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‘Mercoledì 2’, la seconda parte tra tanto fumo e troppo arrosto

La parte due della seconda stagione di Mercoledì torna su Netflix, tra sottotrame in eccesso, risoluzioni forzate e il "fantasma" di Lady Gaga.

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Eccoci di nuovo qui, dopo appena un mese dall‘uscita della prima, a parlare della seconda parte della seconda stagione di Mercoledì. 

Questa frase sembra uno scioglilingua, ridondante, ripetitiva e inutilmente arzigogolata. Eppure è perfetta, perché è esattamente questo l’effetto che si ottiene spezzettando una stagione di otto episodi in due parti: una costruzione della storia innaturale, eccessiva nelle sottotrame e fin troppo pesante da digerire.

Alla pari dei panini speciali di Pugsley.

La trama

Dopo essersi risvegliata dal coma, Mercoledì (Jenna Ortega) torna sulle tracce di Tyler (Hunter Doohan), affiancata dallo spirito guida dell’ex preside Larissa Weems (Gwendoline Christie) che tenta invano di farle comprendere che, per riconquistare i suoi poteri psichici, deve impegnarsi a ricostruire un legame con la sua famiglia, in primis con sua madre Morticia (Catherine Zeta-Jones).

Nel frattempo, un nuovo villain si fa strada verso la Nevermore: lo zombie riportato in vita da Pugsley (Isaac Ordonez) nasconde in realtà un passato oscuro, legato a doppio filo a quello degli Addams… e di Tyler.

Una telenovela teen

Prima di avventurarci nelle problematiche di questa parte due, e più in generale dell’intera serie, partiamo da un presupposto doveroso: è più che mai necessario pensare al target per cui è stato creato questo prodotto.

Certo, la presenza del soprannaturale, della morte e di qualche parentesi violenta alzano un po’ l’asticella, ma Mercoledì è pensata principalmente per gli adolescenti. Da ragazzina, io stessa ne sarei rimasta entusiasta.

Ecco perché, pur riconoscendo i suoi scivoloni narrativi e alcune discutibili scelte produttive, è importante dar loro il giusto peso nell’economia di una serie che, per il suo pubblico primario, fa comunque il suo dovere.

E lo fa anche bene, nonostante uno dei problemi principali di questa seconda parte, ovvero l’eccesso di sottotrame e personaggi di contorno che appesantiscono la narrazione.

Mercoledì non è più solamente l’outsider risolvi-misteri che si interfaccia con i suoi simili: in otto episodi troviamo nuove dinamiche familiari, l’oscuro passato di Mano, la parabola esistenziale di Enid, un novello Frankenstein, legami e segreti familiari a ripetizione, sbagli generazionali, una “guida spirituale” il cui unico apporto è quello di dar una voce chiara agli ormai famosi spiegoni (per quanto gradito sia il ritorno di Gwendoline Christie), e persino una setta, la cui storyline è completamente a sé stante e mal si amalgama con il resto.

Insomma, tanto, troppo arrosto: Mercoledì si conferma, in questa seconda stagione, come una telenovela dark super concentrata, condita da dinamiche teen già più o meno collaudate. In particolare, un episodio vi catapulterà direttamente nell’epoca d’oro di Disney Channel; niente spoiler, ma non preoccupatevi: è inconfondibile.

Foto di JONATHAN HESSION/NETFLIX – © 2025 Netflix, Inc.

Netflix e la micro-segmentazione: come non costruire una storia

La seconda parte della stagione due di Mercoledì non si discosta troppo dagli episodi precedenti, mantenendo una sua coerenza estetica piuttosto riconoscibile e oscillando tra momenti dark ad altri nettamente più leggeri, senza però mai spingere veramente sulla vena grottesca intrinseca alle vignette di Charles Addams. In realtà, se non fossimo nell’era dei social e del marketing selvaggio, Mercoledì rimarrebbe una serie come tante, godibile, con svolte narrative un po’ forzate ma giustificate dal target.

E invece, dato il grande nome dietro alla macchina da presa, e complice la pubblicità aggressiva e sovraccarica dei nostri tempi, ci troviamo di fronte a un fenomeno di massa: c’è chi lo ama e chi lo odia, ma tant’è, l’importante è che si guardi e che se ne parli.

L’eccessivo hype ha portato il pubblico a nutrirsi di segmenti di Mercoledì ben prima della sua uscita, e Netflix ha spinto ancor di più l’acceleratore con questa stagione, promettendo agli spettatori un’indimenticabile Lady Gaga, salvo poi relegarla a un cameo fugace e poco incisivo; poco più che un’apparizione, in tutti i sensi, per una delle dive più iconiche del nostro periodo.

Almeno, possiamo però godere di un suo nuovo brano, The Dead Dance, composto appositamente per la serie.

Resta però una domanda: fino a che punto è accettabile spingersi con il marketing? In teoria, il limite dovrebbe coincidere con l’integrità della storia, che dovrebbe rimanere il fulcro di tutto. Invece, ancora una volta, la narrazione diventa un elemento secondario, sacrificabile e facilmente manipolabile.

La suddivisione delle stagioni in due parti, ormai marchio di fabbrica di Netflix, finisce per compromettere l’armonia della narrazione.

Ne derivano antagonisti superflui e sacrificabili, storylines atte ad allungare il brodo, evoluzioni dei personaggi frettolose e poco organiche, e dinamiche già note, allo scopo di mantenere una parvenza di solidità in entrambe le metà della stagione.

Lo streaming sta pian piano rivelando le sue carte: se da una parte ci ha donato la possibilità di accedere a ricchi cataloghi a prezzi tutto sommato ragionevoli, dall’altra sta subdolamente sovvertendo le dinamiche interne della struttura narrativa, un tempo regina, ora schiava.

Forse, se Mercoledì avesse fatto meno rumore, avrebbe davvero potuto essere una serie indimenticabile.

Ma lo zombie del marketing non perdona.