Alla sua opera seconda Leonardo D’Agostini cambia genere cinematografico affidandosi al legal thriller per raccontare una storia di violenza familiare. Di Una Storia Nera abbiamo parlato con Leonardo D’Agostini.
Tratto dall’omonimo romanzo di Antonella Lattanzi, Una Storia Nera è prodotto da Groelandia con Rai Cinema. Distribuito da 01 Distribution, Una storia nera è nelle sale a partire dal 16 maggio 2024.
Una storia nera ineluttabilità della violenza

Leonardo D’Agostini e il suo Una storia nera
L’ambiguità è la dimensione in cui si svolge la storia, presente a cominciare dalla didascalia del titolo, inserita su uno sfondo completamente bianco, simbolo di una purezza subito smentita dalla drammaticità delle sequenze a venire. Un principio presente anche nei titoli di coda, quando l’esito del processo è negato da un’estetica fondata sullo stesso meccanismo.
Il progetto di Una storia nera parte da un libro, quello di Antonella Lattanzi, capace di creare un universo di personaggi che sono interessanti per le contraddizioni della loro umanità e dunque per l’ambiguità conseguente al fatto che in ognuno di noi esiste positivo e negativo. La cifra generale del film risiede proprio in questa duplicità che distribuisce torto e ragione in egual misura. Poi è vero, l’estetica delle didascalie corrisponde al doppio fondo narrativo, quello in grado di creare una trama sotterranea.
La prima sequenza del film conferma questa tendenza allorché quella che vediamo non è una donna sottomessa e debole, ma consapevole del suo potere sulla controparte maschile. A dircelo sono le immagini dell’amplesso, con Carla collocata sopra il suo amante in modo da sovrastarlo in virtù di una posizione assolutamente dominante.
Sono d’accordo sul fatto che la scena è ingannevole perché restituisce un’immagine di Carla diversa da come appare nel corso della storia. L’effetto è ancora maggiore quando inizi ad avere più strumenti per leggere il suo personaggio per cui a un certo punto ripensando a quell’inizio sei colto alla sprovvista. Un po’ come succede quando ti assale il dubbio di aver conosciuto un’altra persona.

Anche il fatto di immortalarla con la sigaretta in bocca, subito dopo aver fatto l’amore, equivale a consegnarla a un’iconografia prettamente maschile e dunque a una gerarchia di ruoli e a una sicurezza di sé differenti da ciò che si evince nel resto del film.
Sul fatto che Carla sia una vittima non c’è alcun dubbio, ma la scena in questione racconta uno dei lati di questa donna. Prima di approfondire il suo essere una madre amorevole e la sua sudditanza per me era importante raccontare che era anche una donna capace di desiderare ed essere desiderata. Come detto all’inizio lei è l’esempio massimo di una personalità capace di far coesistere tendenze diverse e opposte.
Peraltro a me la scena di cui stiamo parlando ha fatto venire in mente quella simile con William Hurt e Kathleen Turner in Brivido Caldo di Lawrence Kansdan.
Forse non è un caso perché quello è tra i miei film preferiti. Quella sequenza me la ricordo benissimo, dominata com’era dal caldo e dal sudore dei corpi.
Analogie con il primo film di Leonardo D’Agostini
Già in queste prime scene e più in generale nel film è possibile rilevare analogie con il tuo primo film. Come ne Il campione anche ne Una storia nera racconti qualcuno costretto e fare i conti con la propria natura. Christian doveva confrontarsi con una vita personale che entrava in conflitto con la sua immagine di campione di calcio, nello stesso modo in cui Carla deve fare fronte a una narrativa interna alla storia che la dipinge diversa da quello che è.
Non ci avevo mai pensato in questi termini però questo aspetto esiste, nel senso che ne Il campione parlavamo di un personaggio di enorme talento, ma impreparato alla vita e che per questo ha bisogno di qualcuno che lo aiuti. Qui affrontiamo una problematica più matura però in effetti anche Carla, come Christian, lotta con la sua natura.

Con i suoi diversi ruoli e con le regole che ne conseguono.
Esatto, parliamo di una donna che per vent’anni è stata picchiata dal marito e che lotta per riavere la sua vita. Senza negare tutto quello che ha creato, effettivamente è un personaggio che combatte fino alla fine per riavere indietro la sua esistenza.
Laetitia Casta protagonista
A tal proposito ho trovato molto riuscita la scelta di Laetitia Casta per il ruolo di Carla. Il suo accento francese e l’allure del suo portamento entrano in contrasto con il contesto sociale per certi versi ferino e molto materico facendone una sorta di corpo estraneo. Un’opzione, questa, che va in direzione della doppia dimensione di cui si parlava sopra.
Sono molto d’accordo nel senso che è proprio questo che mi ha guidato nella scelta. Anche nel libro Carla era un personaggio avvolto in una specie di mistero, lo stesso che aleggia nel film. Lei è tante cose insieme: è un’amante, una madre, una moglie. Ognuno di questi ruoli racconta una parte di lei, però poi è difficile sapere cosa pensa e sente e secondo me un’attrice come Laetitia, col suo essere francese e con la sua bravura, restituiva bene un modo diverso di vivere i sentimenti. Mi interessava che portasse all’interno del film una sorta di aristocrazia o semplicemente il fatto che, venendo da un’altra cultura, risultasse un elemento estraneo e quindi di difficile lettura all’interno di questo contesto.

Insieme al comparto dei costumi esalti il suo essere sfuggente presentandocela mutevole anche nel modo di vestire. Esemplare è la sequenza del pranzo familiare dove lei appare con un caschetto alla Louise Brooks che in qualche modo contraddice la sua dedizione al gineceo. Per contro, dal momento in cui viene fermata per l’omicidio del marito, la vediamo apparire sempre più dimessa anche nel modo di portare i capelli.
Prima della sua discesa all’inferno si sente libera di mostrare i diversi lati della sua personalità e dunque il suo essere una donna di gran fascino e allo stesso tempo una madre premurosa. Quando è coinvolta nella tragedia la vediamo degradarsi, prostrata da una serie di prove che si ritrova ad affrontare.

La discesa agli inferi è realizzata nella maniera cara a Spike Lee. La dissociazione del personaggio corrisponde a quella tra il primo piano di Carla e lo sfondo in cui si muove.
Lì lei è in piedi sul carrello mentre noi giriamo in ralenti. Ne avevo fatta una simile anche ne Il campione. In questo caso ho trovato che fosse la più adatta a raccontare la drammaticità del momento, con lo straniamento e la paura che accompagna Carla mentre entra in carcere.

Una particolare inquadratura
Un’altra inquadratura molto particolare concorre a raccontare l’entrata in carcere. Mi riferisco a quella dal basso verso l’alto che ti permette di creare una prospettiva in grado di legare il volto di Carla al crocifisso appeso sopra la porta d’entrata. In quel momento lei è una sorta di vittima sacrificale.
Il crocifisso faceva parte della scenografia ed è vero che la fa sembrare un po’ Giovanna D’arco.
Peraltro anche Laetitia Casta è francese.
Quando mi sono trovato l’inquadratura ci ho pensato. Con tutte le debite distanze verso i grandi registi che hanno raccontato questa grande figura, il fatto che la Casta è stata la Marianna francese contribuiva a creare questo retro pensiero.

Rapporto genitori e figli
Come ne Il campione anche Una storia nera ripropone un rapporto tra figli e genitori in cui i primi condizionano in maniera negativa l’esistenza dei secondi.
È vero, in entrambi i film i padri non fanno una bella figura. Nel film ho fatto mia la riflessione presente nel libro di Antonella Lattanzi dove viene detto che i rapporti malati ricreano di generazione in generazione dinamiche tossiche che influenzano le persone che ne vengono a contatto.
Una storia nera fa ampio uso dei codici di genere. Dapprima la vicenda assume i contorni di un giallo, mettendo tutti i personaggi nella condizione di essere il potenziale assassino. Poi, dopo l’arresto di Carla, il film diventa un classico court drama. Ancora una volta il cinema di genere è forse quello che meglio di altri è capace di leggere i grandi temi della società contemporanea.
Anche come spettatore a me piace il cinema di intrattenimento, in particolare quello fatto in maniera intelligente da registi come Spielberg a Nolan. Fincher, per esempio, è un altro che riesce ad andare in profondità senza perdere nulla in termini di spettacolarità che poi è quello che vorrei fare anche io. Questa storia mi piaceva perché racconta dei personaggi con dei conflitti fortissimi e lo fa attraverso il genere. Non mi interessava fare un film a tema sulla violenza domestica con l’obiettivo di dare delle risposte. Piuttosto volevo imitare i grandi noir del passato e del presente, quelli che presentano un dilemma morale capace di porre sempre ulteriori domande.
Il modo di dirigere di Leonardo D’Agostini
Al tuo secondo film ti confermi un regista molto concreto. La tua è una messa in scena senza tanti fronzoli, votata com’è alla narrazione e non alla ricerca dell’effetto scenico.
Penso che le storie e i personaggi abbiano già in sé la forza necessaria per imporsi e che il regista debba preoccuparsi soprattutto di stargli dietro arrivando all’essenza delle cose. Nel film succede quando Carla entra nell’aula del tribunale. Lì ho deciso di seguirla da vicino per non perdermi un attimo della tensione del personaggio. Quel momento per me è la prosecuzione della sua entrata in carcere e dunque di quel timore da cui è assalita nel momento in cui diventa la presunta colpevole. La mdp gli sta addosso per cercare di capire cosa sta pensando ritrovandosi dentro l’aula mentre tutti la guardano e la giudicano.
Il tema della violenza
Parlando di violenza familiare il film propende per una versione meno netta della questione, indagando i vuoti che esistono sia in termini di pensiero sia in termini di legge. Come in Anatomia di una caduta anche Carla, in quanto donna, è vittima di stereotipi e pregiudizi. Una storia nera mette in evidenza come anche la legislazione non sia ancora in grado di stare dietro a questo problema dal punto di vista procedurale e direi anche culturale.
Verissimo, sono mondi estremamente complessi. Di per sé entrare nella vita dei singoli e nelle loro dinamiche è molto difficile. Da qui la difficoltà di tradurre tutto questo in leggi capaci di prevenire la violenza. Sono d’accordo con te sul fatto che molte vittime si trovano coinvolte in paradossi che l’istituzione non riesce a sanare. Spesso è estremamente complicato tirarsi fuori da situazioni come queste. Andare via dal proprio nucleo familiare è più difficile di quanto si possa pensare. Noi raccontiamo il caso di una donna i cui figli amano il padre nonostante i suoi comportamenti estremi. La figlia più piccola non può ancora capire mentre quella adolescente ha un amore spassionato verso il padre e questo non le fa vedere la realtà. Al contrario del più grande che è consapevole e coinvolto per paura che la madre possa un giorno soccombere a questo padre. Quando apprendiamo queste storie tendiamo a dare dei giudizi netti mentre in realtà è difficile farlo di fronte a persone che vivono situazioni come queste.
Come molte donne, anche Carla a un certo punto rimane sola di fronte al suo problema. Nessuno riesce ad aiutarla quando ha bisogno d’aiuto.
Sì, lei è la persona più sola del mondo, nel senso che ha un marito che la tormenta e che comunque lei continua ad amare anche nella speranza che prima o poi possa cambiare. Da parte sua la legge e la polizia non hanno strumenti per aiutarla.
Nel film le difficoltà della giustizia riguardano anche quelle di trovare il colpevole. Le sue capacità girano a vuoto anche nei meccanismi forensi.
Sì, è vero.

Le donne
Parlando della realtà contemporanea Una storia nera allude anche alla mancata solidarietà tra donne. Nel film la più accanita accusatrice di Carla è una donna, ovvero il pubblico ministero. Anche la figlia e la madre del marito non sono dalla sua parte.
In realtà il Pm fa solo il suo lavoro, però sì, simbolicamente succede questo perché è evidente che tra lei e Carla non c’è nessuna empatia. Nella parte del magistrato Cristiana Dell’Anna è come al solito bravissima nel dare corpo a questa contesa.
Il loro confronto va oltre la materia del contendere assumendo i contorno di uno scontro tra due diversi modi di essere donna. Più volte Carla le dice, più o meno direttamente, che il fatto di non essere madre le impedisce di essere lucida e di capire come sono andati veramente i fatti.
Tutto vero, il pm è una donna totalmente immersa nel suo ruolo accusatorio e forse l’unico momento in cui vacilla è quando Carla le chiede se lei lascerebbe vivere un uomo violento accanto ai suoi figli. Nella sua accezione noir anche Una storia nera ci presenta un dilemma morale riassunto dallo sguardo che si scambiano le due donne. In questo senso il noir è il genere cinematografico più vicino alla tragedia perché ti mette sempre di fronte a scelte impossibili.
Non a caso nello scontro tra Carla e il pm utilizzi il campo e il controcampo. Spesso criticato, in questo caso la scelta risulta efficace per restituire la distanza e l’opposizione tra i due personaggi.
Sì, in quel caso era proprio necessario, in quanto era la soluzione più diretta per mostrare la contrapposizione tra le parti. D’altronde lo scontro tra accusato e accusatore è uno dei momenti più iconici dei cosiddetti legal thriller. Tra questi quello che amo di più è Il verdetto di Sidney Lumet, ma ce ne sono altri molto belli tra cui La verità di Henri-Georges Clouzot. Da appassionato la sfida era avere l’opportunità di raccontare il processo con il mio stile. Considerando che si tratta di una situazione statica in cui sono tutti fermi e seduti e chiamati a parlare dovevo trovare il modo per cui a guidare lo spettatore fosse le emozioni e la tensione. Una storia nera mi ha permesso di cimentarmi in diversi generi e anche per questo è stato bello girarlo.

Gli interpreti
A Letitia Casta hai offerto uno dei suoi ruoli più belli e impegnativi, mentre di Andrea Carpezano si può dire che è il tuo attore feticcio. In questo caso gli offri una parte che ce lo mostra in versione meno spavalda e più riflessiva rispetto a quello interpretato ne Il campione e che ne conferma l’eclettismo.
Andrea è un attore eccezionale, capace di trovare sempre una sua economia nelle cose, nel senso che lui riesce a fare molto dando la sensazione di fare poco. Oltre a essere un bravissimo attore mi piace il suo magnetismo e la sua intelligenza. A volte si discute ma l’obiettivo è sempre quello di andare nella direzione migliore. Anche la Casta è molto brava, dedicandosi al film con tutta la cura possibile. L’idea che mi sono fatto è che abbia visto il ruolo come un’opportunità diversa rispetto al suo percorso. Nell’interpretarlo si è anche appassionata e questo secondo me arriva.
Fuori dal contesto di questo film approfitto per chiederti de Il campione e della scelta di riunire la coppia di Santa Maradona ovvero Stefano Accorsi e Anita Caprioli. In questo senso Il campione sembra tornare sul finale aperto di quel film portandolo a compimento una volta per tutte.
Fino all’ultimo ero in dubbio se inserire o meno la loro scena. L’ho fatto perché in quel film la questione importante era di mettere in condizione i due protagonisti di imparare uno dall’altro. Perché questo avvenisse era necessario per il personaggio di Accorsi l’esistenza di un passato che, per l’appunto, si manifesta attraverso il personaggio interpretato da Anita.
Il cinema di Leonardo D’Agostini
Parliamo del cinema che ti piace.
Di Fincher ti ho già detto per cui ti faccio il nome di John Carpenter. A parte i grandi classici come Alfred Hitchcock un film fondamentale per me Il lungo addio di Robert Altman. Di recente mi sono rivisto Adua e le compagne di Antonio Pietrangeli, regista inspiegabilmente dimenticato, e La morte scorre sul fiume di Charles Laughton. Tra i registi contemporanei mi piacciono quelli tecnici come Steven Spielberg che ogni volta fa sentire il suo piacere per il cinema.
Licorice Pizza è un film eccezionale, Diamanti Grezzi dei fratelli Safdie è il non plus ultra.