L’ironia di Paulo Carneiro al Festival dei diritti umani di Lugano
La comunità di Covas do Barroso, nel nord del Portogallo, scopre che la società britannica Savannah Resources intende costruire la più grande miniera di litio a cielo aperto d’Europa, a pochi metri dalle loro case. Di fronte a questa minaccia imminente, la popolazione decide di organizzarsi e espellere l’azienda dalle proprie terre.
Paulo Carneiro affronta con straordinaria sensibilità visiva e politica la lotta del popolo di Covas do Barroso attraverso una narrazione che mescola elementi documentari e western Carneiro riesce a restituire non solo la forza della resistenza locale, ma anche il valore universale di questa battaglia, inscritta in un paesaggio che diventa simbolo di resistenza culturale e identitaria, non senza ironia.
A Savana e a Montanha, oltre a contenere un gioco di parole nel titolo stesso, utilizza l’effetto dell’ iris-in in apertura. Evidente è il riferimento a Il buono, il brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leone. Questo effetto non solo omaggia le tecniche visive classiche del cinema western, ma aiuta a stabilire fin da subito un tono particolare, preparando lo spettatore all’epica storia che seguirà. Inoltre, enfatizza la vastità e l’isolamento tipico del mondo western, pur utilizzando immagini documentarie.
Nel corso dell’intervista che segue, abbiamo chiesto al regista di condurci nel dietro le quinte delle sue scelte narrative e stilistiche, esplorando il significato del “nemico” e il delicato equilibrio tra realtà e finzione.
Dalla tensione tra il paesaggio naturale, quasi “fantastico,” e la lotta umana, alla riflessione politica sullo sfruttamento delle risorse, Carneiro ci offre una visione profonda e articolata del suo processo creativo e del messaggio che ha voluto trasmettere.
Intervista a Paulo Carneiro
La narrazione di A Savana e a Montanha alterna momenti di grande intimità con i protagonisti a sequenze ampie e distese della natura. Come hai lavorato sulla costruzione di questo contrasto visivo ed emotivo per raccontare la lotta del popolo di Cavas Barroso?
Fin dall’inizio, per noi era importante riuscire a mostrare l’intimità dei personaggi e il loro rapporto con il territorio. Per me questa scelta è molto chiara, serve a mostrare il rapporto tra l’uomo, gli animali e la natura, che qui è minacciato. Fare una mappa di questo luogo attraverso il suono e l’immagine aiuta a creare questo forte legame, una sorta di capsula territoriale che ci trasporta in questo Regno Meraviglioso (che è un riferimento allo scrittore Miguel Torga). L’altro rapporto cui tengo molto e spero emerga dal film, è quello col tempo, che intrattengono in modo diverso dalla città, da qui l’importanza di soffermarsi su queste sequenze idilliache.
Influenze culturali
Il film utilizza il paesaggio come metafora della resistenza, ma anche della vulnerabilità. Quali sono state le tue influenze visive o letterarie (a parte le evidenti citazioni di genere), nella scelta di rappresentare la natura come un personaggio vivo e partecipe?
Per me c’è, ovviamente, molto di Miguel Torga, uno scrittore portoghese che conosceva bene questo territorio, e che infatti ci ha trascorso molto tempo. Ovviamente pensare al cinema significa sempre pensare alla letteratura, alla musica, alla pittura. Più che avere qualcosa di molto specifico in mente, penso che questo film voglia che ci soffermiamo, che viviamo il paesaggio in un tempo prezioso che metta in evidenza come se ne possa “perdere” sempre meno. Questa è la lotta che esiste anche a Covas do Barroso, loro (e noi) stiamo lottando affinché il tempo che abbiamo lì continui ad esistere. Quindi, ovviamente, tutti quelli che mi influenzano sono i registi che mi interessano, soprattutto per quanto riguarda il cinema portoghese: Manoel de Oliveira, José Alvaro Morais, Paulo Rocha, ecc. ecc.

Miguel Torga, autore portoghese ispiratore del regista.
Nella struttura del film si percepisce un ritmo che alterna lentezza contemplativa e momenti di tensione crescente. Come hai deciso di bilanciare questi due elementi nella progressione narrativa? Quale valore ha per te l’ironia nel cinema militante?
Questi elementi appaiono naturalmente durante la scrittura della sceneggiatura. Sapevamo che era importante rafforzare la natura come personaggio, soprattutto in un film in cui il collettivo stesso è personaggio, molto di più che nel cinema classico nel senso della costruzione individuale di ogni carattere. Da lì in poi abbiamo cominciato anche a capire come distrarre i non-attori per poter fare dei film con loro, senza che fosse un lavoro duro come al solito. Questa ironia è tipica della regione Barroso/tras-os-montes, forse un po’ portoghese: autocritica, autoironia. Non è perché siamo ironici che il film abbia meno forza politica o sia meno impegnato. In effetti, questa era ed è stata la sfida più grande della sceneggiatura. Ma le cose sono accadute in modo naturale e in una misura che consideriamo il limite delle nostre responsabilità. Il cinema è un gesto, un modo di filmare e catturare il suono specifico per ogni idea originale, per ogni obiettivo di contenuto… Eppure è anche un lavoro molto minuzioso di equilibri che vengono raggiunti al di fuori del set, anche con il montaggio/mixaggio del suono, con tutte le componenti al di fuori di campi e controcampi che non esistevano al momento delle riprese.
Cinema di resistenza
La lotta contro la Savannah Resources è al centro della trama, ma emerge anche un senso più ampio di resistenza culturale e identitaria. Hai voluto collegare questa battaglia locale a temi globali più ampi ?
Non c’era alcun pensiero concreto a riguardo. Ogni volta che faccio un film credo piuttosto di lottare contro la scomparsa del cinema: accade sempre più di rado di vedere un film collettivamente in una sala. Realizzare questo film non è stato diverso. La battaglia di Covas potrebbe essere una battaglia qualsiasi. La sequenza finale è proprio questa: un atto di resistenza degli abitanti di Covas do Barroso contro una fine, uno strappo: questa fine potrebbe essere anche quella del cinema. Ma noi siamo qui per contrastarla. Per resistere.

Paulo Carneiro conclude l’intervista giocando col termine inglese “shoting” che compare nei titoli finali sulle immagini del film, non senza una buona dose di sarcasmo.
Nel finale del film si legge “Nessun nemico è stato colpito”. Quale significato hai voluto dare al termine ‘nemico‘ in questo contesto? È un riferimento alle forze esterne come la Savannah Resources o c’è un’accezione più ampia e simbolica che include altre forme di oppressione o minaccia? Tu ne hai ricevute durante l’ideazione/produzione/distribuzione del film?
Nessun nemico è stato colpito (perché sparare è anche filmare). Non usiamo il nemico per farci un film, non per colpirlo. Il cinema vuole essere quello che è, una menzogna totale. Finora stiamo aspettando una reazione ma penso che il film sia cresciuto troppo perché ciò accada: anche se dovesse succedere qualcosa sono protetto dal cinema, dalla menzogna, dalla finzione.
