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Biennale del Cinema di Venezia

Kathryn Bigelow e l’arma nucleare a Venezia ’82

Con A House of Dynamite la regista premio Oscar porta al Lido un thriller politico. Un monito che va oltre il cinema, tra urgenza politica e coscienza civile.

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Al Festival di Venezia 82, Kathryn Bigelow è tornata in Concorso con A House of Dynamite, un thriller ambientato alla Casa Bianca che ha già acceso il dibattito per i suoi contenuti politici. Non solo cinema, dunque: la regista premio Oscar ha usato il red carpet e la conferenza stampa per lanciare un avvertimento che suona come un pugno nello stomaco. «Per sopravvivere, bisogna essere più informati sulle armi nucleari», ha dichiarato, sottolineando come la percezione di questo rischio sia oggi sottovalutata, se non addirittura ignorata.

Viviamo, ha detto Bigelow, «in una casa piena di dinamite». Un’immagine forte, che sintetizza il cuore del film e la sua urgenza: riportare al centro della discussione pubblica un tema che sembra scomparso dal dibattito politico e culturale, nonostante la minaccia sia più attuale che mai.

Un film documentato, tra realtà e finzione

Lo sceneggiatore Noah Oppenheim ha raccontato come la scrittura sia nata da un lungo lavoro di ricerca: incontri con militari, membri della CIA, esperti della Situation Room della Casa Bianca. Non un esercizio di fantasia, ma un racconto che parte da scenari reali e possibili. A House of Dynamite mostra quanto fragile sia il meccanismo che regola il potere nucleare: bastano pochi minuti, una catena di decisioni, e l’umanità può trovarsi sull’orlo dell’annientamento.

Bigelow, fedele al suo cinema teso e incalzante, non rinuncia all’intrattenimento, ma lo piega a un’urgenza politica e civile: riaccendere la coscienza collettiva su un tema che riguarda tutti.

Un cast a più voci

È un corpo a più voci quello di A House of Dynamite. Idris Elba, nel ruolo del Presidente degli Stati Uniti, e Rebecca Ferguson, ufficiale in comando, guidano un mosaico umano che non segue la linearità dell’eroismo, ma la frammentarietà dell’esperienza. I personaggi si muovono tra corridoi del potere e sale operative, in attesa di decisioni che possono cambiare la Storia.

Bigelow non cerca protagonisti monolitici: li smonta, li riduce a fibre di ansia e decisione. Ogni volto è un nervo scoperto, ogni parola un compromesso. Il risultato è un coro drammatico. Idris Elba ha raccontato: “Il ruolo del Presidente è stato molto realistico, quasi come essere in un documentario… e ho imparato che di certo non ho il coraggio di buttarmi in politica, poco ma sicuro”.

Rebecca Ferguson, in scena solo nella prima delle tre parti che compongono il film, spiega che il progetto le ha suscitato interesse e riflessione: “Ho opinioni politiche, non sono un’attivista, ma comprendo la fragilità del mondo in cui viviamo, e il film parla di responsabilità”.

Un ritmo scandito dal tempo

L’ossatura narrativa del film è scandita da un cronometro invisibile: il tempo della politica, il tempo della guerra, il tempo del possibile annientamento. Qui Bigelow trova la sua cifra più radicale. Lo spettatore non può sfuggire: è inchiodato a quella clessidra che corre, e nel suo scorrere lento risuona il battito del nostro presente.

La decisione finale – racconta la regista – deriva dalla conversazione con Noah [Oppenheim]. Volevamo lasciare ambiguità: invitiamo il pubblico a pensare cosa farebbe in quella circostanza. Non sappiamo chi abbia lanciato l’arma, né la destinazione: però possiamo dare una risposta. Distruggere il mondo potrebbe essere visto come un modo per proteggerlo. Vorrei ridurre gli arsenali nucleari”.

Bigelow non costruisce un pamphlet, ma una partitura. Il film non dà risposte, ma interroga la nostra capacità di convivere con l’impensabile. È politica nella misura in cui riconosce la fragilità delle democrazie, è poesia nel modo in cui traduce quell’angoscia in immagini e respiro. La paura non è un grido isterico, ma un sussurro che si propaga lentamente, insinuandosi sotto la pelle.

Un monito che arriva anche sulla strada

Il messaggio della regista riguarda tutti noi, anche chi attraversa quotidianamente la città. Chi guida un taxi incontra voci, storie, paure e speranze. Informarsi sul rischio nucleare significa trasformare la consapevolezza in conversazione, anche in spazi apparentemente lontani dalla politica.

Dobbiamo essere molto più informati, avviare discussioni sulla non proliferazione delle armi nucleari: se vogliamo sopravvivere, questa è la mia speranza, il mio messaggio”, conclude Bigelow.

Conclusione

A House of Dynamite non è solo un film, ma un campanello d’allarme. Bigelow ci ricorda che il cinema, quando sa farsi voce del presente, non si limita a intrattenere: scuote, provoca, mette in guardia. E forse, proprio per questo, ci aiuta a sopravvivere.

A House of Dynamite

  • Anno: 2025
  • Durata: 112'
  • Distribuzione: Netflix
  • Genere: Thriller, Drammatico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Kathryn Bigelow