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Film festival Diritti Umani Lugano

Intervista a Garin Nugroho “Il cinema può essere politica, ma deve avere un’anima poetica e umana”

Garin Nugroho, regista cardine del nuovo cinema indonesiano, è Premio Diritti Umani per l’Autore 2025 al 12° Film Festival Diritti Umani di Lugano. Intervista all'autore simbolo della lotta dal basso compiuta con la forza della poetica e del cinema

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Garin Nugroho FFDUL 2025

Durante la dodicesima edizione del Film Festival Diritti Umani Lugano, il regista indonesiano Garin Nugroho ha ricevuto il Premio Diritti Umani per l’Autore 2025, riconoscimento che celebra un percorso artistico in cui l’impegno civile e la poesia visiva si intrecciano costantemente. Dalle prime opere documentarie alla riflessione sulla memoria collettiva di A Poet, fino alla più recente Whispers in the Dabbas, Nugroho ha saputo trasformare il linguaggio cinematografico in uno spazio di resistenza e compassione, elevandolo come uno dei massimi esponenti del cinema nel proprio paese.

Lo abbiamo incontrato a Lugano per parlare del suo cinema, del presente dell’Indonesia e della responsabilità dell’artista nel mondo di oggi.

Hai appena ricevuto il Premio Diritti Umani per l’Autore. Cosa rappresenta per te questo riconoscimento?

È un grandissimo onore. Credo che fare cinema significhi sempre prendere posizione, esprimere una dichiarazione personale sulla vita e sui diritti umani. In questo senso, questo premio è parte del mio viaggio: riconosce il fatto che attraverso i miei film ho cercato di parlare della vita, della dignità e della libertà umana.

Garin Nugroho riceve il premio Diritti Umani Per l'Autore 2025 @ffdulugano via Instagram

Garin Nugroho riceve il premio Diritti Umani Per l’Autore 2025 – @ffdulugano via Instagram

Nei tuoi primi documentari si percepisce una forte attenzione per la vita quotidiana e per le persone comuni, spesso marginali, è un tratto che non ti ha mai abbandonato. È lì che hai trovato la tua voce come regista?

All’inizio della mia carriera realizzavo documentari sull’esistenza quotidiana, ma in realtà erano film “sociali”. All’epoca il regime militare di Suharto non permetteva di parlare apertamente della società. Tutto era propaganda. Perciò filmare la vita di tutti i giorni era già un atto sovversivo. Anche se devo ammettere che alcuni film di propaganda erano davvero ben fatti! Ce n’è uno in particolare che ancora oggi, una volta all’anno, viene trasmesso nelle scuole indonesiane e una conseguenza di questo è che molti giovani non hanno idea di cosa abbia passato il nostro paese solo poche decine di anni fa. Quando lo scoprono vanno su tutte le furie!

Ho studiato in due università: alla Scuola di Cinematografia di Giacarta e alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Indonesia. L’arte e il diritto, l’arte e la politica: queste due dimensioni sono sempre state intrecciate nel mio percorso. In Opera Jawa, ad esempio, prevale l’aspetto artistico; nei film presentati qui al festival, emerge invece la dimensione sociale e politica. Sono due modi di guardare la stessa cosa.

FFDUL 2025: i vincitori

Come guardi oggi ai movimenti giovanili, ad esempio quelli che stanno attraversando paesi come Nepal o Perù? C’è speranza in queste nuove generazioni? E in questo contesto, credi che il cinema possa ancora avere un impatto sul cambiamento sociale?

Assolutamente sì, prima ancora del Nepal, anche in Indonesia ci sono state rivolte studentesche, e molti giovani nepalesi hanno detto di essersi ispirati a quei movimenti. Le nuove generazioni sono deluse dal sistema in cui vivono, da un mondo senza veri leader umanitari.

Oggi i giovani si affidano ai social media, al potere dell’ecosistema digitale, ma spesso questo genera una forma di fatalismo. Non sanno come immaginare il futuro perché nessuno li guida. Se fossi giovane anch’io, forse lancerei pietre contro questi leader che parlano tanto ma non ascoltano. Credo si siano davvero persi i veri leader dell’umanità e per questo, sì, gli direi questo: lanciate quella pietra.

A Poet: Poetry Unconcealed (Garin Nugroho, 2000) @FFDUL

A Poet: Poetry Unconcealed (Garin Nugroho, 2000) @FFDUL

Il festival ripropone A Poet: Poetry Unconcealed, film intenso che ha contribuito a far conoscere anche in Europa i massacri indonesiani del 1965-66. Eri un bambino all’epoca: che ricordi conserva di quel periodo? E cosa significa per te rivedere oggi quel film?

La memoria collettiva e il trauma sono temi centrali. Immagina quattrocentomila persone uccise, e nessuno che si chieda perché. Se un Paese non affronta apertamente il proprio passato, quel trauma si trasforma in nuova violenza. È successo anche nella mia famiglia: mio padre, direttore dell’ufficio postale, si rifiutò di consegnare alle autorità l’elenco dei presunti membri del Partito Comunista. Disse: “Non è giusto, devono essere processati”.

Ho visto conflitti in tutto il Paese: etnici, religiosi, sociali. Ogni angolo della mia vita era “in sanguinamento”. Ma credo che solo discutendo di queste ferite, in un clima umano e aperto, si possa trasformare il dolore in qualcosa di positivo. Il trauma è come un’ombra che ti segue. Se non lo affronti, ti inghiotte. È per questo che ho realizzato A Poet: per dare voce a quell’ombra e provare, passo dopo passo, a trasformarla in luce.

Nugroho, dopo la proiezione del film, aggiunge: A Poet è stato un film sincero, il protagonista è Ibrahim Kadir, un vero poeta mussulmano che fu incarcerato in quei mesi e quello che vediamo è il suo modo di raccontare la sua esperienza, molti momenti non erano sceneggiati, ha messo in scena i suoi ricordi più veri. In tanti hanno pianto, compreso l’unico spettatore che ha avuto il coraggio di venire a vedere il film alla sua uscita, pochi anni dopo la fine della dittatura.

In Whispers in the Dabbas, in anteprima svizzera al festival, racconta quattro casi reali di persone fragili di fronte a un sistema giudiziario corrotto. Come sei riuscito a trasformare quella realtà in finzione cinematografica senza perdere la verità dei fatti e la dignità dei protagonisti?

Per me Whispers in the Dabbas è come una poesia. Il film nasce da uno sguardo poetico sulla vita, perché amo la poesia e cerco sempre di integrarla nel mio modo di fare cinema. Dopo quarantacinque anni di lavoro, il linguaggio poetico diventa naturale: entra nel corpo, nel pensiero, nelle immagini.

Sul set cerco sempre la semplicità. Poche prove, magari un solo giorno di preparazione. Dico agli attori e alla troupe: “Immaginate che tutto stia accadendo davvero”. L’arte nasce da quella verità spontanea, dall’istinto. L’equilibrio tra intimità e politica emerge da lì, da una sincerità fisica e spirituale, credendo profondamente in quello che si fa.

Whispers In The Dabbas (Garin Nugroho, 2025) @FFDUL

Whispers In The Dabbas (Garin Nugroho, 2025) @FFDUL

Qual è, secondo te, la più grande responsabilità di un artista nel mondo di oggi?

Questa è sempre la domanda più difficile! Ma la risposta può essere semplice: fare ciò che si ama. Amare significa rispettare il proprio corpo come essere umano. Se ami te stesso come parte della vita, ami anche l’ecosistema in cui vivi. E se ami la vita, allora il tuo lavoro avrà una responsabilità naturale, credo sia tutto qui il segreto.

Un’ultima curiosità, stai già lavorando a nuovi progetti?

Sì, sto portando avanti diversi lavori. Uno è Samsara, un film muto in bianco e nero che è stato selezionato in vari festival. L’altro è un musical sulla storia del cinema indonesiano, dalle origini ai giorni nostri. Vorrei anche realizzare uno spettacolo teatrale dal vivo, dipende dai finanziamenti. Ma non penso mai troppo: preferisco agire. Se i nostri leader nel mondo pensano così poco, perché dovremmo pensarci troppo noi?

Taxidriver al FFDUL 2025