Con The Italian Banker Alessandro Rossetto continua a esplorare il nord est italiano raccontando una società che flirta con la morte. Distribuito nelle sale da Parthénos a partire dal 7 ottobre, di The Italian Banker parliamo con il regista del film.
The Italian Banker di Alessandro Rossetto
Terzo film di finzione di Alessandro Rossetto, The Italian Banker rappresenta un tuo ulteriore passo in avanti nella cinematografia, ponendosi in continuità con quanto fatto prima, ma anche presentando elementi di novità. Per parlare del film partirei dalla prima sequenza che mi sembra emblematica del senso della storia. Mettendo in scena quello che poi si rivela un tradimento coniugale anticipi uno dei grandi temi del film: The Italian Banker indaga sui rapporti umani e su un tradimento di matrice etica.
Il tradimento era fra i temi presenti nella pièce teatrale Una banca popolare da cui è tratto il film e che diressi. A teatro il finale era però diverso: il femminicidio del film era sostituito dall’umiliazione inferta al presidente della banca dal marito della donna, altro modo per portare alle estreme conseguenze il tema del tradimento all’interno dell’élite borghese (naturalmente dopo aver fatto strage di chi è al di fuori della cerchia, in questo caso i piccoli risparmiatori). Un tradimento non solo coniugale/famigliare, il film racconta soprattutto quello del banchiere nei confronti dei piccoli risparmiatori, ma anche lui si sente tradito: pensa di non essere stato protetto dai più ricchi al momento del crollo della banca. Tradimento e inganno sono essenziali nella storia, soprattutto dal punto di vista antropologico: sesso e denaro come simboli.
Effetto Domino (qui per la conversazione su questo film) era un film sulla vita e sulla morte. In The Italian Banker c’è posto solo per la seconda. Volevo chiederti se ti sembra un’affermazione corretta?
Lo è. Peraltro Romolo Bugaro, autore del testo teatrale, lavorava su fatto che il presidente, nel suo monologo, era come se già parlasse dal regno dei morti, con l’autodifesa fiume che tiene il punto con argomenti assolutamente indifendibili. Con la regia ho sposato questi due aspetti: gli inviati alla festa notturna – che è il tempo d’azione del film – lo ascoltano muti e sospesi, ho coreografato i movimenti degli ascoltatori in maniera che tutto risultasse fuori dal tempo e dallo spazio. Spesso sono assurdamente schierati, a volte troppo vicini al presidente, altre troppo lontani. Tutto slitta, siamo già nel regno dei morti, poi la realtà ritorna in campo con la violenza.
Parlando del Regno dei morti riflettevo anche sul luogo del delitto. A ospitare la festa notturna non è una semplice dimora, ma una villa monumentale. Quindi, più che un’abitazione, l’edificio riporta alla mente un contesto museale, dunque un contenitore di cose passate e, appunto, morte.
Si tratta di una classica villa palladiana. In Veneto ce ne sono molte e, nel tempo, da dimore per le vacanze estive sono diventate monumenti. Sono state prese a modello dagli architetti di Capitol Hill, a ben vedere alcune ricordano anche il deposito di denaro di Paperon de’ Paperoni (Scrooge McDuck). E in effetti la nostra ricorda un Pantheon, tanto da far pensare che contenga tumuli di notabili del passato. Dunque l’aspetto funereo esiste, non è solo immaginato.
La scelta del bianco e nero
Peraltro qui scegli un bianco e nero carico di valenze. Il suo dualismo rimanda al continuo cambio di posizione spaziale, ma anche psicologica dei personaggi, sempre pronti a passare dallo schieramento opposto, a seconda della convenienza. Il bianco e nero, però, ricorda anche un film come Signore e signori di Pietro Germi. Anche lì c’era l’analisi antropologica di una società che peraltro appartiene allo stesso territorio di quella protagonista di The Italian Banker.
Un film a cui ho subito pensato quando decisi di trarre un film dal testo teatrale di Bugaro è L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais, che è in bianco e nero. I temi del film Resnais sono altri rispetto a The italian banker, ma luogo e tempo filmico sono simili. Nella prima parte di The italian banker la notte è rapida; molto accade in un tempo che il film “stringe” a dismisura, nella seconda parte la notte si sfalda, i momenti si rincorrono senza coerenza, chi parla e chi ascolta entra in un limbo. La scelta del bianco e nero è favorita anche dalla notte, dal bianco dell’enorme villa, in netto contrasto con gli eleganti abiti scuri degli invitati alla festa.
Si diceva di come The Italian Banker sia attraversato dallo stesso filo rosso presente nei tuoi film precedenti, ma anche dello scarto che ne fa un’opera differente. Penso per esempio all’indagine sullo spazio. Se Effetto Domino si confrontava con mondi contingenti, in questo caso l’azione si concentra solo su uno e lo fa esplorando un territorio non geografico – come avveniva in Piccola Patria – ma antropologico. Laddove c’era uno spostamento fisico e materiale, qui si rimane sul posto analizzando diversi livelli di coscienza.
Ho accettato di dirigere la pièce teatrale per fare una nuova esperienza di regia, e anche quando ho deciso di farne un film. La sfida era lavorare su un solo spazio e su un tempo dato. Come dici bene, The Italian Banker non è un film sul “territorio”, ma su una comunità e la sua coscienza, quindi sulle relazioni e la responsabilità di appartenenza ad essa.
I personaggi e il movimento di The Italian Banker di Alessandro Rossetto
L’insieme di persone chiamate a fare da sfondo alla vicenda rappresentano un corpo collettivo altrettanto protagonista del film. Siamo di fronte al campione di un intero tessuto sociale sul quale ti applichi con occhio antropologico.
Questo è importante, perché i danni causati dal presidente insieme ai suoi clientes, che non si sono voluti accorgere di quanto stava facendo l’istituzione bancaria, pesano sulla comunità intera. Siamo di fronte a un’élite a cui non importa nulla delle persone che ha intorno. Un’oligarchia che, guidata da un’idea dell’etica del lavoro e del profitto malata, calpesta i più deboli della comunità. In the Italian Banker il territorio è sostituito dalla comunità intesa come corpo sociale presente o pesantemente assente. In questo quadro, a emergere è il terribile paternalismo dei vertici bancari. Quella del presidente è una benevolenza violenta, auto assolutoria, che si lamenta di non essere stato sostenuto e tratta i suoi pari età come bambini che si sono comportati male. Lui mente spudoratamente su tutta la linea, seguendo un copione abbastanza caratteristico dei vertici dirigenziali italiani.
Nell’analisi di questo corpo sociale ho trovato efficace il fatto di mostrare i personaggi attraverso il movimento. Il fatto che continuino a ballare anche mentre parlano con i loro interlocutori è un modo per dirci quanto sia forte l’ego del singolo rispetto al resto della collettività.
Il campione dell’ego è il presidente Gianfranco Carrer, interpretato da Fabio Sartor. Parla dei guai che ha passato, quando invece è lui ad averne provocati di enormi a migliaia e migliaia di persone, gente che aveva poco e ha perso tutto. I crack bancari hanno conseguenze profonde per i risparmiatori più deboli: malattie, famiglie distrutte, piccole attività economiche fallite. Tutto questo perché un gruppetto di banditi che non sapeva “fare banca” ha deciso di assecondare il proprio ego. E i clientes ballano, sono doppi, allo stesso tempo colpevoli e inconsapevoli. La parabola del personaggio di Alessandro Corsato, l’omicida interpretato da Diego Ribon, è esemplare: è in continuo movimento e, se è fermo, commenta la stasi o il movimento altrui. È assolutamente immune dalla coscienza di essere parte di una comunità più ampia e, dici bene, il suo continuo movimento lo testimonia.
Riflessione sul finale
Complice la suggestione prodotta dalla classicità delle architetture e dal bianco e nero della fotografia, il finale mi è sembrato riesumare i fantasmi del fascismo per l’accusa del banchiere sul tradimento di chi prima lo osannava. La scena ricorda quanto avvenuto con Mussolini con il popolo italiano. Più in generale mi è sembrato che tu intendessi evocare fantasmi tipici della nostra contemporaneità.
Il fascismo è innervato di paternalismo e corruzione e la nostra opaca storia repubblicana purtroppo conferma che non ci siamo abbastanza ripuliti da esso. C’è molto di questo nel comportamento del vertice rappresentato dal presidente padre-padrone del film, qualcosa di provinciale e strapaesano ma cinico e irresponsabile. La parte di film da te menzionata racconta della permanenza della cultura fascista, quotidiana e culturale, che per molti aspetti mantiene ancora infantile la società italiana. Noi italiani non abbiamo fatto i conti con il nostro passato. Non abbastanza.
A livello formale instauri una forte dialettica tra movimento e staticità. Se nella prima parte tutti i personaggi sono votati al movimento così non succede dopo, quando gli stessi rimangono del tutto immobili. In più sperimenti una forma in cui il teatro si mescola a un dispositivo fortemente cinematografico.
Su questo si è lavorato molto, consapevoli delle difficoltà nel trattare due atti così diversi l’uno dall’altro. Per me filmare è sperimentare, il confronto con una materia di matrice teatrale mi ha spinto a vigilare in maniera nuova sul dispositivo cinematografico. Sin dal passaggio dal testo teatrale alla sceneggiatura ho scompaginato le carte, lo scheletro è rimasto il medesimo, ma abbiamo aggiunto nuovi passaggi alla storia e cambiato inizio e finale. E nell’affrontare la commistione teatro-cinema non ci si è fermati alla scrittura. La messa in scena cinematografica guarda in maniera diversa a spazio, tempo e corpi. Tutto si svolge in una notte ideale, era necessario “sfondare” tempo e spazio. Contrariamente a quanto avveniva a teatro, nel film il tempo doveva avanzare per piccole ellissi e gli spazi riempirsi e svuotarsi continuamente. Immobilità e movimento s’alternano, i corpi stessi diventano altro, una sorta di manichini. Alla fine la sensazione che si produce è spiazzante, alludendo a tempo e spazio psichici.
Allo spaesamento concorrono le inquadrature con i protagonisti che, faccia alla macchina da presa, si producono in lunghi assoli.
La formula viene dallo spettacolo teatrale ed è la testimonianza più chiara del mescolarsi dei linguaggi. Nel film la formula sospende a tratti il fluire del tempo, quasi come se, attraverso gli sguardi, portasse in primo piano memoria e ricordo. E questi stop del tempo automaticamente intervengono sullo spazio. Restiamo nella villa, ma vediamo sempre cose diverse; la folla degli invitati scompare e riappare come per magia; le architetture s’impongono; arriva un silenzio irreale. E comunque, anche quando abbiamo personaggi che guardano in macchina, assistiamo a performance cinematografiche.
La fotografia del film
Parliamo delle scelte fotografiche fatte assieme a Matteo Calore. Del bianco e nero levigato che segnala l’artificialità del corpo sociale, ma la cui patina sembra volerne nascondere le malefatte.
Il film deve molto al lavoro di Matteo perché abbiamo girato con mezzi ridotti e in tempi stretti. Siamo stati obbligati a un piano di lavoro notturno complesso, non omogeneo e che doveva “spremere” la location a disposizione. La divisione in scene per la lavorazione non era quella consueta, Matteo mi ha seguito in un procedere del quale, molto spesso, soltanto io conoscevo i passaggi, i dettagli e le concatenazioni.
Il bianco e nero non nasconde le malefatte; direi piuttosto che non le giudica, ma le mostra. Le evoca inesorabilmente, non fa sconti. Ed è adatto al tipo di recitazione che ho scelto, con gli attori ci siamo posizionati su una linea neo espressionista, sperimentando un tono non propriamente cinematografico, ma che ben si collega al tempo e allo spazio in cui si svolge la vicenda.
Sandra Toffolatti in The Italian Banker secondo Alessandro Rossetto
Questo lavoro sul linguaggio legato alle interpretazioni degli attori è una costante del tuo cinema. Come dicevo la scorsa volta che ci siamo sentiti, le caratteristiche delle interpretazioni presenti nei tuoi film sono assolutamente originali. Anche in The Italian Banker tornano attori con cui hai già lavorato, dunque mi vorrei soffermare su chi è con te per la prima volta e parlare della performance di Sandra Toffolatti.
Sandra Toffolatti interpreta Deda Corsato, moglie di Alessandro. È l’unico personaggio femminile, il corpo dello scandalo da ogni punto di vista. Sandra è stata magnifica, molto intelligente e duttile, pronta a offrire ogni tipo di sfumatura, tanto che, tra teatro e film, è stato possibile cambiare il suo personaggio, darle caratteristiche profondamente diverse: sul palcoscenico Deda è spumeggiate e leggera, nel film è ferita, a volte assente. Infatti sul suo personaggio ruotano i cambiamenti della storia apportati nel passaggio tra testo teatrale e sceneggiatura.
Brava anche nel far emergere un eros e un thanatos che pervadono tutto il film e che, in qualche modo, irretiscono la compagine maschile. Il suo è un vero corpo contundente.
È davvero un corpo contundente. Abbiamo lavorato sulla sensualità matura del personaggio, sulla dolenza di una mancata maternità, sull’implosione che provoca lo scendere a compromessi fino all’irrefrenabile scoppio.
Un lavoro fatto anche sui dettagli quello fatto da te Alessandro Rossetto nel tuo The Italian Banker: penso alla mise dei capelli che è molto particolare e sottolinea il carattere dominante del personaggio.
Il look del personaggio, come spesso accade, è frutto allo stesso tempo di lunga elaborazione e di casualità. Per l’acconciatura siamo passati da varie ipotesi, mentre l’abito l’ho scelto su una bozza iniziale. Ancora ne mancavano alcune parti, ma proprio questa elegante imperfezione mi ha convinto e la bozza è diventa immediatamente il definitivo.
Il film è distribuito da Parthénos.