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Conversation

‘Occhi Blu’. Conversazione con Matteo Cocco

Con immagini del Film in esclusiva

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Occhi Blu di Michela Cescon è un esordio alla regia per molti versi sorprendente, segnato com’è da una vertigine visiva in cui la città di Roma appare come non lo era mai stata. Parte in causa della sua riuscita, abbiamo chiesto al direttore della fotografia Matteo Cocco di raccontarcene il processo creativo dal suo punto di vista.

PS. Le immagini a corredo dell’intervista sono costo fotogrammi esclusivi del film che Matteo Cocco. ha regalato a taxidrivers.it    

Occhi Blu secondo Matteo Cocco

Tra i protagonisti di Occhi Blu c’è la città di Roma. Per introdurre il discorso sul film di Michela Cescon, volevo partire dalla constatazione più evidente e cioè che la metropoli vi appare diversa da tutte le altre rappresentazioni cinematografiche in una costante sospensione tra passato, presente e futuro. 

Il film è carico di immagini che nascono dal carattere mitologico della nostra percezione della città e dalla scrittura di Michela Cescon. C’è stata una precisa volontà di raccontare Roma attraverso i suoi simboli più conosciuti, ma anche quelli che lo sono meno. Ci sono luoghi e simboli e alcuni di questi appartengono all’immaginario cinematografico della città eterna. Altri invece ci portano altrove, nel tentativo di suggerirci nuovi percorsi.

La Piramide Cestia nell’economia della storia prende il posto del Vaticano, a sottolineare come la Roma di Occhi blu sia una città pagana e precristiana, più vicina alla città delle origini.

Sono tutti luoghi pensati per raccontare una Roma molto precisa ed estremamente personale. È una visione della metropoli lontana da quella più pop e dunque non per forza accessibile a tutti. Ci siamo chiesti come raccontare una città che cinematograficamente è stata tramandata da moltissimi autori. Abbiamo tentato di distaccarla da tutti i suoi barocchismi e dai suoi eccessi. La Roma di Occhi Blu è completamente vuota, non ci sono persone, gli elementi all’interno dell’inquadratura sono ridotti all’osso. È un mondo a tratti stilizzato, simile a quello di una graphic novel.

I colori e la visione della scena

Parlando di colori, nella prima scena la veduta del Tevere restituisce un pezzo di Roma lontano dalla tradizione iconografica. Il fiume non è più biondo, come lo descriveva Virgilio, ma nero come la tuta da motociclista della protagonista. Un’analogia di colore che racconta di come la storia della protagonista sia la storia della città. Da questo punto di vista la prima sequenza costruisce la simbologia della storia e dei colori destinata a caratterizzare il corso del film.

Se la struttura narrativa di Occhi Blu è scandita da luoghi simbolici, la ripetizione di certe geometrie è sostenuta da uno schema di colori studiato e pensato per essere estremamente semplice e lineare. Credo fortemente nella semplicità. Penso che le idee più forti siano quelle comunicate nella maniera più diretta. In un film così stilizzato è fondamentale definire in pochissimo tempo le regole del gioco in termini visivi. Tutto viene raccontato nei primi minuti del film: il colore, la composizione delle inquadrature e il personaggio. Si comincia da qui e si va avanti.

La luce in Occhi Blu secondo Matteo Cocco

Nella prima scena a spezzare la predominanza del nero è la luce bianca e abbagliante prodotta dai lampioni, uno schema coloristico poi rintracciabile in molti interni del film. Tenuto conto della drammaturgia del film e della simbologia dei colori sembra quasi che il farsi largo della luce bianca, rispetto al nero pece degli ambienti, rappresenti un’ultima possibilità di redenzione rispetto a un’umanità in via di perdizione.

È un’analisi molto interessante rispetto ad un percorso seguito in parte in maniera inconsapevole, basato anche sulle varie ispirazioni di questo film. Dopo aver letto la sceneggiatura ho detto a Michela che avevo immaginato la luce di un film in bianco e nero. Non a caso Occhi blu si ispira a generi molto specifici. Ci sono gli elementi del noir e quelli del polar francese. Partendo da questo mi sono detto che il film aveva una connotazione moderna, anche se al di fuori dal tempo. Alcuni elementi ci riportano alla contemporaneità, anche se non ci sono telefoni cellulari, schermi di computer, televisori. Per questo ho pensato che il modo migliore per approcciarsi alla storia fosse proporre qualcosa che inconsciamente – anche per il pubblico – fosse già stato visto, in un’analogia con i vecchi film in bianco e nero, dove la luce che passa attraverso le persiane diventa forma, con dei tagli che scolpiscono i volti dei personaggi. Quella luce che nel bianco e nero ha un carattere espressivo di un certo tipo, qui viene reinterpretata in un contesto contemporaneo in cui l’aggiunta dell’elemento cromatico le fa assumere un tono diverso.

Si tratta di una luce caravaggesca, nel senso che il suo biancore e la maniera in cui viene originata sembrano tutto fuorché naturali. Parliamo di una luce fortemente espressionista.

Sì, il principio è esattamente questo. Nel momento in cui si fa cinema di genere la complessità consiste nel trovare il giusto equilibrio tra espressione, luce e colore, senza mai trascurare la narrazione. Quando concepisco l’impianto visivo di un film, miro a costruire un dialogo tra immagine e storia, tra espressione e realtà. Nel mondo del film le immagini devono essere coerenti e verosimili.

La città di Roma al centro

Con un processo di trasfigurazione simile a quello fatto da David Lynch in Mulholland Drive, Occhi Blu racconta una Roma che non esiste, ovvero i fantasmi di una città divenuta arcaica e primordiale come la gente che la abita.

Questo aspetto ha a che fare con i personaggi e la loro storia. Non a caso i protagonisti sono estremamente lineari, molto stilizzati e volutamente bidimensionali. Hanno delle traiettorie estremamente semplici e vivono d’istinti. Sono personaggi di pancia, più che di testa. Quello di Valeria, per esempio, è un personaggio senza passato né futuro.

Proprio perché non ha una storia, il personaggio di Valeria non ha neanche una figura intera. Nel senso che tu, salvo rare eccezioni, non la riprendi mai per intero. In più mi pare che tu la manifesti come se fosse un’estensione della sua motocicletta e anche viceversa.

In generale il film è costruito come se i personaggi fossero delle pedine su un campo da gioco: è tutto molto semplice, molto diretto. La città è vuota, non esiste nessuno a parte i personaggi raccontati. Il personaggio di Valeria è inafferrabile ed è per questo che la macchina da presa non riesce mai a catturarla nella sua totalità.

Elementi grafici voluti anche da Matteo Cocco in Occhi Blu

Nelle immagini la prevalenza del segno grafico è (anche) visualizzata nella scena all’interno del commissariato in cui Roma è resa attraverso la ragnatela di linee rosse che costituisce la piantina della città. Peraltro questa predominanza di linee e forme geometriche ritorna nella maniera netta e pulita in cui avete filmato certi edifici di cui riusciamo ad apprezzare le forme delle silhouette. Per contro, in altri passaggi a prevalere è un segno più sporco, di matrice impressionista, con le linee che si perdono nella velocità del frame.

Abbiamo appositamente scelto dei luoghi che favorissero l’evidenza di elementi grafici. Eravamo istintivamente attratti da tutto ciò che potesse creare una cornice intorno ai personaggi. E, in alcuni di questi luoghi, l’elemento grafico l’abbiamo portato noi. Questo per ricordarci sempre che i personaggi non sono che pedine nelle mani di un narratore.

I luoghi di Valeria sono ad esempio definiti da ricorrenti forme circolari. Penso ai mobili e agli accessori della sua casa, ma anche alla tromba delle scale attraverso cui vi accede.

Una circolarità che si rifà a quella dell’iride degli occhi, che danno il titolo al film. Le geometrie e gli elementi grafici sottolineano la complessità di un caso irrisolto. Più il film va avanti e più i nodi narrativi si sciolgono e le forme si semplificano. Si parte con un’accumulazione di elementi e si arriva alla risoluzione sia narrativa che visiva del racconto. Non a caso una delle ultime inquadrature del film ci mostra un personaggio sospeso sulla linea dell’orizzonte che separa il mare dal cielo.

La stessa cosa succede nei colori, perché, quando alla fine Valeria rispunta dal nulla, il paesaggio è illuminato e solare come mai lo era stato. Il buio si scioglie, facendo entrare il sole.

Questo fa parte di uno sviluppo cromatico che segue la naturale progressione narrativa e drammaturgia. È come se la strada fosse già segnata. Se si paragonano le prime e le ultime immagini si nota una grandissima differenza, ma nel flusso visivo del film non ci sono mai picchi, né contrasti troppo forti tra una situazione e l’altra. Come dicevamo all’inizio, il mondo del film viene definito già nelle prime immagini.

Passato e presente

La dicotomia tra ordine e caos esiste anche nel modo in cui mescolate la classicità delle forme allo stile post industriale. In molti interni c’è questa convivenza di forme, come pure nelle architetture e nelle scenografie. Una scelta che va a favore della cosiddetta atemporalità della storia

Nasce tutto dall’esigenza di contestualizzare la storia in un luogo fuori dal tempo. La tecnologia moderna non esiste, i poliziotti non indossano la divisa. È una realtà simile alla nostra e al tempo stesso molto distante.

Le caratteristiche da graphic novel sono date anche dalla stilizzazione dei personaggi. Il francese, interpretato da Jean-Hugues Anglade, è reso alla maniera di certe tavole di Frank Miller, ovvero con la figura ottenuta attraverso l’evidenza data alle linee dei suoi abiti in questo caso dal cappotto che gli arriva fino ai piedi.

Tutti i personaggi dovevano avere una loro immagine e una caratteristica estremamente riconoscibile. Come gli altri, anche quello di Anglade è un personaggio molto semplice, un commissario francese il cui unico obiettivo è quello di vendicare la morte della figlia. Lui lo persegue andando per una linea retta: il suo non è un percorso tortuoso. Questa cosa andava sottolineata anche in termini visivi, cioè la sua immagine doveva essere molto chiara e precisa. Il personaggio subisce poi un cambiamento radicale, ma questo fa parte del gioco con un genere come il polar!

Il personaggio di Valeria in Occhi Blu secondo Matteo Cocco

A differenza di quello di Valeria, la cui ambiguità ritorna anche nel modo in cui la filmate. Lei è un mito anche per i suoi avversari che le riconoscono l’abilità di non farsi mai catturare. Le inquadrature che la riguardano lasciano il più delle volte coperta parte della sua silhouette. Anche quando riusciamo a vederla in maniera più chiara appare sempre diversa, alcune volte bella e moderna, altre spenta e retrò. Lei è tante donne in una.

Quello di Valeria è un percorso meno lineare. È comunque molto semplice, sottolineato dal modo in cui io e Michela abbiamo deciso di raccontarla. Anche nelle sue molteplici trasformazioni, Valeria non è mai la stessa donna. La restituiamo al pubblico sempre in maniera diversa. A volte è dura, fredda, distante, altre volte è fragile e sensuale. Anche il racconto della sua femminilità è un esercizio di equilibrio molto delicato.

A proposito di questo, c’è un momento unico in cui lei si concede al piacere con uno sconosciuto. Nel corridoio d’albergo che li porta all’alcova c’è un cambio netto della fotografia, con le tonalità scure che sembrano quasi sciogliersi nel bianco abbagliante della luce. 

Sì, lì viene introdotto un colore: il verde del corridoio e delle luci al neon. È una sequenza un po’ a sé, scollegata dalle altre. È come se fosse un capitolo a parte, come una cosa separata che ci aiuta a definire la protagonista.

L’esordio alla regia di Michela Cescon

Abituato a conoscere Michela Cescon attraverso il suo percorso di attrice il suo esordio alla regia è stato spiazzante perché fuori dall’immaginario che di norma le si attribuisce.

Decisamente spiazzante, soprattutto in un mondo in cui, quando un attore esordisce nella regia, ci si aspetta un film dove l’elemento attoriale fa da protagonista. Michela ha invece concepito e scritto un racconto con pochissimi dialoghi, dove la protagonista trattiene costantemente le sue emozioni e in cui la sottrazione diventa narrazione. Questo nasce anche dalla grande passione che Michela ha per il polar, che è un genere glaciale.

Occhi Blu conferma l’eterogeneità delle tue scelte. Il film della Cescon è la sintesi di un percorso, il tuo, in cui la prevalenza del visivo è preponderante, riuscendo a coadiuvare le parole nel racconto del film. Per certi versi Occhi Blu potrebbe essere un film muto talmente le immagini sono in grado di comunicare con lo spettatore.

Tutto questo rappresenta per me una grande sfida. Il cinema non è fatto solo di immagini, anche se sono proprio le immagini a guidarci nella fuga dalla nostra realtà. I film che vediamo, così come i libri che leggiamo, ci aiutano a formulare nuovi pensieri e a creare nuovi mondi. Quando l’immagine e la parola si uniscono,  allora è lì che si concretizza quella che è la magia del cinema.

Il film è distribuito da I Wonder Pictures.

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Occhi Blu

  • Anno: 2021
  • Durata: 86
  • Distribuzione: I Wonder Pictures
  • Genere: Thriller
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Michela Cescon
  • Data di uscita: 08-July-2021