Presentato in anteprima mondiale al Locarno Film Festival 2025, Mare’s Nest segna il ritorno di Ben Rivers, regista britannico noto per il suo cinema sperimentale, capace di fondere documentario, narrazione e suggestione visiva. Il film è liberamente ispirato al monologo distopico The Word for Snow di Don DeLillo, che riflette sul potere e sulla fragilità del linguaggio.
Un mondo senza adulti
La storia si svolge in un futuro imprecisato, forse post-apocalittico, in cui gli adulti sembrano scomparsi o pietrificati, lasciando il mondo in mano ai bambini. Tra loro c’è Moon (Moon Guo Barker), giovane custode di un sapere frammentario, che attraversa paesaggi dove realtà e immaginazione si confondono. Gli incontri lungo il cammino — studiosi erranti, traduttori enigmatici, creature mitiche — sono momenti sospesi, più simili a quadri viventi che a scene narrative. Rivers costruisce il viaggio come un pellegrinaggio interiore, in cui ogni volto, ogni parola e ogni silenzio diventano parte di un mosaico che non punta a dare risposte, ma a evocare un senso di mistero e urgenza.
Fotografia e scenografie mitiche
La fotografia, girata tra Menorca e Regno Unito su pellicola 16 mm, alterna sequenze in bianco e nero a intensi momenti a colori, trasformando i luoghi in spazi mitici. La cava di Lithica, con le sue pareti calcaree, si fa labirinto minotaurico, mentre le spiagge battute dal vento evocano terre di confine, sospese tra vita e oblio. La luce viene trattata come materia pittorica, capace di dare spessore alla polvere nell’aria e profondità al cielo. In una delle sequenze più evocative, un gruppo di adulti appare immobilizzato dal panico, come i cittadini di Pompei sorpresi dall’eruzione: un’immagine che parla di catastrofe e immobilità, di un presente spezzato.

La voce di Don Delillo
Il legame con il testo di DeLillo si avverte nella centralità della parola e del linguaggio come strumenti di sopravvivenza. Moon sembra essere l’ultima a custodire un vocabolario in via di estinzione, e la neve evocata nel titolo originale diventa simbolo di ciò che può dissolversi se non tramandato. La colonna sonora amplifica questa sensazione di fragilità: momenti di silenzio assoluto si alternano a interventi musicali minimali, mentre i rumori ambientali — vento, passi, mare — diventano essi stessi narrazione. In certi passaggi, una voce emerge come un’eco lontana, recitando frasi enigmatiche che non spiegano, ma invitano a perdersi.
Infanzia, mito e un mistero irrisolvibile
Con Mare’s Nest, Rivers firma un’opera che riflette sull’infanzia come condizione esistenziale: non un’età di spensieratezza, ma di responsabilità primordiale, in cui i più piccoli custodiscono il peso della memoria e del mito. L’intreccio di archetipi antichi e distopia contemporanea suggerisce che, di fronte alla fine, l’umanità torna sempre alle storie fondanti. Non a caso, il titolo stesso indica qualcosa di intricato, confuso, forse irrisolvibile: un mistero che resta aperto. Presentato a Locarno, il film ha diviso la critica tra chi ne ha lodato la potenza visiva e chi ne ha trovato eccessiva l’ermeticità. Ma per chi accetta di lasciarsi condurre nel suo ritmo lento, Mare’s Nest è un’esperienza sensoriale e meditativa che resiste a ogni definizione.
