poi fissa sulla carta. Il regista canadese alterna, fin dall’inizio di The Crescent, la psichedelia scopica delle forme astratte, che si allargano in macchie e si allungano in filamenti, con una fotografia desaturata della casa in riva al mare.
Se la scrittura non è molto originale – lo sceneggiatore Darcy Spidle ha un profondo debito con The Others di Alejandro Amenabar – e l’arcano mistero delle strane presenze, che circondano la casa di Beth e sono attirati dal figlio, si scopre ben presto, The Crescent è, al contrario, interessante per la sua resa visiva e la capacità del giovane autore canadese di creare una sottile e costante tensione, mescolando, come fa Beth con i colori, immagini e sonorità (sia la colonna sonora sia i rumori diegetici). Lavorando sulla sinestesia tra vista e udito, Seth Smith provoca un’ipnotica attenzione sempre sull’inquadratura, come se si guardasse un punto focale di un’opera astratta. Il lavoro di sottrazione della messa in scena di The Crescent è controbilanciato dalla ricchezza formale con l’utilizzo anche di accorgimenti di messa in quadro particolari che forniscono indizi alla comprensione della vicenda: come, ad esempio, gli innesti di inquadrature rimpicciolite di Lowen oppure di Beth, che poi improvvisamente si allargano a schermo pieno; o ancheinquadrature di immagini increspate a replicare il movimento del mare.
Come abbiamo detto, The Crescent non è un film narrativo. La storia è un pretesto e il fatto che sia un horror è funzionale esclusivamente alla rappresentazione formale di atmosfere neoromantiche. I temi e le assonanze culturali sono parte di un patrimonio letterario anglofono che parte da La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge per passare da Annabel Lee di Edgar Allan Poe e arrivare alle storie gotiche di fantasmi. Quello che interessa a Seth Smith è parlare di confini – esistenziali, metafisici, emotivi, sensoriali – che ognuno di noi attraversa prima o poi e metterli in scena per indurre il subconscio dello spettatore a scavare nella memoria personale e collettiva.
Prodotto indipendente a basso budget, The Crescent deve anche la sua riuscita alla debuttante Danika Vandersteen che regge bene i primi piani e si mette al servizio del regista, ma soprattutto al giovanissimo Woodrow Graves, che stupisce per la naturalezza con cui si pone di fronte alla macchina da presa. Presentato nella sezione “After Hours” del 35 Torino Film Festival, a conti fatti, The Crescent ha più pregi che difetti e conferma la capacità di un certo cinema canadese di sondare le profondità dei sentimenti dell’umano con una ricerca formale che non sempre, a una prima visione, risulta accattivante, ma necessita di una maggiore partecipazione attiva dello spettatore.