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‘Julie ha un segreto’ conversazione con Leonardo Van Dijl

In 'Julie ha un segreto' il silenzio fa più rumore di mille parole. Del film abbiamo conversato con il regista Leonardo Van Dijl

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leonardo van dijl

Presentato in anteprima alla Semaine della critique a Cannes 2024 e successivamente alla Festa del Cinema di RomaJulie ha un segreto di Leonardo Van Dijl racconta il silenzio dell’adolescenza.

Distribuito da I Wonder Pictures Julie ha un segreto di Leonardo Van Dijl arriva nelle sale il 24 aprile 2024.

Julie ha un segreto di Leonardo Van Dijl

leonardo van dijl

Julie ha un segreto racconta lo sport da un punto di vista che il cinema sceglie di rado di esplorare ovvero il rapporto tossico tra una giocatrice di tennis e il suo allenatore.

Sì, è vero, ma penso anche che il mio film parli più approfonditamente del rapporto tra allenatore e atleta nelle sue accezioni generali. Julie ha un segreto non si concentra solo su Jeremy, il coach sospeso a seguito del suicidio della sua ex allieva, ma anche sul suo sostituto che ha un atteggiamento del tutto diverso. Ho fatto molte ricerche sulla tutela dei giovani atleti e sulle pratiche sicure per i bambini; su come  creare un ambiente sostenibile e sano in cui un atleta possa raggiungere i propri limiti. Questo è il motivo per cui ho cercato di modellare Backie, il nuovo coach, verso quell’approccio. Non volevo solo parlare di cosa è tossico, ma anche di come altri aspetti possano essere sani perché mi rendo conto che la società non ne parla mai.

Julie ha un segreto riflette sulla società della performance e dunque di come il raggiungimento degli obiettivi prefissati sia più importante del modo in cui questi vengono ottenuti. In effetti la crisi della protagonista si manifesta nel momento in cui i metodi di allenamento del suo coach vengono messi in dubbio con l’allontanamento del suo coach.

Il modo in cui cerco di raccontare storie parte anche dal punto di vista di un personaggio. Forse quello che sto per dire potrà suonare controverso, ma come atleta e come giovane se vuoi davvero qualcosa è impossibile per te stabilire dei limiti perché come essere umano sei ancora in fase di crescita. Ogni volta impari qualcosa di nuovo e questo ti spinge a superare quei limiti. Stabilire i confini per poi superarli fa parte della curiosità di ogni bambino che impara anche dai propri sbagli. Per questo penso sia davvero importante valutare bene chi sono le persone che decidiamo di mettere accanto a questi bambini.

Quando si parla di performance riferito ai ragazzini il film dice che se hai un allenatore che rispetta i tuoi limiti e ti permette di avere la tua autonomia questo ti fa stare bene e migliora le tue prestazioni. Questo modo di vedere le cose soddisfa sia le aspettative del bambino sia quelle dell’allenatore.

Nel film Julie è ancora all’inizio di un percorso che non sappiamo dove la porterà. È in un momento di grande trasformazione in cui si appresta a passare nelle fila degli allievi nazionali, ma il film non dà certezze rispetto al fatto che lei porterà a termine la sua carriera. Questo perché non mi interessa concentrami sugli aspetti competitivi.

Assenza di competizione

A differenza della maggior parte dei film sportivi nel tuo manca del tutto l’aspetto legato alla competizione. Anche la forma del film, con il campo inquadrato solo dalla parte occupata da Julie, senza mai far vedere quella in cui gioca il suo avversario, la dice lunga su come Julie ha un segreto non sia un lungometraggio sul tennis. Diverso dal romanzo di formazione raccontato da Slalom di Charlene Favier ma anche da un film come Challenger di Luca Guadagnino in cui la competizione, sportiva e sentimentale, la facevano da padrone.

Per quanto mi riguarda preferisco soffermarmi sull’amore per lo sport da parte dei giovani, sulla loro voglia di migliorare, quindi nel film privilegio la fase degli allenamenti necessari a soddisfare questa voglia. Nel farlo ho cercato di far sì che la ripetizione dei gesti diventi una sorta di meditazione capace di far connettere lo spettatore con la parte coreografica del tennis, facendolo entrare nel rapporto che ha Julie con la pallina, nella concentrazione con cui la ragazza la colpisce dimenticando tutto il resto. Fatto in quel modo lo sport diventa una pratica salutare e io lo mostro quando ancora è nella sua fase più innocente, lontano dal professionismo.

Leonardo Van Dijl e una storia personale

Julie ha un segreto parte dalla realtà per poi immaginare uno sviluppo della storia del tutto personale. Mi riferisco ai numerosi casi di tenniste che sono state in qualche modo manipolate dai loro allenatori o comunque spinte a una ricerca di perfezione che poi si è rivelata controproducente anche dal punto di vista esistenziale oltreché sportivo.

In realtà a ispirarmi non è stata la cronaca quanto piuttosto l’interesse verso la tutela dei giovani atleti. Questo mi ha spinto a fare approfondimenti sugli abusi di potere e sulle dinamiche tossiche presenti non solo nello sport, ma anche negli altri ambienti lavorativi. Ero molto affascinato da queste dinamiche e dal modo in cui avrei potuto riprenderne il discorso in un’epoca, parliamo di cinque anni fa, in cui la narrazione era molto ostile verso questo argomento.

La scelta di ambientarla nel mondo sportivo raccontando di una ragazza che gioca a tennis equivaleva a portare la storia vicino a qualcosa che il pubblico conosce da vicino. Se l’avessi ambientata in un set cinematografico sarebbe stata una storia sull’industria del cinema, ma essendo Julie simile alla ragazza della porta accanto la vicenda diventava qualcosa di cui tutti potevano parlare o esprimersi. Inoltre questo mi dava modo di raccontare una comunità che conosco bene praticando questo sport e che per questo esigeva da me una sincerità che non avrei mai potuto tradire, pena il fatto di non essere più il benvenuto sui campi da tennis.

Da loro ho ricevuto molto supporto, ho parlato con tanti allenatori e con molti direttori di circoli tennistici. Tutti hanno accolto la conversazione con grande piacere. Nessuno ha cercato di zittirmi perché le persone erano consce dell’importanza dell’argomento. Anche in quello è stato importante non concentrarsi sugli aspetti negativi, ma parlare della possibilità di migliorare la situazione. Ho cercato di stare lontano dalle storie vere dei giocatori di tennis e in generale da quelle degli atleti perché il film si sarebbe ridotto alla storia di un determinato personaggio. Avrei dato l’impressione che si trattasse di un caso isolato mentre io volevo che Julie ha un segreto parlasse a ragazze e ragazzi allargando il discorso anche in maniera tecnica.

Uno sport individuale

Il tennis è uno sport individuale e mentale e le immagini lo rispecchiano al punto che nel film Julie è spesso sola ad allenarsi e comunque filmata in maniera da richiamare il suo stato mentale. Mi sembra che le scelte narrative e soprattutto visive siano state fatte per tradurre in cinema questi due elementi.

È vero, soprattutto all’inizio quando Julie è estremamente isolata da ciò che la circonda. Lei vive sotto l’oppressione di Jeremy che l’ha isolata dal resto del gruppo manipolandola e facendole credere che non ci si poteva fidare di nessuno, come se qualsiasi tipo di relazione avrebbe finito per condizionarne le prestazioni sportive. Al contrario, dopo l’allontanamento di Jeremy la vediamo un poco alla volta legarsi con le persone della sua comunità e questo fa sì che dal punto di vista visivo gli spazi diventino sempre più grandi.

Come dicevo prima il tennis è uno sport molto individuale ma anche intellettuale perché bisogna restare sempre concentrati sulla pallina. Per questo diciamo che chi perde gioca contro un avversario mentre chi vince lo fa con la palla. È un concetto che i tennisti capiscono di più. È qualcosa che crea dipendenza. L’iper concentrazione che ti porta a una sorta di meditazione è qualcosa che volevo includere nel film. Far vedere grandi partite di tennis, come quelle dei grandi tornei che guardiamo in televisione, avrebbe comportato un’evidente messa in scena. Per questo ho preferito rimanere sulla pratica ossessiva e ripetitiva dell’allenamento. In questo senso è vero che l’inizio è claustrofobico ma poi c’è un’evoluzione perché lei a un certo punto è come se si liberasse.

I colpi scagliati nel vuoto ed eseguiti solo per migliorare a concentrarsi sull’esecuzione del gesto sembrano replicare lo stato mentale di Julie. La sua attenzione la porta a uno stato di alienazione per cui all’inizio è come se vivesse dentro un acquario.

Sai, a essere onesti il risultato di quella scena è anche il frutto di scelte operate per dare slancio al film. In origine Julie ha un segreto avrebbe dovuto iniziare con lei che entra in campo, si mette seduta, inizia a fare stretching per poi chiamare il suo allenatore che non si è presentato alla sessione sportiva. Mentre la giravo ho sentito che era un modo noioso di iniziare il film così ho detto a Tessa Van den Broeck di immaginare di essere al Roland Garros, di giocare le semifinali e di simulare la partita fendendo colpi nell’aria senza la presenza della pallina. Dopo averla girato chi l’ha vista ha pensato subito a un omaggio a Michelangelo Antonioni che aveva realizzato una scena simile. Era una cosa di cui mi ero del tutto dimenticato, ma ho pensato che fosse un buon segno essere stato influenzato in maniera inconscia da un maestro come lui. Da parte mia c’era l’intenzione di girare qualcosa di poetico che avesse a che fare con la spinta interiore del personaggio.

Le riprese scelte da Leonardo Van Dijl

Nella quasi totalità dei casi il campo da tennis è sempre ripreso solo dalla parte in cui gioca la protagonista. In qualche modo è come se la parte mancante segnalasse la necessità di Julie di recuperare parte di sé.

In realtà ho girato quella scena per sottolineare la sua voglia di emancipazione e la volontà di guarire. Per me era fondamentale portare luce alla sua oscurità e non focalizzare le scene sui motivi della sua depressione. Poi ancora una volta ci sono aspetti pratici come quelli di avere inquadrature capaci di raccontare al meglio la storia. Ambientarla in un campo coperto, con la luce al neon e un po’ di oscurità, creava una condizione di isolamento che mi faceva comodo per enfatizzare il contrasto con quello che succede quando il racconto si sposta all’esterno, con l’energia degli studenti che trasmette vitalità al mondo che descriviamo. In quel momento Challengers di Luca Guadagnino non era ancora uscito ma sapendo che uno dei miei eroi stava per girare un film sul tennis ero molto spaventato. Per fortuna il modo in cui ha catturato l’essenza del tennis è molto differente dal mio. Per me era più una questione legata al rapporto con la pallina, con le regole, con il telaio della racchetta.

A proposito del tuo film mi viene in mente John McEnroe – in The Realm of Perfection di Julien Farhout. Anche lì le riprese del campo visto solo dalla parte dove giocava McEnroe trasfigurava il reale per portarci nel mezzo della lotta interiore del campione americano che aveva sé stesso come primo avversario.

Non ho visto il film, ma ti ripeto, nel tennis non puoi dare troppa attenzione al tuo avversario. Per quanto sia divertente, tutto si riduce nella spazio e nella palla che devi colpire in quella zona. È come se non avessimo bisogno di sapere chi è l’altra persona con cui stiamo giocando.

In effetti anche a me, giocando a tennis, succede la stessa cosa anche perché sono convinto che se la mia mente fosse interessata a qualcosa di esterno alla mia parte di campo perderei di vista l’efficacia dei miei colpi. Quando giochiamo entriamo in una specie di bolla.

Esatto. Infatti se l’avversario fa qualcosa questo fa entrare in gioco il tuo ego e allora inizi a commettere errori.

Raccontare ciò che non si vede

Nel film la mdp è spesso piazzata per riprendere  gli spazi marginali dell’azione, quelli che di norma rimangono fuori campo. Una scelta formale che trova rispondenza nel raccontare ciò che di solito non si vede.

Sì, assolutamente. Spesso mi ritrovo attratto dai margini dell’inquadratura – i margini, come dici tu – perché è lì che risiede il silenzio, dove si nascondono le sfumature, dove le cose vengono percepite piuttosto che dette. Scegliere queste angolazioni non è solo un gesto stilistico; è un modo per allineare la forma alla verità emotiva della storia.

Julie non riguarda lo spettacolo o il confronto: riguarda i momenti sottili, spesso trascurati, in cui il potere cambia, in cui la resistenza inizia silenziosamente. Cambiando il punto di vista, spero di invitare il pubblico in uno spazio più intimo, uno che rifletta ciò che di solito non ci viene mostrato in questo tipo di narrazione. È una storia che ci chiede di non guardare ciò che è rumoroso, ma di ascoltare ciò che è silenzioso.

Anche perché il modo in cui mostri il mondo di Julie è pieno di inquadrature particolari come quella in cui collochi la mdp direttamente sul suolo del campo da tennis per inquadrare in primo piano le palline che i tennisti stanno per raccogliere prima di iniziare a giocare. Mi sembra un modo per ribadire il concetto di cui parlavi all’inizio a proposito del tennis come sport in cui bisogna concentrarsi sulla palline da colpire. In generale le inquadrature mostrano una realtà che di solito nei film sportivi rimane fuori campo.   

Mi piace pensare di creare sempre qualcosa di nuovo. Toni Morrison diceva che se vuoi leggere un libro che non è ancora stato scritto, allora scrivilo in quel modo. L’idea non era quella di filmare ciò che normalmente è marginale, ma di trasporre sul grande schermo una scena nella maniera in cui io la voglio vedere. Penso per esempio a quella molto iconica in cui vediamo i ragazzi giocare insieme a una sorta di roulette russa in cui se colpisci la rete sei fuori e a vincere è quello che gioca più a lungo. Quando eravamo bambini era una delle cose più divertenti da fare mentre nel film quel gioco perde la sua originale innocenza. Per me era davvero interessante girare una scena del genere e lo è stato anche per i ragazzi che per farla non hanno dovuto neanche recitare. Erano tutti così presi dal colpire la pallina che sono arrivati alla fine della ripresa sfiniti e probabilmente anche tristi per non avere vinto.

Difficoltà nel comunicare

Julie ha un segreto è raccontato dal punto di vista della protagonista attraverso una serie di scelte formali che ci fanno sentire dapprima il suo progressivo isolamento, successivamente il percorso interiore che la porterà a rivelare la sua versione dei fatti. Penso al fatto che corpo e volti degli altri personaggi sono spesso sfocati o nell’ombra. Succede soprattutto con gli adulti a testimonianza di una difficoltà di comunicazione piuttosto evidente. 

All’inizio è proprio così, ma se guardi più da vicino puoi vedere che un poco alla volta quella comunità diventa più definita e ci è permesso di vederla con gli occhi di Julie. All’inizio non riesce a farlo perché Jeremy glielo ha vietato. Julie è messa al centro della situazione senza che lei lo voglia e per questo si sente profondamente a disagio mentre nell’ultima scena si vede che invece sa come starci essendo diventata padrona della situazione. Il mio intento era quello di lavorare sul passaggio dalla condizione di isolamento a quello di armonia con ciò che la circonda.

Per questo, come hai già detto, hai messo da parte i colpi, le vittorie e le sconfitte. Nel film queste perdono il loro aspetto ludico e competitivo, ma sono solo fonte di stress e depressione.

Sì perché non sono interessato a raccontare storie su sistemi che opprimono le persone in quanto le conosciamo già. I miei personaggi preferisco liberarli da tutto questo: non vale solo per Julie ma anche per il suo ambiente. Se hai notato all’inizio sono tutti molto a disagio e non sanno come affrontare quella situazione. Questo finisce per pesare su Julie. Tutti aspettano che dica qualcosa e questo la mette sotto pressione spingendola al silenzio. Spesso incoraggiamo le persone a parlare apertamente, ma nel farlo  finiamo per metterle sotto pressione. Penso che come società dovremmo preoccuparci di prevenire certe situazioni proteggendo i ragazzi da qualsiasi tipo di silenzio. Per farlo dovremmo abituarci ad ascoltarlo imparando a individuarlo. Oggi invece siamo molto concentrati su come fare a rompere il silenzio. Questo è un messaggio molto importante che voglio dare nel film.

La protagonista del film di Leonardo Van Dijl

Il film è incondizionatamente dalla parte di Julie. A differenza di altri non viene dato alcuno spazio al suo oppressore né viene messo mai in dubbio che Julie ne sia vittima. Uno degli aspetti più interessanti del tuo film è che si concentra esclusivamente sulla protagonista e sul percorso di liberazione dalla condizione in cui si trova.

Era esattamente quello che volevo fare. In sceneggiatura c’erano più scene con i genitori, ma questo faceva sì che chi lo vedeva era portato a incolparli chiedendosi come non si fossero accorti di cosa stava accadendo alla figlia. Volevo che la mancanza di dubbi non fosse una cosa imposta ma scaturisse dai fatti. Per me era chiaro che Jeremy avesse superato i limiti e che per questo fosse colpevole. Il suo comportamento mi avrebbe dovuto portare in maniera natura a raccontare il rapporto tra Julie e il nuovo coach.  Anche con Backie esistono lo stesso tipo di ambiguità solo che lui è determinato a non approfittarne.

Nella parte di Julie Tessa Van den Broeck è davvero brava. La sua è un’interpretazione molto realistica anche nella tecnica con cui mette in pratica i fondamentali del tennis. Di solito nel cinema non succede.

Per me era molto chiaro che dovevamo lavorare con vere tenniste perché se Julie non fosse stata in grado di colpire una pallina il suo personaggio non sarebbe mai potuto risultare autentico e nessuno avrebbe mai creduto al rapporto tossico con il suo allenatore. Per questo la prima cosa che cercavo era un’attrice che sapesse innanzitutto giocare a tennis e poi fare anche il resto. Quando Tessa è entrata per fare il provino mi sono accorto subito che Julie era lei. Tessa è davvero interessante da guardare qualsiasi cosa faccia perché ha il magnetismo delle grandi attrici. Con lei e gli altri tennisti abbiamo fatto tre mesi di prove che per me sono stati come quelli che potrebbe avere un allenatore che deve preparare i suoi allievi per un grande torneo. Con Tessa è stato tutto facile perché lei è così brava a recitare che non gli devi spiegare quasi nulla. È molto trasparente in una maniera sottile e distinta. Con lei il film è diventato ancora più silenzioso e nello specifico è diventato il film di Julie. Come attrice e come tennista ha affrontato tutto in maniera molto tecnica. È come se con Tessa avessimo stabilito un patto. Come adolescente lei sarebbe stata in grado di mostrarmi come può restare in silenzio una teenager perché lei lo è. Così è successo ed è per questo che con lei  il ruolo di Julie è stato sempre al sicuro. Penso che nel futuro Tessa possa diventare una superstar.

Il cinema di Leonardo Van Dijl

L’ultima domanda è riferita al cinema che ti piace.

È difficile dirlo perché mi piacciono tutti i tipi di film. In particolare amo quelli che mi fanno riflettere sul cinema che sto facendo. Per questo film, e non lo dico perché sei italiano, a ispirarmi è stato il lavoro di Alice Rohrwacher e nella fattispecie Le Meraviglie. La prima volta che l’ho visto ero in aereo e ne sono rimasta sbalordito perché per Julie cercavo la stessa sincerità che lei ha messo nei suoi personaggi. Trovo molto stimolanti i suoi lavori perché cerca di creare storie che sono in un certo senso molto realistiche, ma in cui lei riesce a portare una bellezza che io non riesco a percepire. In realtà penso che il realismo e la bellezza non centrino nulla ma che sia solo il suo modo di guardare il mondo. Quello di Alice è un cinema così italiano e allo stesso tempo così moderno. Nessun altro regista italiano fa le cose che fa lei. Quando lo guardo mi ricordo il tempo in cui venivo in Italia con la mia famiglia e questo mi fa stare bene.

Qui per il trailer del film

Julie ha un segreto

  • Anno: 2025
  • Distribuzione: I Wonder Pictures
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Belgio, Svezia
  • Regia: Leonardo Van Dijl
  • Data di uscita: 24-April-2025