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Conversation

‘Toni, Mio Padre’ conversazione con Anna Negri

Il rapporto tra un padre e una figlia si confronta con uno dei momenti più drammatici della storia italiana. Di ‘Toni, Mio Padre’ abbiamo parlato con Anna Negri

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Alle Giornate degli Autori a Venezia 82 arriva Toni, mio padre di Anna Negri. In occasione del festival abbiamo fatto alcune domande alla regista Anna Negri.

Anna Negri e il rapporto col padre in Toni, mio padre

La sequenza che apre Toni, mio padre è rappresentativa del sentimento che ti ha spinto a farlo? Vorrei partire dall’immagine iniziale dello studio di tuo padre dopo il suo arresto. 

Quello che si vede in realtà è lo studio della casa di Parigi mentre nel film, citando il mio libro, faccio riferimento a quello di quando mio padre fu arrestato. E di come da ragazzine cercassi la presenza di Toni in quel luogo pieno d’assenza.

Del rapporto con la figura paterna dici di come sia stato difficile scindere la parte privata da quella pubblica, l’attivista politico dal padre, tanto in lui le due dimensioni erano di fatto sovrapposte. Le immagini che aprono il film confermano lo stretto legame di questi due aspetti. 

Sei il primo che mi fa riflettere sul significato di quelle immagini ed è giusto quello che dici, perché lo studio vuoto evoca l’assenza di mio padre: mi sono resa conto solo ora, parlando con te, che ho iniziato il film replicando ciò che facevo a quattordici anni quando mi sedevo nello studio tentando di ricomporre la figura di mio padre.

Al contrario le immagini finali, con te insieme a tuo padre, esprimono il sentimento contrario e dunque il compimento di un percorso esistenziale che anche attraverso il film ha ricomposto una parte di quella frattura. 

Sì, assolutamente. Se ci pensi nelle ultime due scene davanti alla mpd ci siamo io e mio padre.

Una figura immortale

Sono immagini poetiche non solo per la sintesi del pensiero che portano avanti, ma anche per l’uso emotivo della musica. Peraltro concludendo il film, con tuo padre ancora vivo e senza fare alcun accenno alla sua scomparsa, è come se lo relegassi a un’immortalità che lo rende ancora vivo dentro di te. 

La musica è stata composta da una giovane donna di grande talento, Giulia Tagliavia, che ha subito capito la temperatura emotiva del film. Quella scena di cui parli è l’ultima cosa che ho girato di lui e l’ho messa alla fine, diciamo che per me risuonava come un accompagnamento… Come pure la presenza dell’acqua con noi due insieme sul Canal Grande fa pensare a una sorta di ritorno alle origini.

A me Toni, mio padre è piaciuto molto, non solo per il suo valore storico ma anche perché il rapporto con Toni mi ha fatto ripensare a quello con mio padre. Parliamo di un sentimento universale che contribuisce a rendere la narrazione del film molto coinvolgente.  

In effetti quelli che l’hanno visto mi hanno detto la stessa cosa, ovvero che nel confronto tra me e mio padre si sono immedesimati ripensando alla loro esperienza personale. In molti ha suscitato quel rimpianto che nasce dalla consapevolezza di non avere avuto il tempo per chiarire i rispettivi sospesi.

Anche a me le circostanze non hanno permesso di farlo, o forse non abbiamo trovato il coraggio di metterci a nudo come avete fatto voi. 

Per noi è stato necessario farlo perché era l’unico modo per liberare entrambi.

Anna Negri e il suo cinema

In Toni, mio padre l’assenza è anche la tua. Mi riferisco alla lontananza dal cinema, considerando che la tua ultima regia, Riprendimi, è datata 2008. Il film ce ne aiuta a capire le ragioni che hanno a che fare con il ritorno di Toni in Italia, condizione questa che ha finito per condizionare il proseguimento della tua carriera.  

In realtà dopo Riprendimi il mio lavoro da regista è proseguito in televisione e nelle serie ma è vero che esiste un nodo rispetto a questo argomento. Diciamo che il ritorno di mio padre in Italia nel ’97 ha problematizzato molto il mio rapporto col fare cinema nel mio paese, quello sì. Considera che ho tolto una scena in cui questa cosa veniva affrontata in maniera più diretta preferendo chiudere con quella in cui siamo tutti e due di profilo. Era meno esplicita, ma più commovente.

Tra i pregi del film c’è quello di vedere Toni Negri in una veste inedita. Di tuo padre la Storia ci aveva fatto conoscere un uomo molto sicuro di sé e delle sue idee, mentre qui c’è posto anche per una versione più intima in cui l’uomo ci concede di vederlo alle prese con le sue fragilità. 

Sì, è vero ma è stato generoso anche lui a prestarsi quando poteva benissimo sottrarsi. Diciamo che è stato un atto d’amore nei miei confronti.

La messa a nudo di Toni è restituita anche dalla forma delle immagini. Escludere la realtà circostante concentrandosi in maniera quasi claustrofobica sulla sua figura equivale a replicare la scomodità della sua posizione, quella di dover rispondere alle domande che lo chiamavano in causa come padre.

In effetti c’è un cambiamento di senso che procede in maniera cronologica. Prima ci sono queste interviste frontali poi a un certo punto subentra Stefano Savona che mi permette di entrare dentro la scena filmando anche me. Quel momento corrisponde alla consapevolezza che per raggiungere un grado maggiore di intimità mi dovevo mettere in gioco anche io.

L’arresto

Nel corso del film affermi che il giorno dell’arresto di tuo padre è quello che fa la differenza nella tua vita. Questo succede anche alla forma del film che cambia da quel punto in poi.

Sì certo, mi fa piacere che tu lo abbia notato.

Anche perché all’inizio il film parla di lui e della sua vita. Quando poi la narrazione include anche te le immagini cambiano, aprendosi alla realtà degli altri e in particolare di quella che vi riguarda più da vicino… Ancora sulla forma mi viene da dire che la frammentarietà della narrazione sia la più adatta per rendere tangibile la difficoltà a intavolare un discorso a due. 

Certo, assolutamente. La difficoltà è stata anche quella di mettere insieme discorsi che iniziano un giorno per poi concludersi magari due anni dopo. Poi credo anche che quando hai cose nuove da dire devi adottare una forma sperimentale. Rimanere dentro canoni precostituiti vuol dire abbassare il livello della ricerca. Per evitare questo io e Ilaria Fraioli, la mia montatrice, abbiamo  passato molto tempo a lavorare sul montaggio. Avevamo una quantità di materiale e di filmati davvero belli che avevano però la necessita di essere organizzati non solo in maniera razionale ma anche sentimentale.

Il trauma familiare

Toni, Mio Padre è quanto di più lontano dal biopic classico, quello in cui la vita è ordinata in maniera lineare dall’inizio alla fine. Nel corso del film sia tu che Toni siete più volte sul punto di interrompere le riprese. La forma del film è coerente con la precarietà del vostro rapporto. 

Toni, mio padre era iniziato come un biopic, ma poi, siccome continuavamo a litigare, ho capito che in realtà il dispositivo per raccontare questa storia era la nostra relazione. Questo mi ha consentito di mostrare il trauma famigliare e allo stesso tempo mi sono resa conto che la realizzazione di questo film poteva darci la possibilità di affrontarlo insieme.

Il trauma familiare è un elemento drammaturgico molto forte che tu fai vivere dentro il film senza alcuna mediazione. 

Quando discutevo con Toni ero così presa che le mie reazioni sono del tutto spontanee. A questo proposito mi viene in mente la sequenza in cui parliamo della rivolta nel carcere di Trani. Nel rivedere il materiale ho avuto l’impressione di guardare una pièce teatrale, con noi che non eravamo più gli stessi bensì due personaggi che interpretano un dialogo tra padre e figlia. Nel corso del montaggio la mia esperienza con il cinema di finzione mi ha dato la chiave per trattare le varie scene come pezzi di teatro, pur sapendo che non c’era nulla di finto in ciò che stavo guardando.

Anna Negri e il biopic

Il rischio del biopic era quello di soffocare la portata drammaturgica della materia filmica.

Ero consapevole di avere di fronte una storia che affrontava temi importanti come il confronto tra la grande Storia e il vissuto personale, come pure il prezzo da pagare rispetto a talune scelte, o la vicenda di un padre che trascura i figli perché impegnato a cambiare il mondo. Insomma avevo tra le mani tanti di quegli spunti da poterci fare dieci film.

Il vostro confronto assume i tratti di una vera e propria seduta psicoanalitica. Ne danno conto le immagini organizzate in una struttura a flusso di coscienza dove passato, presente e futuro si mescolano diventando intercambiabili. 

Il processo di risemantizzazione dei materiali d’archivio e dei nostri filmini famigliari è parte di quello che tu chiami flusso di coscienza. Nel corso della selezione insieme alla montatrice abbiamo fatto delle scoperte che ci hanno lasciato a bocca aperta, con vecchi home movies che sembrano anticipare gli eventi di oggi fornendo risposte alle domande che mi pongo nel corso del film.

Tra i materiali inseriti c’è anche quello riguardante il matrimonio dei tuoi genitori. Rivederli insieme così felici e ignari di quello che sarebbe successo deve essere stato molto emozionante. In che misura nella scelta dei materiali hai dato spazio al fattore emotivo?

La componente emozionale ha contato molto. Il filmino del matrimonio sembra riflettere una Golden Age con loro due bellissimi, salvo poi ritrovarli anni dopo completamente cambiati. Soprattutto mia madre, che dopo dodici anni sembra un’altra donna.

Peraltro di tua madre fai un ritratto bello e sfuggente. Lei sembra una diva del cinema e come quelle per certi versi inafferrabile come un personaggio del noir. Immagino si tratti di una voluta reticenza?  

Non volevo raccontarla troppo per rispetto nei suoi confronti. Detto questo, nel film sentiamo che da lei proviene una grandissima energia. D’altronde Toni parla spesso di lei.

La definisce l’incontro più bello della sua vita. 

Infatti. Nel film vediamo come la loro storia non abbia retto agli anni di prigione e alla successiva latitanza. Per il resto ho preferito farla apparire come un personaggio di un grande romanzo familiare, non potevo andare oltre perché era un personaggio così ricco che avrei dovuto dedicarle un altro film.

Toni, mio padre a Venezia

Un aspetto che mi ha colpito, e credo che sarà così anche per gli spettatori che vedranno il film a Venezia, è il modo in cui affronti la questione politica relativa a tuo padre. Intendo dire che riguardo alle accuse che gli sono state rivolte avresti potuto utilizzare il film per sostenere le ragioni di tuo padre. In questo senso è come se quel discorso fosse stato dato per concluso nel rispetto delle esiti stabiliti dalla legge e dalla storia.

Sì, diciamo che Toni, mio padre racconta ciò che è successo in maniera sottile. Di sicuro i più giovani non sanno delle accuse sproporzionate che sono state fatte a mio padre. È stata un’esperienza dolorosissima alla quale siamo sopravvissuti con molta dignità.

Portare il film a Venezia è stata una scelta coraggiosa perché si potrebbero verificare polemiche o reazioni ostili.

Sì, lo so, ho un trauma da esposizione mediatica dovuto al collegamento con la figura di mio padre. Nello stesso tempo però il film racconta anche il disagio della mia generazione, venuta dopo gli anni di piombo, quella – come dico nel film – “arrivata alla chiusura del sipario”. Mi riferisco al disagio di chi si è ritrovato in una realtà in cui erano spariti gli ideali. Di fronte alle rimostranze di mio padre e di quelli della sua generazione pronti a dirci che noi non possiamo capire cosa voleva dire vivere nella loro epoca, chiedo che me lo si racconti perché quell’esperienza non l’ho mai potuta fare.

Il contesto

Il film ribadisce un’altra cosa importante e cioè che anche tu sei stata una vittima di quella stagione. 

Mi è difficile definirmi una vittima delle circostanze, perché è stata comunque un’esperienza che mi ha molto arricchito da un punto di vista umano. Partendo dal fatto che i genitori non si possono scegliere, secondo me il film racconta un determinato passaggio epocale che rende anche la storia della mia famiglia molto più complessa di quanto non può sembrare di primo acchito. Per esempio, affermare che mio padre ci ha abbandonato sarebbe falso perché in realtà lui non se ne è andato ma è stato messo in carcere. È questo il tipo di difficoltà di analisi dei fatti che raccontiamo. Forse è per quello che, come dici tu, la struttura a flusso di coscienza è quella più adatta per comprendere i temi del film. Toni, mio Padre fornisce  allo spettatore gli elementi in maniera delicata e lo lascia libero di farsi la propria idea su ciò che è successo.

Come detto sopra al film ha collaborato Stefano Savona. Come si è svolto il vostro lavoro?

Con Stefano siamo amici da almeno quindici anni. Quando gli ho fatto vedere il materiale già girato è stato lui a dirmi che la relazione tra me e mio padre era il cuore del film. Insieme abbiamo scritto un trattamento basato su quello che avevo già filmato, poi è venuto a Venezia per girare le scene in cui comparivamo io e mio padre. Quello con Stefano è stato un rapporto importante perché mi ha fatto sentire al sicuro davanti alla mdp.

Il rapporto tra Toni e il film

L’idea che mi sono fatto è quella che Toni avesse a cuore di finire il film quanto te. La misura di quanto ne fosse coinvolto emerge nella scena in cui ti dice di mettere una vostra discussione all’inizio del film, percependone la forza drammaturgica. 

Secondo il mio amico Emanuele Trevi, Toni era un grandissimo critico letterario. Con quell’affermazione dimostra la sua capacità di astrarsi e di capire il valore narrativo di un determinato passaggio.

Nel film dice che sei tu quella che ha le redini del film mentre alla fine viene fuori che anche lui aveva bene in testa il progetto. 

Purtroppo non è riuscito a vedere il montaggio per cui non sappiamo che reazione avrebbe avuto. Però mi ricordo che durante la fase del lockdown in una delle tante conversazioni via zoom mi disse che secondo lui per raccontare una vita strampalata come la sua avrei dovuto fare il film come un flusso di coscienza.

Non si limitava a subire il film, ma lo faceva insieme a te.

Questo succede perché lui era lui e io non sono una documentarista che vuole apparire invisibile ma interagisco con la persona mettendomi sullo stesso piano. Secondo me, se vuoi che qualcuno si esponga davvero lo devi fare anche tu, soprattutto in un racconto familiare, dove ognuno ha la sua versione dei fatti.

L’espressione del viso quando tuo padre ti chiede scusa ci consegna un’immagine trasfigurata di Toni Negri. Come per miracolo è li che si compie la scissione tra pubblico e privato. In quel momento davanti a te c’è solo tuo padre.

Quella è la penultima scena che abbiamo girato e l’ho mantenuta al montaggio perché mi sembrava che fosse esplicativa della fine di questo percorso. Ero felice  per essere arrivata a vivere quel momento.

Il cinema di Anna Negri

Di solito concludiamo queste conversazioni chiedendo al nostro ospite il cinema che gli/le piace. 

Il cinema che preferisco più di tutti è quello di John Cassavetes, per questo tra le mie principali referenze figurano film come Nick’s Movie di Wim Wenders, Nobody’s Business di Alan Berliner No home movie, in cui Chantal Akerman racconta sua madre. Questi sono stati i miei tre capisaldi. Dei film recenti sono pochi quelli che mi rimangono in mente, ma Civil War di Alex Garland mi è rimasto impresso perché sembra una profezia su quello che sta succedendo.

Toni, mio padre

  • Anno: 2025
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Anna Negri