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Film festival Diritti Umani Lugano

Sul montaggio e la verità: intervista al montatore Cătălin Cristuțiu

Una riflessione sul potere del montaggio, sul confine tra verità e manipolazione delle immagini e sul ruolo politico del cinema contemporaneo

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CRISTUTIU portrait

Montatore tra i più autorevoli del cinema rumeno contemporaneo, Cătălin Cristuțiu ha oltre cento film all’attivo, collaborando con autori come Radu Jude, Cristian Nemescu, Florin Șerban e Manuel Abramovich. Suoi i montaggi di Aferim! (Orso d’Argento per la regia a Berlino 2015) e Bad Luck Banging or Loony Porn (Orso d’Oro 2021), film che hanno definito la nuova identità del cinema romeno. Al 12° Film Festival Diritti Umani Lugano, dove ha fatto parte della giuria del Concorso Internazionale di Lungometraggi insieme a Laila Alonso Huarte e Alin Taşçıyan, abbiamo parlato con lui di cinema, politica, fake news e libertà di sguardo, tirando le somme di questa edizione del FFDUL.

Cosa ha significato per te far parte della giuria del Film Festival Diritti Umani di Lugano?

È stato bellissimo. In realtà non l’ho vista tanto come una competizione tra film, ma come una sorta di forum. Un luogo di incontro dove si discute di cinema e di diritti umani. Con i miei colleghi di giuria abbiamo passato una settimana intensa, fatta di dialoghi e scoperte: nuovi linguaggi, nuovi sguardi sul mondo, contesti sociali e geografici che non conoscevo prima dei film e sono molto grato di questo.

Sei soddisfatto dei premi assegnati quest’anno?

Sì, molto. Con la giuria ci siamo trovati bene, anche se il confronto è stato lungo, non perché ci fossero divergenze, ma per la ricchezza della selezione. Alla fine abbiamo deciso di premiare Letters from Wolf Street di Arjun Talwar, un giovane autore che racconta temi raramente esplorati: l’immigrazione asiatica nell’Europa dell’Est, la deriva politica verso destra in quei paesi, questioni scomode che toccano in realtà l’intera Europa.

Sala gremita al Cinema Corso di Lugano @FFDUL

Sala gremita al Cinema Corso di Lugano @FFDUL

Molti giovani registi iniziano oggi con film sociali o legati ai diritti umani. È una tendenza del cinema contemporaneo?

Non credo sia una “fase giovanile”. È piuttosto un segno dei tempi. Viviamo in un mondo segnato da guerre e tensioni politiche, e gli autori, giovani o meno, reagiscono a questo clima. È una forma naturale di resistenza e di partecipazione.

In un contesto in cui il messaggio sociale e l’espressione artistica si intrecciano, quali criteri avete seguito nella valutazione?

Ogni giuria è inevitabilmente soggettiva: persone diverse, sensibilità diverse. È difficile misurare il valore formale di un film, così come la sua rilevanza politica. Si tratta di intuizioni personali, di discussione e ascolto reciproco. Inoltre, il primo filtro lo fa già la selezione del festival: la scelta stessa dei titoli è una forma di giudizio e a noi quest’anno sono stati dati titoli davvero validi.

Dal punto di vista del montatore, quanto può influire il montaggio sulla percezione e sul senso di un film?

Moltissimo. A volte può cambiare completamente il significato di un’opera, soprattutto nei documentari. Ma vale anche per le immagini quotidiane: pensiamo alle fake news. Basta togliere un frammento dal contesto o accostarlo a un’altra immagine per creare un nuovo significato, una “terza idea”. È un potere enorme, che può arricchire ma anche manipolare la realtà.

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In un’epoca dominata dai social media, dove l’immagine è spesso decontestualizzata, il cinema può ancora avere un ruolo di verità?

Sì, ma anche il cinema non è immune dalla propaganda. Già all’inizio del Novecento, registi come Eisenstein lavoravano con immagini ideologiche. Più recentemente ho montato Between Revolutions di Vlad Petri, costruito prevalentemente con materiali d’archivio dall’Iran post-rivoluzionario: film prodotti come propaganda di Stato, formalmente impeccabili ma totalmente falsi. Anche il cinema, con la sua “serietà”, può ingannare più di un video su TikTok.

(Lo stesso ci ha raccontato il regista indonesiano Garin Nugroho in questa intervista.)

Negli ultimi anni hai lavorato spesso a film con temi politici o sociali. È una scelta etica o artistica?

Entrambe le cose. Da quindici anni cerco di orientarmi verso progetti che affrontano questioni politiche o sociali. Mi fa stare meglio, dà un senso diverso, più importante, al mio lavoro. Non sono d’accordo con molte posizioni diffuse nel mio Paese – sull’Unione Europea, sulle minoranze etniche o sessuali, sulla Chiesa – e credo che il mio modo di partecipare al dibattito, oltre al voto, sia anche questo: lavorare su film che riflettono la realtà e la criticano.

Bad Luck Banging or Loony Porn

Bad Luck Banging or Loony Porn (Radu Jude, 2021)

In questo senso, hai collaborato con molti protagonisti del cosiddetto “Nuovo Cinema Romeno”. Come vede oggi la situazione del cinema nel tuo Paese?

Direi che non è ancora maturo. Ci sono stati film importanti negli ultimi decenni, ma non parlerei di una vera e propria “scuola”. Più che un movimento, sono stati incontri felici, coincidenze fortunate. Siamo solo all’inizio di un percorso, che dovrà ramificarsi sempre di più.

C’è un film che consideri una svolta nella tua carriera o nel tuo modo di lavorare?

Più che un singolo titolo, direi che tutto è iniziato nella Cinemateca di Bucarest, dove ho scoperto i classici: il cinema sovietico, il Neorealismo italiano, la Nouvelle Vague. Ma le influenze non vengono solo dal cinema. Anche la letteratura, la musica o la storia possono insegnare il ritmo, la composizione, la struttura. È importante guardare, leggere, ascoltare tutto: la cultura è un insieme, non una specializzazione, si impara il montaggio anche così.

In un mondo saturo di immagini, quale ruolo può avere ancora un cinema impegnato nel risvegliare empatia e coscienza critica?

Non so se un film possa cambiare il mondo, ma può cambiare la percezione di chi lo guarda. Anche solo far conoscere una realtà sconosciuta è già un atto politico. Il regista Laurent Cantet diceva che un buon film è quello che porta “notizie da una parte del mondo che non conosciamo”. E questo, oggi, nonostante Google, è ancora necessario.

Un consiglio ai giovani montatori e cineasti che iniziano ora?

Lavorare, il più possibile. Anche su progetti piccoli o amatoriali: ogni esperienza conta. Oggi chiunque può girare e montare con un telefono o un laptop. È una grande occasione: giocare con il cinema, fare pratica ogni giorno. Tutto questo torna utile, prima o poi.

Si conclude la 12ª edizione del FFDUL

Cătălin Cristuțiu ha portato al Film Festival Diritti Umani Lugano una visione lucida e appassionata: quella di chi crede nel potere etico del montaggio e nel cinema come strumento di consapevolezza.
In un’epoca di manipolazioni visive e narrazioni tossiche, le sue parole ricordano che ogni taglio, ogni scelta di montaggio, è anche una presa di posizione.