Nel silenzio di una sala ormai chiusa, il Cinema Odeon di Milano conserva ancora il profumo del legno antico e il peso della memoria.
L’incanto, nuovo docufilm di Tomaso Pessina, presentato alla 22ª edizione delle Giornate degli Autori nella sezione Confronti, si sviluppa come molto più di un omaggio. È un gesto di gratitudine, un passaggio di testimone tra epoche e sguardi, ma anche una riflessione poetica sul cinema quando smette di essere solo industria e si rivela, invece, come destino.
Al centro della narrazione, la figura di Pupi Avati: un maestro che ha fatto del cinema una passione e dedizione assoluta.
Un viaggio tra passato e presente
Il documentario si apre con una perdita che assume valore simbolico: la chiusura dello storico Cinema Odeon di Milano, capolavoro dell’architettura déco inaugurato nel 1929 e progettato dal bisnonno di Tomaso Pessina. Da questo evento nasce un racconto che intreccia memoria familiare e cultura cinematografica italiana, trovando nella figura di Pupi Avati un punto di congiunzione tra passato e presente.
Le musiche originali di Enrico Gabrielli accompagnano le immagini con delicatezza ed eleganza, amplificando l’atmosfera nostalgica e onirica del film.
Attraverso un linguaggio visivo sofisticato e stratificato, L’incanto si sviluppa come un viaggio tra ricordi, luoghi e visioni, in cui memorie personali si fondono con materiali d’archivio, sequenze tratte dai film di Avati e inserti animati che ne rinnovano le suggestioni. Il risultato è un ritratto profondo e articolato, che restituisce al cinema la sua natura più pura: quella di strumento capace di raccontare, incantare e trasformare.
La costante perseveranza di Pupi Avati nonostante le difficoltà iniziali
La narrazione prende forma attraverso la testimonianza diretta di Pupi Avati, che si racconta senza filtri: l’infanzia, la famiglia, i primi sogni, gli esordi difficili. Il punto di svolta avviene nel 1968, quando, folgorato dalla visione di 8½ di Federico Fellini, Avati decide di intraprendere la strada del cinema. Insieme agli amici disposti ad aiutarlo, senza alcuna esperienza, scrive lettere ai grandi registi dell’epoca. Nessuno risponde.
Ma quel rifiuto diventa il punto di partenza per una carriera straordinaria, costruita sulla determinazione, la creatività e la fede incrollabile nei propri sogni.
“Solo chi non ha un piano B può farcela. Solo chi crede davvero in ciò che fa riesce a realizzarsi”, afferma Avati.

Le testimonianze
Accanto a Pupi Avati, compaiono nel documentario le testimonianze del fratello Antonio e del direttore della fotografia Cesare Bastelli, che lavora con lui da oltre cinquant’anni.
Bastelli racconta i momenti più emozionanti vissuti sul set, sottolineando il legame umano che il regista ha sempre saputo costruire con la troupe, al punto da vivere con malinconia ogni fine riprese.
La forza dell’intuizione creativa
Uno degli episodi più sorprendenti riguarda la genesi de Le strelle nel fosso: un film nato da dieci righe scritte su un foglio, senza alcuna sceneggiatura. Solo un’idea e la fiducia cieca nel potere dell’intuizione. Gli attori aspettavano ogni giorno di sapere cosa avrebbero girato: il copione era nella testa del regista, nel suo istinto, nella sua creatività.
È qui che il film svela il suo messaggio più forte: il cinema, quando è autentico, nasce da poco. Da pochissimo.
Un’eredità viva, che incanta ancora
Alla soglia degli 85 anni, Avati si racconta con ironia e lucidità, felice di essere richiesto più ora di quanto lo fosse a cinquant’anni. Rivela che la sua sensibilità nel descrivere l’animo umano trae origine dall’osservazione attenta delle persone che lo circondavano da bambino.
Infine, conclude con una frase che risuona come una poesia laica:
“Il bello della mia vita è che ho esagerato nei sogni. Ho creduto ai miracoli. E i miracoli accadono solo a chi ci crede davvero.”
In conclusione
‘L’incanto’ è un titolo che rappresenta con precisione l’essenza dell’opera.

Perché questo documentario incanta davvero. Non con gli effetti speciali, ma con qualcosa di molto più raro: la verità, la passione, la memoria. E quel senso di meraviglia e stupore che solo chi conserva viva la fede nel potere trasformativo del cinema può provare. Un omaggio sincero e toccante a un grande maestro, ma anche un invito aperto a tutti noi a non perdere mai la capacità di sognare, di osservare, e di lasciarci trasformare dall’arte.