Il 31 luglio 2023 ha segnato la chiusura definitiva del Cinema Odeon di Milano, dopo quasi un secolo di attività. Costruito in stile art déco tra il 1927 e il 1929, il cinema fu voluto dalla famiglia Pittaluga e realizzato dall’ingegnere Giuseppe Laveni insieme all’architetto Aldo Avati, figura di spicco dell’architettura italiana.

Questa premessa storica diventa il cuore pulsante de L’incanto, film documentario diretto da Tomaso Pessina, in concorso alle Giornate degli Autori. Un’opera profonda e personale, che prende forma tra il 2022 e il 2024 e che si avvale della voce narrante di un testimone d’eccezione: Pupi Avati, maestro del cinema italiano, regista di oltre quaranta film. Con la sua inconfondibile verve, Avati accompagna lo spettatore in un viaggio personale e visivo tra memoria, appartenenza e immaginario collettivo, dove filmati d’archivio, sequenze originali di film, animazioni e conversazioni private si intrecciano per raccontare non solo un autore, ma il potere del cinema di incantare e trasformare.
Un viaggio tra personale e collettivo
L’incanto è una storia che nasce da lontano, custodita nella memoria familiare di Tomaso Pessina, pronipote di Aldo Avati che progettò il Cinema Odeon. Come racconta il regista:
“Il cinema è stato progettato e costruito nel 1929 dal mio bisnonno Aldo Avati, uno degli architetti più in vista di quegli anni. Quando ero bambino si andava con nonna e famiglia all’Odeon. (…)una volta l’anno circa si andava a vedere il nuovo film di Pupi Avati, la gloria di famiglia. Allora Pupi non l’avevo mai conosciuto né incontrato. (…) Poi è successo che mi sono innamorato del cinema e che ho finito per lavorare al suo fianco per anni. Questo è un film personale, ma non è un film su di me. È un film sul cinema. Su un autore. E anche sull’incanto”
Questa connessione generazionale si traduce in un racconto emozionante, dove storie diverse restituiscono il senso profondo di un’epoca, di una città, di un sogno collettivo.
Un grido contro la perdita culturale
Oltre al valore nostalgico e affettivo, L’incanto affronta una tematica oggi più urgente che mai: la progressiva scomparsa dei cinema storici, sempre più spesso riconvertiti in centri commerciali, parcheggi o supermercati. Un fenomeno che ha colpito duramente molte città italiane, e che recentemente ha visto anche la Regione Lazio tentare di varare un disegno di legge per favorire le riconversione edilizia.
Contro questo disegno di smantellamento della cultura, si è battuta con forza la Fondazione Piccolo America, riuscendo – grazie a una rete di petizioni e al coinvolgimento di figure autorevoli – a bloccare il tentativo di svendere le cosiddette “cubature culturali”.
Il documentario di Pessina si inserisce in questo contesto come atto di resistenza: è una dichiarazione d’amore per il cinema, non solo come arte, ma come luogo di aggregazione, di socialità, di formazione dello sguardo. Un tempio laico dove l’immaginario collettivo ha preso forma per generazioni.
Il potere del racconto

Con un ritmo serrato e coinvolgente, accompagnato da una colonna sonora che mescola solennità classica e sonorità moderne, Pupi Avati intreccia la sua storia personale con quella di un’Italia che non c’è più, riportando in vita la Milano e la Bologna degli anni ’30, tra illusioni borghesi e drammi familiari. La sua voce, unita a quella del fratello Antonio Avati e dello stesso regista, guida lo spettatore in un viaggio che diventa universale, fatto di sogni, perdite e rinascite.
L’incanto non è un semplice omaggio: è una testimonianza viva, un’opera che riesce a emozionare, informare e indignare. È il racconto di una fine ma anche di una possibilità di rinascita. Perché, come ricorda il titolo, l’incanto del cinema può ancora resistere.