Il quadro rubato di Pascal Bonitzer induce, innanzitutto, a una riflessione. Cosa distingue un bel film? La scelta stilistica del regista, la recitazione degli attori, i dialoghi, la fotografia, i costumi, la colonna sonora? Non solo.
Credo che a decretarlo sia, soprattutto, la capacità del regista di infondere nello spettatore il desiderio che il film non abbia mai fine.
É quello che accade nel corso della visione de Le tableau volè (titolo originale) del film, diretto in maniera esemplare dal regista parigino, ex critico dei Cahieurs du cinema e co-sceneggiatore di Techinè, Rivette, Ruiz e Fontaine, alla sua nona regia.
Dopo la calorosa accoglienza al Bif&st – Bari International Film, il film arriva finalmente nelle sale italiane l’8 maggio 2025, distribuito da Satine Film.
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‘Il quadro rubato’: una dissacrante analisi del mercato dell’arte
Martin Keller (Arcadi Radeff), giovane operaio, vive con la madre a Mulhouse, un paesino della Francia. Scopre, per caso, che nella casa dove vive, acquistata alcuni anni prima, campeggia I girasoli, dipinto nel 1939 dal pittore austriaco Egon Schiele, per tutti, ormai, perduto.
Tramite un’avvocatessa, contatta Andrè Masson (Alex Lutz), banditore della famosa casa d’asta Scottiie’s che, credendolo un falso, si reca svogliatamente a casa sua, in compagnia di Bertina (Léa Drucker), collega, esperta d’arte, ed ex moglie.
Con loro grande sorpresa, i due scoprono che il capolavoro è autentico e Andrè si attiva immediatamente per organizzare un’asta milionaria.
Si scopre però che i vecchi proprietari della casa dove vive Martin, avendo collaborato con i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, avevano avuto in dono il quadro, giudicato dai tedeschi, “arte moderna degenerata”.
Il dipinto trafugato dai tedeschi, è quindi di proprietà di Walhberg, un ebreo, mercante d’arte, i cui eredi, scoperto il ritrovamento del dipinto, reclamano la totale paternità dell’opera.
Masson vede così sfumare il colpo della sua vita, ma Aurore (Louise Chevillotte), la sua stagista, ha forse un asso nella manica.

I girasoli di Egon Schiele, metafora dello scompaginamento emotivo dei protagonisti
Bonitzer, autore anche delle musiche, impagina una vicenda appassionata e appassionante, tratta da una storia vera, e fa luce sul mondo delle prestigiose case d’aste e del mercato internazionale delle opere d’arte.
Come è noto, Schiele dipinse I girasoli, in omaggio al famoso quadro di Van Gogh, ma li raffigurò come morenti, perché era in corso la Seconda Guerra Mondiale.
Rispetto all’impareggiabile La migliore offerta di Giuseppe Tornatore (2012), il regista parigino sposa in qualche modo i toni del thriller e non a caso, lascia che il quadro simboleggi lo stato d’animo dei personaggi.
Martin sbarca il lunario, lavorando come operaio di notte. Vive con la madre, vedova, ed è un ragazzo timido e impacciato.
L’inquieta e problematica Aurore, bugiarda patologica, ha un rapporto conflittuale con il padre, vecchio mercante di libri antichi, caduto in miseria, dopo essere stato truffato da un socio in affari.
Andrè, banditore d’asta affermato, solo e tormentato, poco amato dai colleghi, affoga le frustrazioni nell’alcol e, burbero e tagliente, è incapace di relazionarsi con chi gli sta attorno.
L’unica che sembra aver trovato un certo equilibrio è Bertina che, sul finale, inizia una love story con l’avvocatessa di Martin.
Più che una riflessione sulla bellezza, ne Il quadro rubato il regista parigino punta il dito sulla mercificazione dell’arte ad opera di mercanti senza scrupoli. A dire il vero, Andrè e Bertina si commuovono vedendo I girasoli e sono conquistati dal dipinto, ma, di fatto, anche loro alimentano il lucroso mondo delle aste.
Nel film, non mancano i nei. Innanzitutto, il titolo è stranamente confusivo, perché, a ben guardare, I girasoli più che rubato, è da considerare un dipinto ritrovato.
Nel finale sdolcinato, poi, gli eredi del dipinto, donano al giovane Martin il dieci per cento del ricavato della vendita del quadro. Miracoli della fiction.