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Locarno Film Festival

‘Alpha’: l’abisso che l’amore respinge a tutti i costi

Quando il dolore si sedimenta in un ciclo di sofferenza impossibile da spezzare

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Alpha

Dopo tre anni dal folgorante e divisivo Titane (Palma d’Oro 2021), Julia Ducournau torna con Alpha, spiazzando tutti. Proiettato al Locarno Film Festival 2025 con l’introduzione di Golshifteh Farahani (premiata con l’Excellence Award Davide Campari), il film era stato presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes.

Chi attendeva una ennesima  ‘provocazione’ rimarrà deluso. Alpha è una creatura diversa ma sempre figlia del post umano, territorio della talentuosa regista: famiglia, amore, mostruosità, le tre chiavi per penetrare nel flusso visivo e narrativo di questo racconto.

Anni 90′: Alpha (Mélissa Boros, totalmente dentro il proprio personaggio) è una inquieta adolescente di 13 anni. Vive da sola con la madre (l’eccellente e stupenda Golshifteh Farahani), un medico che si occupa di curare in ospedale chi è stato contagiato. Uno strano virus, ancora oscuro, sta infettando e uccidendo sempre più persone. Quando Alpha torna a casa con un tatuaggio sul braccio, la sua vita inevitabilmente è destinata a cambiare. L’improvvisa apparizione di Amin ( ‘Il profeta’ Tahar Rahim, con 20 kg in meno e un corpo in tensione estrema), fratello di sua madre, zio di cui la ragazza ha cancellato completamente il ricordo, porterà Alpha e la mamma in una spirale continua di cadute e risalite.

Aids, mutazione, amore viscerale

Il corpo, anche in Alpha, è per la Ducournau, simbolo, territorio da marchiare, penetrare, col quale e attraverso il quale comunicare. Dal buco sul braccio di Amin entriamo nel film. Il vento rosso, che incessantemente batte sulla Terra, è dentro di lui. Alpha con il suo tatuaggio sul braccio rischia di essere contaminata, di assorbire quel male che sta letteralmente pietrificando la carne di chi ne viene colpito.

La regista isola lo shock che la tragedia dell’HIV aveva provocato:

Da bambina, al momento della comparsa dell’HIV, una paura contagiosa, la vergogna di un’intera fascia della popolazione e il modo in cui la società si è rifiutata di affrontare questo problema di petto e di ammettere che ci riguardava tutti

Il confine che attraversiamo in Alpha è totalmente emotivo. Capace di trascendere la temporalità, di confonderla. La forza dell’amore incondizionato è questa. La madre di Alpha da sempre lotta instancabilmente contro Amin, schiavo della sua tossicodipendenza: non vuole lasciarlo andare, lo riporta in vita ogni volta che è in overdose. Una straziante, dolorosa fatica che si è caricata addosso sin da quando sua figlia era piccola, nonostante sua figlia.

Non svegliarmi, se mi addormento non svegliarmi

Supplica Amin alla nipote, nell’estremo tentativo di porre fine al loop di una sterile sopravvivenza.

Pur essendo meno incisivo simbolicamente, il visivo della Durconau mantiene intatta anche in Alpha la sua semiotica. Il rapporto temporale, scisso tra una corposità e nitidezza fotografica del passato che si contrappone al freddo, metallico e destabilizzante presente, è accompagnato da un sonoro ed una musicalità capaci di rendere una profonda esperienza interiore. Il malessere, il disorientamento di Alpha rimbombano e marcano la narrazione, così come la melodia portante (affidata allo storico collaboratore, il compositore britannico Jim Williams), struggente nella sua delicata moderna malinconia.

Julia Ducournau, in questa visione più intima e ripiegata su se stessa, perde in potenza evocativa, mantenendo comunque intatta la capacità di attraversare l’immagine, di usare il genere per realizzare la sua idea di cinema. Un cinema non necessariamente sincrono, di substrato post umano, capace di translitterare verso una grammatica filmica antroprocenica, l’anima del nostro tempo.

Alpha

  • Anno: 2025
  • Durata: 128'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Francia, Belgio
  • Regia: Julia Ducournau