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Giornate degli Autori

Giovanni Troilo e ‘L’America degli Invisibili’, una storia oltre i cliché

Giovanni Troilo racconta l’East Texas, fatto di foreste, paludi e piccole comunità, un’America che raramente trova spazio nel racconto mainstream.

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Il Texas non è solo deserti e cactus, e a dimostrarlo è Life Beyond the Pine Curtain – L’America degli Invisibili, diretto da Giovanni Troilo.  Si tratta di un documentario che esplora l’East Texas, una pianura attraversata dal fiume Sabine, ricoperta di fitte foreste di pini e punteggiata da paludi. Ad accompagnare il linguaggio visivo c’è la voce di Joe R. Lansdale, che ci guida oltre un confine invisibile per raccontare quattro vite che emergono in una terra sospesa tra religione, politica e identità.

Per Troilo questo film è stato un modo per sfatare i cliché più radicati sull’America rurale. Il progetto restituisce un ritratto intimo dell’America contemporanea nel pieno delle elezioni presidenziali, mostrando come in quell’angolo remoto di Texas le tensioni del Paese si riflettano nei gesti quotidiani, nelle chiese, nei campi e nelle case. Un’opera in programma alla Giornata degli Autori.

Sostiene che le famiglie sono come finestre con delle tende. E, nel film, sembra avere avuto la fortuna di trovare finestre con tende aperte. Dato che il documentario racconta l’America degli invisibili, quanto è stata difficile la fase di approccio e di costruzione della fiducia con le persone incontrate?

Quella è una frase di Joe R. Lansdale, che ci è sembrata calzare perfettamente con l’inizio della storia, che è probabilmente la più importante. C’è quella della famiglia che, al suo interno, racchiude la vicenda di una micro-comunità in embrione. Allora, per me in realtà L‘America degli invisibili non è tanto andare alla ricerca di storie di emarginati, ma più che altro storie e tratti di comunità che normalmente non vengono inclusi nel racconto mainstream. Quindi l’idea era proprio di andare un po’ oltre i cliché e, quindi, di andare a scoprire un Texas inedito.

L’East Texas, grazie anche all’accesso che ci ha offerto Joe R. Lansdale, è molto lontano dall’immaginario classico che abbiamo del Texas. Non ci sono cowboy, non ci sono cactus, ci sono basse foreste, popolate da comunità, abbastanza chiuse, ma non chiusissime. E poi siamo riusciti a entrarci attraverso alcune modalità di accesso: una di queste è stato il lavoro formidabile svolto da James Draper, che è un giornalista che vive a Gladewater. Un giornalista del Gladewater Mirror, che ci ha fatto conoscere alcune delle storie che poi abbiamo deciso di ritrarre.

Dunque l’America degli invisibili sembra ritrarre un paese dove la fede si mescola con pratiche di ogni tipo. Per esempio, un’immagine che è rimasta molto impressa è la preghiera con la bandiera del Vaticano durante un allenamento di tiro. Che forma di fede è riuscito a cogliere in questa comunità?

Il lavoro di Life Beyond the Pine Curtain è quasi un secondo macro capitolo di uno più ampio che abbiamo fatto con questo prototipo di produzione, con Sky TG24, Sky Documentaries, Chiarafama. Con l’idea era di andare a raccontare le elezioni americane. La prima parte di questo lavoro è già andata in onda: il documentario si chiama Democracy in America. Abbiamo ritratto Marlena Cooper, candidata democratica, la prima dopo diversi decenni che si presentava all’elezione, e la primissima donna nera contro un candidato repubblicano.

L’esito lì era praticamente scontato, e consideriamo che in quell’area i repubblicani fanno circa l’80%. Quello che, in generale, è una parte della storia di Tristan e della sua passione per la bandiera del Vaticano, è proprio quanto sia radicata, nell’idea anche proprio di Stato americano la religione. Devo dire che questa cosa mi ha molto colpito, perché siamo sempre abituati a essere un po’ noi aditati come quelli che mescolano politica e religione  con il Vaticano in Italia, e, lì, invece sento un’influenza molto più presente. Basta un ragionamento di base: sul dollaro americano c’è scritto

In God We Trust

quindi capiamo quanto la religione sia parte dei valori fondanti della democrazia americana. Quindi è questo, insomma, il dato che mi ha sicuramente segnato di più. Poi ho scoperto un trattato che si chiama Democrazia in America di Alexis de Tocqueville, che già diversi secoli fa notava questa grandissima differenza tra le democrazie europee e quella americana.

Tornando poi alle elezioni: nel documentario la figura maschile che sostiene Trump è dominante. Che tipo di coinvolgimento politico è riuscito a riscontrare da parte delle donne incontrate?

Come dicevo, se l’80% dei votanti alla fine vota repubblicano, insomma, lì ci sono poi i repubblicani. Uno dei nostri personaggi,  Lois Reed,  la responsabile della Camera di Commercio di questo piccolo comune che è Gladewater, è assolutamente repubblicana, assolutamente pro-Trump. Poi c’è da dire che molti repubblicani non hanno votato per Trump, probabilmente hanno cercato un altro candidato.

Tuttavia, la necessità di restare fedeli al Partito Repubblicano e alcuni scogli enormi imposti, per esempio, dalla questione dell’aborto, hanno fatto convergere la maggior parte dei voti verso i repubblicani. Per un credente, infatti, votare a favore dell’aborto significa, in qualche modo, violare uno dei patti più inviolabili: quello della sacralità della vita.

La dicotomia tra l’agricoltura come tradizione e il petrolio come futuro è un punto forte nel film, specialmente all’inizio. In un’epoca di emergenza climatica come adesso, quale forma ha avvertito nei personaggi? Una sorta di rassegnazione o un fatalismo?

Devo dire la verità: è un tema che proprio non ho sentito come urgente a quelle latitudini. Non si pone granché attenzione all’attività che ho esplorato sulla questione climatica; è come se fosse complice anche la natura incontaminata che circonda queste città e un clima generalmente temperato, nonostante a luglio le temperature possano superare i 40 gradi.

Però è un tema che, in qualche modo, sembra non essere così urgente e si fatica a cogliere la correlazione tra l’abitudine a usare automobili con cilindrate, per noi, astronomiche e il cambiamento climatico. O anche con la necessità di climatizzare le estati, sempre più calde e umide. Ho visto che, all’interno delle abitazioni, mediamente ci sono 15, 16, 18 gradi al massimo: molti non hanno proprio posto la questione.

Come ultima domanda: c’è stata una domanda che lei si è posto all’inizio e a cui il film le ha dato una risposta nel corso delle riprese, oltre alle elezioni stesse?

Allora, io ero già stato in America per raccontare le elezioni di Obama. In quel caso avevo fatto un viaggio che ha attraversato il Midwest partendo dal Michigan e arrivando al Colorado. Quindi credevo di conoscere un pochino meglio l’America. E invece le storie e le comunità che abbiamo trovato in Texas mi hanno sorpreso fortemente. Il Texas è davvero, in qualche modo, uno Stato nello Stato, un mondo a sé. È lì che ho conosciuto l’anima più profonda dell’America.