DOM di Massimiliano Battistella, presentato nella selezione Notti Veneziane delle Giornate degli Autori, racconta la storia di Mirela Hodo, una donna che vive a Rimini con la sua famiglia e che decide di intraprendere un viaggio verso il suo paese di origine, Sarajevo. In particolare i suoi ricordi la conducono all’orfanotrofio di Dom Bjelave, da cui all’età di dieci anni viene portata via su un convoglio umanitario allo scoppio della guerra.
“Il mio obiettivo è stato sempre quello di non mostrare la guerra ma rappresentare gli effetti di essa sulle persone.”
(Massimiliano Battistella)
La nascita del progetto: l’incontro con Mirela
Riccardo Biadene, produttore del film racconta di come abbia conosciuto Massimiliano Battistella attraverso il suo primo film, Pierrot sui binari (2020). Massimiliano stava lavorando a un progetto di fiction sulla storia dei Balcani quando si è imbattuto nella storia di Mirela e ha deciso di raccontarla perché portava con sé un messaggio universale. Inizialmente intimorito dall’idea che il film potesse portare a un sentimentalismo facile, ha cambiato idea dopo aver conosciuto Mirela.
Massimiliano Battistella: Io ero in una fase di ricerca, dovevo fare un altro film. Sono molto emotivo, mi lascio trasportare dalle vicende umane, e quando ho conosciuto Mirela ho capito che il film potesse trasmettere un messaggio universale.
Mirela Hodo: C’è stato Amore (aggiunge sorridendo).
Il metodo dello psicodramma
Lisa Pazzaglia, co-sceneggiatrice con il suo metodo dello psicodramma ha permesso a tutta la troupe di portare a termine il film. Le abbiamo chiesto di raccontarci di più sul metodo applicato al film di Massimiliano Battistella.
Lisa Pazzaglia: Per psicodramma definisco l’approccio che utilizzo solitamente con i gruppi. In questo contesto, si tratta di creare le condizioni migliori affinché sul set si crei un’atmosfera di fluidità e fiducia totali. Questo metodo comporta che nel momento in cui il regista sentiva di voler catturare immagini, emozioni nell’immediato, bisognava fermarsi per arrivare a filmare le stesse emozioni, ma in maniera graduale e consapevole. È stato un lavoro di triangolazione: io sono stata il terzo occhio tra quello di Massimiliano e quello di Mirela. Tutto diventa così possibile di fronte alla messa a nudo della protagonista.
Il lavoro d’archivio
MB: Rispetto all’archivio, si è instaurato un dialogo costante tra presente e passato che abbiamo cercato di ricostruire in montaggio. Il repertorio ha valore di testimonianza storica filtrata dalla sua soggettività. Sono stati usati due repertori: il primo, più intimo, legato al girato delle educatrici di S. Maria del Mare di Rimini, dove Mirela è stata accolta al suo arrivo; l’altro è l’unica testimonianza di Mirela durante l’assedio di Sarajevo. Vi ho ritrovato la stessa prossimità di sguardo di Mirela bambina. Il risultato finale è un grande mosaico di ricordi che costituisce la sua storia.
La cifra stilistica emotiva
MB: Il formato che abbiamo scelto con il direttore della fotografia Emanuele Pasquet è il 4:3 e abbiamo scelto di adottare un tipo di pasta che facesse percepire una sfocatura. Abbiamo giocato molto con il fuori-fuoco, un’estetica che suggerisse distanza tra l’Italia e Sarajevo. Abbiamo usato la lente del ritratto per le riprese in Italia. In origine il film doveva essere uno studio sulla ritrattistica pittorica. Per Sarajevo abbiamo usato una lente diversa che facesse sentire il senso di appartenenza di Mirela alla sua terra.
MH: Ci tengo a sottolineare che incredibilmente è stato tutto spontaneo sul set. C’è stata subito stima e fiducia tra me e il regista. Massimiliano è stato bravissimo. Ci tengo a ringraziare il produttore per essere riuscito a realizzare il film.
MB: C’è stata una spontaneità, ma una spontaneità ricercata. Alla base di tutto c’erano condizioni che venivano create sul set dal punto di vista umano e tecnico.
Il film inizia con una Rimini invernale, dove, prendendo in prestito le parole di uno dei due figli di Mirela, “l’acqua del mare diventa grigia quando arriva il temporale”.
MB: L’Adriatico è il mare che bagna le due sponde. Questo inizio è voluto, e il montaggio è stato un vero e proprio laboratorio creativo.

Massimiliano Battistella e Mirela Hodo