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Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile. Conversazione con Franco Grillini e Filippo Vendemmiati

Dialogo con il regista e il protagonista del documentario

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franco grillini let's kiss

Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile é stato presentato il 13 Novembre a Berlino grazie a Italian Film Festival Berlin e per noi di Taxi Drivers é stata la occasione per parlare a fondo con il regista e con Franco Grillini.

Il documentario , ora al cinema, é̀ incentrato sulla figura di Franco Grillini, politico e attivista bolognese da sempre impegnato nella lotta per il riconoscimento dei diritti civili LGBT.

Let’s Kiss – Franco Grillini raccontato da Filippo Vendemmiati

Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile è costruito secondo il principio espresso da Franco Grillini in una frase del film. Riferendosi al momento di svolta della sua esistenza, quello in cui decise di dichiarare al mondo la sua omosessualità. Franco dice che, da lì in avanti, non ci sarebbe stata più differenza tra ciò che era e ciò che faceva. Il fatto che il film ne rifletta lo spirito con un montaggio alternato che mescola pubblico e privato del protagonista fa di  Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile il corpo cinematografico dello stesso protagonista per la capacità di rifletterne la personalità nella struttura del suo dispositivo.

Filippo Vendemmiati: Sì, hai ragione. Il film è una sorta di camminata musicale lungo i luoghi in cui si è compiuta la formazione di Franco. Ciò che mi ha colpito di più nell’intervista realizzata per il film è la parte che non conoscevo, cioè la sua infanzia fino ai vent’anni. Parliamo del periodo vissuto in campagna assieme ai genitori in una dimensione agreste scandita da una grande libertà ma anche dalla condizione di povertà della famiglia. Partendo da quel momento ho pensato si potesse creare una specie di centro concentrico capace di aprire continue finestre tra passato e presente, tra privato e pubblico, evidenziando sia gli aspetti più conosciuti, sia quelli che lo erano meno. In questo modo il film ha un suo valore simbolico e sociale, ma anche personale. Raccontare il percorso umano di Franco in questo modo credo lo abbia reso anche più interessante.

Trasformare in immagini filosofia e vita di Franco Grillini riflettendone lo spirito all’interno del tuo dispositivo ha fatto di Let’s Kiss – Franco Grillini un’estensione della personalità del protagonista.

Filippo Vendemmiati: Era una scommessa non facile e nemmeno scontata. Da una parte volevo che funzionasse la narrazione del racconto di Franco, cosa per la quale avevo pochi dubbi in quanto il suo modo di raccontarsi crea un rapporto intimo e diretto con chi lo ascolta. Mi chiedevo, però, se tutto questo potesse funzionare anche sul piano delle immagini, rendendomi subito conto che la sua presenza fisica nei luoghi del film ne arricchiva il resoconto. Tutto questo, però, non avrebbe funzionato se non avessi costruito con lui – prima e durante le riprese – quella che i critici chiamano la vicinanza poetica con il soggetto di cui si parla; senza di essa sarebbe stato impossibile stabilire la corrispondenza e la disponibilità reciproca che ha creato il clima del film. Franco mi ha fatto pochissime domande su come sarebbe stato perché si fidava di me come io di lui.

Franco Grillini, protagonista di Let’s Kiss

Franco, volevo sentire anche il tuo pensiero a proposito di quello che è stato detto.

Franco Grillini: Sono d’accordo con Filippo. Quando si fa un racconto personale al limite dell’intimità è indispensabile che ci sia un’intesa reciproca tra il regista e chi viene raccontato. La nostra è stata la conseguenza di un’amicizia che dura da cinquant’anni. Conoscevo molto bene il suo lavoro e sapevo in quale direzione sarebbe andata la sua regia quindi c’è stata un’assoluta fiducia l’uno nell’altro. Le quindici ore di registrazione, poi utilizzate come voce narrante, sono frutto di questa intesa. È chiaro che il montaggio e la scelta delle immagini è stata fatta da lui e che io mi sono limitato a dare qualche piccolo suggerimento intervenendo il meno possibile.

franco grillini let's kiss

Parlando del messaggio del film e premettendo che un grande come François Truffaut liquidava la cosa dicendo che se qualcuno voleva vedere qualcosa di utile doveva andare dal dottore a farsi scrivere una ricetta (ride, ndr), io aggiungo che, trattandosi nel nostro caso di un docufilm, è più facile fare un discorso di carattere contenutistico. In questo senso Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile rende bene la corrispondenza tra politica e vita che a partire dal 1982, anno del mio coming out, è stato pressoché totale. Da quel momento non c’è stata alcuna scissione tra la mia idea del mondo e degli ideali per cui mi battevo e la mia vita privata. Erano la stessa cosa. Il suggerimento che ho dato a generazioni di militanti e attivisti è che la corrispondenza tra politica e vita è il modo migliore per far sì che la prima sia onesta, trasparente e a favore degli altri.

Infanzia e libertà

Franco è un corpo drammaturgico appassionato e poetico al punto da diventare forma stessa del film nel momento in cui Let’s Kiss ne rispecchia per intero la persona. In tale direzione un passaggio importante è quello in cui affermi di aver goduto fin dall’infanzia di una grande libertà. Il film lo sottolinea dichiarando l’importanza delle proprie radici per le ricadute che esse hanno nel corso della vita. Nel tuo caso dunque è giusto dire che la libertà è stato uno strumento decisivo per raggiungere gli obiettivi che ti eri prefissato, soprattutto in termini di militanza politica e direi anche esistenziale. 

Assolutamente perché io ho amato la mia infanzia. Qualunque psicologo sa benissimo che il periodo dell’infanzia è fondamentale per il futuro di ogni persona. A me ha dato molte delle energie da cui attingo tutt’ora. Nel film si vede una gigantografia del mio primo giorno di scuola elementare: io vi appaio con una matita in mano e uno sguardo po’ malinconico perché mi rendevo conto che la mia vita stava cambiando. Eravamo contadini, mezzadri che conducevano una vita dignitosa, ma molto povera. Negli anni sessanta c’era qualcuno che faceva davvero fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, cosa che a noi non succedeva perché il nostro lavoro consisteva anche nel produrre il cibo che poi mangiavamo. Però non c’era il sistema sanitario attuale per cui tutto si pagava, dalla medicine alle visite. Era tutto più difficile e costoso. Io dovevo fare 5 km a piedi per andare alla scuola elementare, una distanza che non permise a mia sorella di fare lo stesso perché non era consigliabile per una bambina camminare da sola per un tragitto così lungo. Detto questo, la  mia è stata un’infanzia libera perché un bambino che guida un trattore, che segue i grandi nel lavoro dei campi facendosi spiegare le stagioni e le colture è un figlio abituato a vivere all’aria aperta in spazi illimitati. Quella positività è stata un motore per il resto della mia vita e ricordarla mi consente di dire che tutti noi dovremmo riconciliarci con ciò che siamo stati nei primi anni di vita perché da quel bambino vien fuori l’uomo adulto e le sue azioni.

Il passaggio dal mondo contadino a quello industriale ha rappresentato una svolta pesante perché radicale, con mio padre diventato muratore e mia madre operaia. Io ho fatto le superiori in un istituto agrario accorgendomi quasi subito che i miei interessi andavano in altre direzioni, perché già allora mi occupavo di letteratura, di politica, di filosofia. Dopo essermi diplomato mi sono iscritto a pedagogia. Le facoltà più impegnative non me le sono potute permettere per motivi economici avendo bisogno di lavorare oltreché di studiare, cosa che la mia mi permetteva. Nonostante questo, quel periodo è stata una bella avventura, con luci e ombre uguali a quelle che caratterizzano la vita di ogni essere umano. Nel raccontarlo c’è la speranza che le persone vi si possano riconoscere. Cosa che, dalle prime reazioni della gente  presente alle anteprime, mi sembra sia già iniziato a succedere. 

La struttura di Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile

Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile sceglie una forma, tutto sommato, normale per raccontare l’esperienza di una persona eccezionale. Oltre a questo rinuncia a utilizzare le cosiddette talking heads ovvero a inserire nel racconto interviste di parenti, amici e personaggi famosi. Oltre a evitare di fare un’opera retorica e agiografica, tale decisione avvicina ancora di più Franco allo spettatore rendendo quest’ultimo più partecipe all’esperienza del protagonista.

Ciò che mi e stato chiaro fin da subito è che non volevo fare un documentario tradizionale, raccogliendo a destra e a sinistra testimonianze varie che mi parlassero di Franco. Ne avrei potuto mettere davvero molte e importanti perché ancora oggi Franco è una persona conosciutissima, con agganci istituzionali e nel mondo dello spettacolo innumerevoli e prestigiosissimi. Ogni tanto il produttore (Paolo Rossi, Genoma film, ndr) mi diceva se mi sarebbe piaciuto intervistare qualche personaggio famoso e io gli rispondevo sempre di no. Questo per dire che all’inizio non è stato facile imporre questa linea, e cioè che l’unico vero protagonista doveva essere Franco. Poi mi sono reso conto che l’eccezionalità del racconto stava nell’assoluta normalità di Franco, ovvero nel modo semplice e molto sincero di raccontare le cose. Tanto è vero che nel film mi ha raccontato di cose che non sapevo e che forse avrei avuto un po’ di pudore a rivelare. Quando ho capito che dietro il suo atteggiamento c’era una spontaneità non richiesta e assolutamente naturale ho capito che in questo stava la cifra del film. Il suo modo così diretto arriva alla testa e al cuore delle persone senza alcuna interferenza. La cosa che mi fa più contento è quando mi dicono che il film non è retorico. A mio avviso è anche molto leggero e a tratti divertente pur raccontando di periodi storici piuttosto drammatici sia sul piano sociale – e mi riferisco il tempo dell’aids – sia sul piano personale – e anche su questo non facciamo sconti – mostrando la tenacia, ma anche la normalità con cui Franco sta affrontando la sua malattia. Chi dice che Franco sta lottando come un eroe mi da anche un po’ fastidio perché non c’è alcun eroismo, ma solo un modo normale di viverla e di dirlo in pubblico, nella consapevolezza, tutta laica, che la malattia -come dice Franco- è una cosa che può capitare a tutti e non c’è nulla di cui vergognarsi.

Il rapporto tra passato e presente

Nel corso della visione Franco emana un’energia benefica trasmettendo allo spettatore una serenità che in qualche modo trasfigura le tempeste e i dolori di un’avventura a tratti anche molto dolorosa. Nel film con un montaggio molto efficace vengono messi insieme vari luoghi comuni sul mondo omosessuale. Tra i tanti passaggi mi è rimasto impresso quello emerso nel corso di una conversazione televisiva tra Franco ed Enzo Biagi in cui quest’ultimo allude agli omosessuali come a una categoria a parte. Venendo da un giornalista di quel calibro l’espressione mi sembra indicativa del clima di quegli anni e di quanto la militanza di Franco e del suo movimento sia riuscita a cambiare le cose.

Franco Grillini: Ovviamente sì, parliamo di un altro mondo, di un’altra epoca, di un altro linguaggio. Sono passati quasi 40 anni da quando ho iniziato il mio attivismo LGBT. Da allora sono cambiate anche le modalità per descrivere e chiamare le cose.

Quando abbiamo iniziato noi esisteva solo la parola gay mentre era assente quella relativa all’omosessualità femminile. Negli anni ottanta la parola lesbica era vissuta come un insulto e ci sono voluti molti anni perché smettesse di esserlo. La descrizione dell’omosessualità maschile era invece caratterizzata dal pregiudizio, con parole negative diverse a seconda delle regioni in cui veniva utilizzata. Non a caso nel film faccio riferimento a un manifesto, purtroppo andato perduto, in cui l’elenco di tutte le parole negative con cui veniva definita l’omosessualità maschile diventavano una presa in giro, e cioè altrettanti modi per dire ti amo. Lo slogan simile al detto chi disprezza compra alludeva a un pregiudizio che nella maggior parte dei casi è sempre frutto della difficoltà di elaborare la propria diversità. Da qui l’aggressività e l’odio per quei diversi che sono il tuo specchio.

Parlando di cambiamento, a mutare in questi anni è stata la politica. Luigi Covatta, storico dirigente del partito socialista con cui ci incontrammo a metà anni ottanta, mi disse che era impossibile legiferare su questa materia. Sempre in quegli anni ci fu un importante incontro con la rappresentanza delle donne comuniste, per un momento illuse sulla proposta di una legge relativa al riconoscimento delle convivenze. In realtà al progetto si oppose l’ala maschile del partito.

Questo per dire che aria tirava. La prima proposta di legge che adombrava indirettamente il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali fu presentata nel 1998 dalla responsabile femminile del partito socialista Alma Agata Cappiello. In essa si parlava della convivenza tra due persone senza specificare il fatto che potessero appartenere allo stesso sesso, come scritto nella norma sulle unioni civili approvata nel 2016 dopo faticosissimi anni di discussione.

Fatto sta che la legge del ’98 provocò una reazione estremamente violenta da parte del Vaticano. Addirittura il Papa polacco ne parlò per ben due volte nell’omelia domenicale. Parliamo di un progetto mai arrivato alle aule parlamentari per la sua discussione.

Chiesa e stato

Let’s Kiss – Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile individua nella Chiesa e nella politica i massimi sistemi che costituiscono da subito l’orizzonte entro cui si svolge il percorso di Franco come leader del  movimento LGBT. Il film spiega il suo rapporto con l’una e con l’altra, ma più importante mi sembra la delusione che emerge verso istituzioni in origine nate per garantire in egual misura la dignità delle persone.

Filippo Vendemmiati: La Chiesa e la politica sono da sempre due parti centrali della vita di Grillini. Della prima conoscevo meno per cui, facendo il film, ho scoperto che Franco ha un senso della religiosità molto forte e rispettosa e forse da qui deriva anche un’avversione altrettanto decisa nei confronti del suo potere temporale. È una religiosità, la sua, ascrivibile al suo percorso infantile, al rapporto con i genitori, peraltro non credenti, e a quello con la natura. Tant’è vero che oggi Franco ha ottime relazioni con molti sacerdoti, anche con quelli  appartenenti alle alte sfere.

Franco Grillini: Ho sempre detto che se il movimento LGBT è costretto a uno scontro frontale lo deve accettare, agendo di conseguenza.  Con i precedenti Pontefici il conflitto era inevitabile perché, per esempio, il Papa polacco aveva un’autentica ossessione per la questione omosessuale, salvo poi scoprire che il suo segretario particolare e molti altri prelati – come scrive Frederic Martel nel suo libro Sodoma – lo erano. Questo per dire che se c’è un posto in cui esiste una scissione tra identità e pratica quotidiana questo è il Vaticano. In questo doppio binario si muove anche l’informazione perché i giornalisti sanno chi è gay e chi non lo è. A volte decidono di dirlo, il più delle volte no. Negli Stati Uniti la strategia dell’outing vede in prima linea Michelangelo Signorile, giornalista che scrive su una testata gay americana del gruppo Conde Nast in cui c’è questa pratica di rivelare i nomi degli omosessuali particolarmente omofobi tra cui ci sono soprattutto uomini di Chiesa. Per quanto ci riguarda lo scontro è stato inevitabile perché ogni giorno c’era un pronunciamento omofobo. Quando abbiamo trovato interlocutori disponibili la linea è stata sempre quella del dialogo. Con alcuni di loro abbiamo instaurato addirittura delle collaborazioni com’è successo con Don Ciotti, diventato presidente della Lega Italiana della Lotta contro l’AIDS, organizzazione che abbiamo contribuito a fondare alla fine degli anni ottanta. Don Ciotti fu costretto a dare le dimissioni proprio a causa del Papa Polacco; però è stato presidente della Lila (Lega italiana per la Lotta contro l’AIDS, ndr) per un paio d’anni, sostituito poi da Vittorio Agnoletto e da altri che adesso gestiscono questa associazioni fortunatamente ancora attiva nella lotta contro le malattie a trasmissione sessuale tra cui l’HIV, pandemia tutt’altro che terminata e che coinvolge larga parte del pianeta come tanti altri virus diventati endemici.

La dialettica tra scontro e dialogo ha comunque prodotto dei risultati e cioè quello di un cambio di toni sotto il pontificato dell’attuale Papa che, però, non ha cambiato la sostanza delle cose perché la dottrina cattolica parla ancora in maniera terribile dell’omosessualità. Io comunque sono tra coloro che danno un giudizio positivo a questo cambiamento. È stato importante soprattutto per quanta riguarda gli omosessuali credenti che adesso possono vivere la fede con maggiore serenità, pur in presenza della contraddizione esistente tra fede, dottrina ufficiale e identità sessuale. Purtroppo questa situazione ha prodotto nel corso degli anni molte tragedie. Il suicidio dei giovani omosessuali riguardava soprattutto quelli semi credenti, piaga, questa, che per fortuna non è più la tragedia che è stata nel corso degli anni ottanta e novanta.

Importantissimo nel tuo percorso il fatto di aver vissuto a Bologna in cui la presenza di sindaci comunisti più illuminati di altri ha creato un terreno fertile per seminare nuove idee e pratiche sociali. Penso alle tue battaglie, ma anche a quelle di un medico come Cesare Maltoni famoso in tutto il mondo per i metodi di prevenzione in campo tumorale. Di lui avevamo parlato a suo tempo con Michele Mellara e Alessandro Rossi registi di Vivere che rischio, documentario che ne racconta la vita e le opere (qui per leggere l’intervista).

Beh, guarda, mi fa piacere che tu abbia ricordato Cesare con cui siamo stati molto amici e condiviso un sacco di iniziative pubbliche. Lui era un oratore formidabile, un personaggio carismatico, uno scienziato di grandissimo valore. Pochi sanno che è stato consulente del presidente americano Bill Clinton per la lotta contro il cancro. È stato sempre Cesare a scoprire la cancerosi dell’amianto e di molte altre sostanze chimiche presenti nei processi produttivi. Il fatto che non abbia vinto il Nobel è dipeso da un giudizio moralistico sulla sua vita privata, peraltro piuttosto brillante, di sicuro più della mia (ride, ndr) Ho sempre detto di aver avuto una vita finanche sessuale un po’ noiosetta (ride, ndr). Dedicandomi per 50 anni alla politica a tempo pieno, questa ha finito per assorbire la maggior parte della mia vita privata. Per quanto riguarda Vivere che rischio sia io che Filippo l’abbiamo trovato un buon documentario anche se un po’ reticente sul privato di Cesare.

La questione dei diritti secondo Franco Grillini e Filippo Vendemmiati

Oggi a che punto siamo arrivati in Italia sulla questione dei diritti?

Filippo Vendemmiati: Contrariamente a quello che pensano molti, ci sono stati enormi progressi ma c’è ancora molto da fare. Vorrei che non esiste più il bisogno di fare coming out, considerando una banalità dichiarare la sessualità del proprio partner. Da qui il messaggio positivo insito nel titolo, con Let’s Kiss che suona come invito alla libertà, del tipo “baciatevi, abbracciatevi, fate le scelte amorose che volete, non ci interessa dove e con chi”. Considerando che oggi gli atti di violenza contro omosessuali, transessuali, lesbiche e travestiti avvengono come reazione alle esternazioni pubbliche dei propri sentimenti, Let’s Kiss invita a farlo apertamente e non in clandestinità.

Franco Grillini: In Italia sono forse il massimo esponente di una cultura del cambiamento che dice che questo c’è stato. Mi arrabbio quando sento chi dice il contrario nascendo in un mondo in cui oggi il coming out si fa anche a dodici anni. All’inizio della mia militanza i più giovani avevano trent’anni perché era difficilissimo dirlo ai genitori mentre sui luoghi di lavoro c’era la paura di essere licenziati. Alla notizia del coming out dell’ex ministro Spadafora c’è purtroppo il gesto di violenza avvenuto presso l’Arci Gay di Ferrara di cui sono stati vittime ragazzi che avevano tra i dodici e quindici anni. A testimonianza che la violenza di branco continua a esistere, sia contro gli omosessuali che contro le donne. La causa deriva dalla stessa radice. Per questo sono molto contento che nel disegno di legge Zan – per il momento bloccato ma di cui si potrà riprendere a discutere tra sei mesi – per la prima volta in Italia si parla anche di misoginia, cioè per la prima volta in una legge viene citato anche l’odio per le donne uccise da maschi che pensano di esserne padroni e proprietari. Nella legge era stata aggiunta anche un punto relativo all’Abilismo, ovvero una pena per la discriminazione nei confronti delle persone disabili. Per questo mi arrabbio con chi dice che non è cambiato nulla. Qualche giorno fa il sondaggio di Ilvio Diamanti su Repubblica diceva che il sessanta per cento degli italiani è favorevole alla legge Zan, come a suo tempo un sondaggio di Pagnoncelli diceva che oramai il sessanta per cento degli italiani accetta l’omosessualità. Per fare un paragone, quando negli anni novanta l’amico Arrigo Levi, ex direttore della stampa nonché responsabile della comunicazione del presidente Enrico Ciampi organizzò un sondaggio pagato dalla comunità ebraica e relativo al binomio simpatia/antipatia risultò che gli omosessuali erano sempre al primo posto, più antipatici degli zingari, dei tossicodipendenti e dei Rom. Nel 2019 ci sono stati 41 Pride con più di un milione di persone che hanno sfilato in Italia. Queste sono diventate manifestazioni di libertà a cui partecipano anche anche moltissimi eterosessuali, a proposito di una trasformazione epocale capace di cambiare in soli cinquant’anni pregiudizi millenari.

Franco Grillini e Filippo Vendemmiati oltre Let’s Kiss

Visto che siamo una rivista di cinema non posso concludere prima di avervi chiesto di dirmi qualche titolo di film che avete particolarmente amato.

Filippo Vendemmiati:  Io dico Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, Ecce Bombo di Nanni Moretti e Balla con i Lupi di e con Kevin Costner.

Franco Grillini: Per rispondere vorrei prendere spunto dal libro di Vito Russo intitolato Lo schermo velato. Tra le altre cose si dice che, prima degli anni settanta, su 35 pellicole in cui il tema LGBT era evidente e non trattato in maniera laterale quasi tutti i protagonisti muoiono di morte violenta. Subito dopo, invece, accade una cosa incredibile è cioè che alcuni attori eterosessuali hanno iniziato la loro carriera interpretando personaggi omosessuali. Un esempio per tutti è Daniel Day Lewis protagonista di un film ancora oggi carino da vedere ovvero My Beautiful Laundrette in cui lui si innamora di un giovane pachistano con cui a Londra gestisce una lavanderia. A un certo punto arriva il padre del ragazzo chiedendo a Daniel se vale la pena aspettare suo figlio e lui risponde “Per quanto mi riguarda vale sempre la pena”. È una frase che cito sempre per dire che si tratta di un film da vedere. Oggi poi su Netflix ci sono tantissimi film a contenuto omosessuale caratterizzati da uno sguardo positivo sulla questione. Uno di questi fu a suo tempo Una gelata precoce con Ben Gazzarra, grade attore oggi scomparso. Mi ricordo che a metà anni ottanta venne presentato sulle reti nazionali e anche su Mediaset con tanto di discussione post visione da parte di Enzo Biagi. Il film totalizzò ben 19 milioni di spettatori. Era la prima volta in Italia che si vedeva una coppia di americani trentenni che vivevano insieme, uno dei quali malato di AIDS. Insomma, nel suo piccolo, quel successo era il segnale che il cambiamento era in atto.   

Leggi anche: ‘Let’s Kiss’ Il racconto della lotta politica e non solo di Franco Grillini

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