Alessandro Capitani, Michele Riondino e Hadas Yaron, rispettivamente regista e interpreti de I nostri fantasmi, sono i protagonisti della nostra intervista.
Presentata alle Giornate degli Autori 2021, durante la 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, la pellicola è un’opera seconda di grande spessore e sensibilità.
I nostri fantasmi | Intervista a Michele Riondino e Hadas Yaron
Cosa vi ha colpito della sceneggiatura? E come avete lavorato con il “gioco teatrale”?
Michele Riondino: La cosa interessante della sceneggiatura, che mi ha subito colpito, è come utilizzava la figura dei fantasmi per poi aprirsi a un’altra argomentazione. Mi sembrava una metafora interessante, sia in sceneggiatura che anche nella messa in scena.
Il mio personaggio e quello del piccolo Orlando sono un padre e un figlio che vivono una condizione di povertà inaspettata. Si fingono fantasmi, sono invisibili, ma si mostrano per occupare il territorio che è la propria casa. Poi, però, a invadere questo spazio è un’altra solitudine: questo fa sì che il film passi da una dimensione onirica a una più sociale, drammatica. E I nostri fantasmi usa queste due solitudini per creare una sorta di gioco di specchi.
Il tema dei padri soli sta emergendo e forse è un argomento che va raccontato…
MR: È una tematica che va affrontata tentando di evitare il pietismo. Si tratta, in realtà, di due povertà, due solitudini molto dignitose. Entrambe cercano di restituire la fallibilità dell’essere genitore e dimostrare che quest’ultimo ama i propri figli. Ma non è detto che abbia tutti gli strumenti per mostrarlo e farlo capire. Ci prova.
Come vi siete preparati al personaggio e qual è stato l’ostacolo più grande?
HY: Abbiamo iniziato a lavorare su Zoom e la prima lettura è stata fatta così.
MR: L’ostacolo maggiore è il Covid, perché ormai c’è una distanza che passa attraverso la fibra ottica. Non c’è più possibilità di un rapporto vero. Quando ci siamo incontrati la prima volta è stato come se ci conoscessimo da tempo, ma in realtà era la prima volta. Questo fa sì che ci sia sempre un periodo fisiologico.
I nostri fantasmi | Intervista al regista Alessandro Capitani
Come nasce il progetto?
Alessandro Capitani: Ho lavorato per tre anni con Domenico Iannacone, a un programma di Rai Tre, I Dieci Comandamenti.
Per un’edizione andammo a Milano per raccontare un ufficiale giudiziario che andava dentro le case e comunicava lo sfratto. Una volta ci siamo trovati davanti a una situazione piuttosto drammatica, e quando sono tornato a casa ho cominciato a fantasticare.
L’esigenza era raccontare anche una parte più emotiva e di spessore, la volontà di avere una seconda occasione. Il film ti dice di guardare avanti, con positività, perché a tutti capitano i drammi e le difficoltà ma da lì si può ripartire.
Il finale è molto positivo…
AC: Io sono un fan degli happy end. Anche nei miei cortometraggi. Ognuno ha la sua idea. Il film è un’esperienza, nel racconto, anche quello drammatico, ho bisogno di far uscire il pubblico con un sorriso. Una luce di speranza. È il mio modo di vedere il cinema.
Divertente anche la figura di Haber. Come è stato costruito il personaggio?
AC: Abbiamo cercato di creare uno specchio delle famiglie tipo. Haber racconta l’incomunicabilità. Molte volte succede che i genitori non parlino più con i figli. Questo è un film dove tutti imparano dagli altri. Lui, osservando il personaggio di Michele, capisce come comportarsi. Inoltre qui sono i figli spesso a suggerire il modo.
Hai un modo particolare di mettere in scena le difficoltà dei bambini.
AC: Qui c’è il tema della violenza domestica, ma c’è anche quello della casa. Daniele Ciprì parlava di un gruppo di padri che vivono dentro le roulotte a Ostia, tra mille difficoltà, e voleva farne un documentario. Questo film ha anche un’urgenza di raccontare un momento particolare che stiamo vivendo. Ci dà la possibilità di capire che c’è una strada da percorrere, positiva.
I nostri fantasmi chi sono?
AC: Sono quelli dell’anima, li abbiamo tutti, ma è giusto liberarsene. Ho citato De André, di cui io sono fan, che dice «è attraverso gli altri che uno capisce meglio se stesso». Questo film fa proprio questo, nel rispecchiare la propria storia, la propria vicenda, e confrontarsi. Loro si liberano dei fantasmi e, in quel momento, si uniscono.
Il rapporto con i bambini e la riflessione sul Covid
Come avete vissuto il rapporto con i bambini?
MR: Io non vedevo l’ora di fare un padre, per cercare anche nella mia esperienza. Ma in questo caso ho tentato di distanziarmi da alcune regole che ho io nell’essere padre (in parte perché ho a che fare con due femminucce). E poi era importante cercare di lavorare sulla difficoltà di essere genitore.
Con la prima figlia ho avuto a che fare con l’incapacità, o con il credersi tale, ma sapersi genitore non è naturale, esserlo è istintivo. Però nessuno sa di esserlo prima che questo avvenga, quindi mi interessava lavorare su questo aspetto qui, sulla fallibilità, mantenendo il livello d’amore molto alto. Mi piaceva l’idea di mostrare uno sguardo diverso ogni volta che il bambino non c’è, indossare una maschera quando sto con lui.
HY: Quando hai un bambino, hai un piccolo te, hai una responsabilità. Quando sei debole devi essere forte per l’altro.
La scelta del villaggio Leumann come è arrivata?
AC: Siamo andati volontariamente a cercare un posto che fosse magico. Torino fa parte, con Lione e Vienna, del triangolo esoterico di magia. Ho iniziato a cercare tutti posti strani ed è uscito questo villaggio Leumann. Tant’è che i costumi sono degli operai del 1800. Siamo andati a cercare le foto, ci siamo ispirati a quei costumi come se nel sottotetto avessero trovato reperti abbandonati.
Una riflessione sul Covid e sulla solitudine.
AC: Il Covid ci ha tolto tutta una serie di rapporti, ma noi abbiamo creato un film in un periodo pre Covid. Ma se posso dire una cosa, a noi ha aiutato, perché, a livello produttivo, la zona rossa ci ha dato qualche chance in più. Il Covid lo abbiamo vissuto con tamponi due volte a settimana.
MR: Nel film tutti gli elementi divisori vengono abbattuti, infranti. Vengono concesse delle aperture. Questo sta anche nell’essere quei fantasmi, nella necessità, nell’invisibilità, di cercare la propria presenza. Nella realtà il Covid ha condizionato sicuramente la crescita.
E a livello produttivo come è andata?
AC: Posso dire che lo sforzo produttivo della Fenix è stato ottimo. Io sono riuscito a creare una troupe, insieme alla produzione, di alte figure professionali. Hanno messo dietro una squadra supercollaudata. È il primo film che faccio con la Fenix ed è stato bello costruirlo insieme. Sapevamo di avere un’ottima storia e poteva servire a entrambi.
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