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Euganea Film Festival

Il buon auspicio nel linguaggio poetico e inusuale di ‘El Bon Auguri’

Un'immersione sensoriale nel cinema di Alba Bresolí, all'Euganea Film Festival.

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Ci sono film che non cercano di spiegare, ma di evocare. El Bon Auguri (The Good Omen) di Alba Bresolí, presente nel programma dell’Euganea Film Festival, appartiene a questa categoria. È un’opera che parla sottovoce, che chiede allo spettatore di ascoltare, più che di capire. Non c’è una narrazione lineare: tutto è costruito per frammenti, immagini e gesti che hanno il sapore della memoria. Una ricucitura di un legame sensoriale attraverso un linguaggio inusuale.

Al centro c’è una pietra millenaria, ai margini di Barcellona. Un tempo era una montagna, oggi è un corpo isolato, testimone silenzioso di comunità che, per secoli, vi hanno lasciato offerte chiedendo “buoni auspici”. La voce fuori campo ci ricorda:

“Era risaputo che quando aravano il campo vicino, la gente evitava quella pietra.”

Il film ci porta accanto a lei come a un personaggio: la pietra respira, custodisce, ricorda. E con lei ricordiamo l’ultimo pastore della zona, l’unico che continuava a visitarla prima di sparire, insieme al suo gregge.

Il rito e il rosso

In questo spazio liminale, dove la città avanza e il silenzio arretra, emerge un gesto: un collettivo ecofemminista decide di ricoprire la pietra con un sudario rosso di lana, tessuto con il vello delle pecore del pastore. Il rosso è vivo, saturo, e trasforma la pietra in un corpo che respira. Non è un occultamento, è un atto di protezione, quasi di cura.

Il sudario diventa un segno di continuità tra la terra, l’animale e la comunità. È qui che il titolo del film trova il suo significato più profondo: un “buon augurio” per il pastore, per il suo gregge, per un mondo che rischia di scomparire sotto il rumore delle autostrade.

La scena, catturata nel frame, mostra un gruppo di donne che copre la pietra con una stesa di lana tinta, realizzata con la tosatura delle pecore. La mano che accarezza la superficie riesce a rendere la pietra un corpo caldo, vivo, sorprendentemente pulsante. I colori dominano la percezione: il rosso è saturo, ferroso, attraversato da striature ocra e venature più scure che ricordano la carne, il sangue, la vita. È un’immagine che destabilizza: sembra il corpo di un sacrificio, ma in realtà ne è il contrario. Il sudario non rappresenta la morte, bensì un gesto di protezione.

Alba Bresolí e la sua traiettoria

Bersolí, laureata in Comunicazione e Produzione Cinematografica con un master in Documentario Creativo all’Università Pompeu Fabra, ha collaborato con cineasti come Isaki Lacuesta ed Eva Vila, esperienze che emergono nella maturità del suo linguaggio.

Nasce vicino al luogo dell’opera, a Barcellona. Sviluppando il suo lavoro tra documentario e arte visiva, indagando il rapporto tra territorio, memoria e ritualità. Prima di El Bon Auguri, ha realizzato cortometraggi come Cuencas, girato in 8mm, e il prologo e l’epilogo d’El día que volaron la montaña presentato nel 2022 al Trento Film Festival.

Questa scelta non è casuale. Anche se El Bon Auguri è girato in digitale, la collaborazione con il direttore della fotografia Ben Guez restituisce un’estetica atemporale, vicina alla grana ed all’imperfezione apparente della pellicola. Un cinema che sembra già ricordo, sospeso in una luce che non appartiene né al presente né al passato.

Custodire ciò che rischia di sparire

Alla fine, El Bon Auguri lascia più domande che risposte. La pietra rimane, avvolta nel suo sudario rosso, mentre attorno il mondo continua a cambiare. La domanda riguardo alla figura, quasi mitologica, del pastore rimane la stessa della voce narrante:

“Quando è stato visto l’ultima volta?”

Diventa dunque un riflesso più ampio: cosa stiamo perdendo senza accorgercene? Cosa scegliamo di proteggere, e cosa lasciamo andare?

Il film non denuncia, non idealizza, non indulge nella nostalgia. Sospende il tempo, lo dilata, ci invita a osservare da vicino ciò che normalmente scivola via: un suono, un gesto, un’assenza. Forse il buon augurio sta proprio qui: nella possibilità di custodire ciò che rischia di essere dimenticato, prima che il rumore delle autostrade copra per sempre il tintinnio dei campanacci. Proprio come accade nel fuoco che divampa nella foresta di Benjamin Hindrichs, in ‘Daru/n’, dove la distruzione diventa anche memoria.

In questo modo, El Bon Auguri si colloca in una nicchia che non ambisce a spiegare il mondo, ma a ricucirne un legame sensoriale con esso, invitando lo spettatore a un rapporto più personale e profondo con ciò che vede.

El Bon Auguri

  • Anno: 2024
  • Durata: 13 minuti
  • Genere: documentario
  • Nazionalita: Spagna
  • Regia: Alba Bresolí