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Approfondimento

Carmelo Bene: dissacratore del teatro e custode della scena antica

Contro il cinema, contro il teatro, contro tutto e tutti: un omaggio al personaggio controverso che fu Carmelo Bene, faro culturale sia per la scena teatrale, che per quella cinematografica internazionale.

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Carmelo Bene, figura iconica e geniale del teatro e del cinema italiano, ha lasciato un’impronta indelebile attraverso la sua opera di decostruzione dell’arte. Oggi, in occasione del suo compleanno, celebriamo un artista che ha saputo superare i confini della rappresentazione tradizionale, spingendo le arti visive verso un’esperienza radicale di sovversione.

Vita, carriera e opere dell’attore

Carmelo Bene, nasce il 1º settembre 1937 a Campi Salentina, in provincia di Lecce, e muore il 16 marzo 2002 a Roma. È stato un artista italiano attivo tanto in teatro, quanto al cinema e in televisione.

Dotato di un grande talento per la recitazione, manifestò fin dai primi anni della sua gioventù una personalità fuori dagli schemi. Esordì a teatro nel 1959 a Roma nel Caligola di Camus.

Al cinema, invece, la sua prima celebre apparizione la ricordiamo nellEdipo Re di Pier Paolo Pasolini. Dal 1968 in poi esordisce non solo come attore, bensì come regista cinematografico.

Fra i suoi film più importanti, ricordiamo Nostra Signora dei Turchi (1968), Capricci (1969); in cui esplora i temi della follia e del potere, Il Don Giovanni (1970), Salomè (1972); una versione molto personale della storia biblica, e Un Amleto di Meno (1973), ovvero una rivisitazione in chiave grottesca del dramma di Shakespeare.

Nonostante la sua parentesi cinematografica come regista si sia fermata a solo cinque pellicole, queste opere sono considerate capolavori del cinema sperimentale, caratterizzate da un linguaggio visivo molto particolare. Oltre al teatro e al cinema, Carmelo Bene ha avuto un grande impatto culturale anche nella letteratura, reinterpretando in modo radicale i classici e creando opere originali attraverso l’ esplorazione dei limiti del linguaggio.

Il cinema e teatro secondo CB: un cinema della dépense

Carmelo Bene concepiva il cinema come una pratica della dépense, un concetto che trova le sue radici nelle teorie del filosofo francese Georges Bataille, per cui l’arte diviene un atto di consumo improduttivo, di spreco creativo.

Bene stesso descrive questa concezione nel suo saggio, Sono Apparso alla Madonna, definendo i suoi cinque film attraverso questa visione:

ll ciclo della dépense. Immane spreco di energia a dar fondo all’avventura di ben cinque film consecutivi, diretti, prodotti, ‘scemografati’, decorati, vestiti […]. Cinque film d’autore, autore in particolare del proprio disfacimento.

Questo concetto viene approfondito dalla montatrice e scrittrice Paola Boioli nel testo Carmelo Bene. Il cinema della dépense, dove analizza come il cinema dell’attore si configuri come un atto di distruzione dell’opera stessa. Per Carmelo Bene, l’arte cinematografica non deve costruire significato, ma dissolverlo, sprecare l’energia creativa in un gesto di pura dissipazione, opponendosi a ogni logica utilitaristica e narrativa. Il suo cinema è un esempio radicale di come l’artista rifiuti l’idea di creare un’opera stabile e definitiva, preferendo invece abbracciare l’effimero, il transitorio, il frammentario. Come osserva il filosofo Gilles Deleuze, nel saggio Sovrapposizioni: 

il cinema di Carmelo è una forma di critica radicale che non si limita a rappresentare, ma che sovverte la rappresentazione stessa, trasformando l’opera in un’esperienza di perdita e disfacimento.

CB e la Macchina attoriale: ‘Vivacchiare con ciò che è detto Arte’

Nella visione di Carmelo Bene, l’attore non è un creatore tradizionale, ma un medium attraverso il quale la parola viene svuotata di senso. Diviene uno strumento attraverso il quale si manifesta la phoné, la voce pura che trascende il significato e si oppone alla logica della rappresentazione.

Secondo l’attore, la parola non è veicolo di senso, ma un atto di critica del senso stesso, un mezzo per smontare il linguaggio e rivelarne la sua vacuità. L’utilizzo peculiare della voce, trasforma l’attore in una macchina: la macchina attoriale, così nominata da Carmelo Bene stesso, è il corpo dell’attore sulla scena, che diviene uno strumento musicale.

Sempre nel saggio sopra citato, Sovrapposizioni, Gilles Deleuze descrive come Carmelo Bene, amputando gli elementi di potere della rappresentazione teatrale, e cinematografica, trasforma la materia stessa delle arti visive in cui si cimenta. Il filosofo afferma:

il potere proprio al teatro è inscindibile da una rappresentazione critica. Bene invece ha un altro concetto della critica. Quando sceglie di amputare gli elementi del potere, egli cambia non soltanto la materia teatrale, ma anche la forma del teatro, che cessa d’essere rappresentazione, mentre l’attore cessa d’essere attore.

Questa sottrazione non è solo una critica, ma una ridefinizione radicale del teatro e del cinema come luogo di pura presenza, dove l’arte si manifesta attraverso un processo di disfacimento. In questo modo, l’attore diventa un elemento critico, un veicolo attraverso il quale si esprime una nuova forma di teatralità, più essenziale e radicale.

Disdire l’arte come consolazione e disfare l’arte come rappresentazione’, ovvero Nostra Signora dei Turchi

 

Nostra Signora dei Turchi, il primo film di Carmelo Bene, rappresenta l’incarnazione della sua idea di cinema come ennesimo mezzo artistico, attraverso cui poter sperimentare nuove forme di rappresentazione.

Il film, presentato nel 1968, non segue le logiche convenzionali della narrazione ma si articola come una successione di immagini frammentate e sconnesse, rappresentando un ciclo decadente. Questo film segna l’inizio di un percorso cinematografico in cui l’autore è l’artefice di un universo disgregato, dove la coerenza narrativa è volutamente negata in favore di una visione frammentaria  del mondo.

Paola Boioli, nel suo testo, descrive come la pellicola si apra attraverso le immagini sfocate di Villa Sticchi, un palazzo moresco in rovina, che funge da metafora per la degradazione causata dall’assedio turco a Otranto. La scrittrice, descrivendo il primo lavoro di Carmelo Bene in quanto regista cinematografico, afferma:

La cinepresa di Bene indugia su dettagli morbosi e macabri, come teschi e stanze in fiamme, stabilendo un parallelo tra la decadenza dell’edificio e il corpo martoriato dell’attore.

La narrazione frammentaria e l’accostamento di scene apparentemente scollegate tra loro riflettono la visione che aveva Carmelo Bene di un cinema che non costruisce senso.

Questo approccio trova un’eco nel concetto coniato dal drammaturgo e attore francese Antonin Artaud, nel suo manifesto sul Teatro della Crudeltà, dove il gesto teatrale diventa un atto di violenza e trasgressione, un sacrificio che porta a una purificazione dell’animo umano.

Nel film, il protagonista è continuamente messo in scena in situazioni di sofferenza, fuga e degrado, creando un costante parallelismo tra la decadenza del palazzo moresco e il corpo martoriato del personaggio interpretato dall’attore.

Questo gioco di rispecchiamenti e frammentazioni sottolinea l’idea che il cinema, non sia un mezzo per rappresentare la realtà, ma per svelarne la decomposizione, la sua intrinseca fragilità. Riprendendo ciò che che viene affermato da Gilles Deleuze:

Bene non rappresenta, non fa vedere, ma piuttosto toglie la vista, negando il potere della visione.

Carmelo Bene, attraverso la sua opera teatrale e cinematografica, ha ridefinito il concetto stesso di arte, trasformandola in un atto di pura destrutturazione.

Il suo cinema è un manifesto di resistenza contro ogni forma di rappresentazione convenzionale, un gesto di spreco creativo che sfida la narrazione tradizionale. L’attore italiano ha saputo portare l’arte a un livello di profondità mai raggiunto prima, trasformando la scena in un luogo in cui convivono sia la presenza che la distruzione.

Il critico e giornalista Franco Quadri,  nell’omaggiare la sua carriera quando morì il 16 marzo del 2002, si espresse attraverso le seguenti parole:

Carmelo Bene era capace di far convivere, nella stessa sera, il realismo con il lampo del delirio.

Nel giorno del suo compleanno, ricordiamo un maestro che ha saputo disfare le nostre certezze, spingendo l’arte verso una dimensione sacra e trasgressiva, dove la libertà creativa si manifesta attraverso l’atto di dissacrare e custodire al tempo stesso le radici profonde della scena antica.

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