Prima di A House of Dynamite, Kathryn Bigelow ci aveva già abituati ad adrenalici film su scenari di guerra, calati nella contemporaneità, come The Hurt Locker (2008) e Zero Dark Thirty (2012).
“Abbiamo costruito una casa piena di dinamite, in cui le pareti sono pronte a esplodere e noi ci viviamo dentro”. Questa è a metafora centrale di A House of Dynamite, ambientato in un mondo sull’orlo di una guerra nucleare, uno scenario che pensavamo legato e confinato ad anni lontani della guerra fredda, ai Dottor Stranamore e A prova di errore di oltre mezzo secolo fa.
Invece, sull’onda delle minacce recenti della Russia e i timori di un Estremo Oriente nordcoreano atomico e impoverito, rieccoci a fronteggiare le prospettive dell’apocalissi.
Un presidente americano dubbioso, funzionari coscienziosi e un apparato militare bellicista si confrontano per tutto l’arco narrativo di A House of Dynamite. Personaggi interpretati in maniera impeccabile da attori come Idris Elba, Rebecca Ferguson, Gabriel Basso, Jared Harris e Tracy Letts, divisi tra il momento storico e la loro personale quotidianità di affetti.

Kathryn Bigelow dirige con il suo classico stile concitato, frenetico, incisivo, seppur non particolarmente originale, in un montaggio serratissimo che ci lascia vedere la stessa vicenda, nel medesimo breve spazio temporale, tra un missile lanciato e i suoi possibili effetti devastanti.
Figlio dei nostri tempi, A House of Dynamite demolisce la pretesa dell’inviolabilità del suolo americano, la sua tracotanza tecnologica, riportandoci angosciosamente a un immaginario fatto di bunker, di ignari sommersi e di un’élite di salvati, di un’umanità cronometricamente lanciata verso la sua autodistruzione.
