Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch, in concorso a Venezia 82 arriva a metà della competizione, piacevole come una pausa caffè e sembra così necessario nella semplicità delle sue premesse. Ci sono tre quadretti familiari inframmezzati da sprazzi scintillanti e dallo stesso tema sonoro composto dallo stesso regista insieme a Anika. Le tre storie sono legate da temi, colori, oggetti, immagini, frasi, ricorrenti che invitano lo spettatore a un anomala caccia al tesoro. La messa in scena è meticolosa e la sceneggiatura firmato da Jarmusch misurata parola per parola.
I primi due capitoli Father/Mother si concentrano sul rapporto genitori-figli e regalano molti sorrisi seppur velati da una certa malinconia, mentre il terzo Sister Brother è dedicato al commovente rapporto di due gemelli.
Father Mother Sister Brother dopo Venezia, arriva in America
Father Mother
In Father siamo nel Nord Est degli Stati Uniti, Jeff (Adam Driver) e Emily (Mayim Bialik) sono in auto diretti verso la casa isolata tra boschi innevati del padre (Tom Waits). Nessuno dei tre ha un legame profondo con l’altro, soltanto superficiale ed emerge dagli scambi di chiacchere banali che cadono in silenzi imbarazzanti. Lo stesso accade in Mother, a Dublino, dove in un elegante villino una madre (Charlotte Rampling), sta preparando la tavola per servire il tè alle sue due figlie in arrivo, Lilith (Cate Blanchett) e Timothea (Viky Krieps). Durante la conferenza stampa il regista ha sottolineato come la scelta delle tre città non sia casuale. Il New Jersey del primo capitolo ha risposto a esigenze di tipo produttivo, Dublino è la città che accoglie gli artisti, Parigi la città amata dal regista.
Dal momento in cui i figli oltrepassano la soglia di casa dei genitori emerge una prima traccia che sarà presente in ogni quadro, letteralmente un filo rosso; tutti gli attori in scena indossano qualcosa di rosso: un maglione, i calzini, una sciarpa, una canottiera, un cappotto. Tutti si raccolgono intorno a un tavolo e iniziano a brindare con acqua, caffè, tè con latte. Tra una bevuta e l’altra emergono i caratteri di ognuno, le loro peculiarità. Jeff è premuroso e solo, Emily determinata e diffidente, Lilith insicura, Timothea è uno spirito libero. Le due figure genitoriali estremamente fallaci. Il padre, che sembra inizialmente vivere alla giornata e con pochi mezzi, indossa un rolex (tra gli oggetti dispersi nei tre quadri) e forse nasconde qualcosa. La madre non condivide con le sue figlie il suo lavoro di scrittrice, le tiene lontane, non sa comunicare con loro.
Sister Brother
Skye (Indya Moore) e Billy (Luka Sabbat) sono gemelli e vivono a Parigi. Anche loro sono in macchina diretti verso una casa vuota, dove vivevano i due genitori, anche loro vestiti di rosso, ma in modo meno vistoso. Il loro è il rapporto più funzionale, sono legati da un sentimento molto forte. Il loro dialogo è sintomo di uno scambio reale, comunque spezzato dai leitmotive nonsense che passano da un capitolo all’altro. Come nei quadri precedenti le fotografie analogiche riportano tracce del passato dei personaggi.
Il film di Jim Jarmusch è opera di un creativo assoluto, libera da ogni possibile etichetta e forse priva di un senso ultimo. C’è l’incomunicabilità, ma anche l’amore e soprattutto ci sono gli attori che danno corpo al flusso di coscienza del regista. La struttura del film si basa sull’idea di accumulo di idee non divisibili l’una dall’altra. Oltre alle piccole ricorrenze disseminate qua e la, c’è la sequenza della corsa degli skaters che fa da collante principale e a cui sembra che il regista dedichi maggiore enfasi, attraverso l’uso del rallenty. Chi sono i ragazzi in skate? Perchè si trovano in tutte e tre le città? Quale loro aspetto colpisce i protagonisti tanto da indurli a fermare per pochi istanti lo sguardo su di loro? Forse la spensieratezza, la velocità, la giovinezza perduta, non c’è una risposta e questo è il punto di Father Mother Sister Brother: scendere a compromessi con il film, decidere se sedersi a brindare con il caffè di Jarmusch o rifiutarlo e passare oltre.
La Biennale di Venezia