Il nuovo film di Icìar Bollaìn con Bianca Portilloe Luis Tosar. Distribuito da Movie Inspired, nelle sale in Italia dal 13 luglio.
Il 29 luglio del 2000, Juan Maria Jauregui, ex-militante dell’ETA, politico di professione nel Partito Comunista Spagnolo e governatore civile, venne ucciso con due colpi di pistola alla nuca in un bar di Tolosa.
Impegnato in casi contro il terrorismo, ma anche contro l’abuso di potere dei precedenti responsabili della lotta contro di esso, neanche l’autoesilio temporaneo in Cile bastò a salvargli la vita. I suoi vecchi compagni di militanza indipendentista non potevano accettare compromessi con chi non aderiva totalmente alla loro causa, alle loro condizioni.
Una donna chiamata Maixabel: Un caso politico e umano
La trama di Maixabel inizia da qui: da quel fatidico giorno in cui le vite della figlia e della moglie di Jauregui vennero stravolte per sempre. Sarà proprio quest’ultima, Maixabel Lasa, a prendere dal marito la staffetta della lotta al terrorismo e portarla avanti fino al 2011, anno di cessazione della lotta armata da parte dell’ETA.
Icíar Bollaín, regista vincitrice di sette Premi Goya per Ti do i miei occhi (2003), porta ancora una volta sul grande schermo una storia di donne che devono sopravvivere al mondo di violenza che le circonda. La risposta giusta però non è quella di altra violenza; bensì, l’empatia e la capacità di perdonare.
Maixabel non trascura il contesto storico-politico della storia che racconta, ma il centro del racconto non è il conflitto basco. Bollaìn preferisce concentrarsi sul lato umano dei protagonisti di questo specifico evento, focalizzandosi su aspetti più intimisti e personali.
Una donna chiamata Maixabel: La forza del perdono
La trama gira intorno alle conseguenze psicologiche degli eventi del prologo. La maggior parte del film è ad anni di distanza dall’omicidio: i responsabili sono già in carcere, i venti di guerra si affievoliscono.
I protagonisti di quel fatidico giorno hanno avuto anni per riflettere su cosa è stato fatto, rinchiusi nelle loro celle fisiche o mentali. Così accade che un foglio con una richiesta di perdono trapela tra le sbarre del carcere. Accade quello che per anni pareva difficile, se non impossibile.
Maixabel incontra Luis e Ibon, gli assassini di suo marito, in due scene che ricordano molto quella celebre, lunga sequenza di Hunger (2008) di Steve Mcqueen. La vedova può finalmente dare un volto, un’identità e delle ragioni alla morte di uso marito.
I partecipanti rinascono grazie al perdono, la vita va avanti, i nemici non esistono più. Alla commemorazione della morte di Jauregui, Maxibel si presenta con Ibon, e tutti devono accettare la sua decisione.

La regia
La regia del film è asciutta, chiara, curata. Non ci sono trovate spettacolari o artistiche; alcuni la potrebbero definire “televisiva”. Ma va dritta al punto, concisa ed efficace, senza finire però nella referenzialità.
Non ci sono dettagli da nascondere al pubblico: il racconto si ripropone di mostrare allo spettatore tutti i lati e i risvolti della vicenda.
Maixabel è un film che vuole essere semplice e diretto. Permette anche a chi non conosce molto del conflitto indipendentista basco, di sentirsi partecipe degli eventi di quell’epoca.
Giunti al finale, pare di essere anche noi alla veglia funebre, conoscenti, nemici, amici o parenti di Maixabel, Juan e Ibon. Stretti nel ricordo doloroso del passato, ma con uno spiraglio di speranza aperto verso il futuro.