Si è tenuto presso l’Hollywood Celebrities Lounge, l’incontro con Francesco Lettieri, regista di Lovely Boy. La pellicola, con protagonisti Andrea Carpenzano e Ludovica Martino, è stata presentata fuori concorso alle Giornate degli Autori, durante Venezia 78. Per l’occasione, sono intervenuti anche Daniele Del Plavignano (che interpreta Daniele) e lo sceneggiatore Peppe Fiore.
Come nasce il progetto?
Francesco Lettieri: Ho scritto la storia senza avere un pubblico di riferimento, e spero sia una emozionante per tutti. Se arrivasse anche ai giovani sarebbe un grande risultato.
La mia volontà è fare film popolari. – Francesco Lettieri
Peppe Fiore: La sceneggiatura nasce da una fratellanza di trent’anni, da una totale simbiosi. Ci siamo formati insieme anche artisticamente. Lo abbiamo scritto durante il secondo mese di lockdown: è un film nato nella cameretta. Francesco aveva molto chiare da subito l’idea strutturale e quella concettuale. Da una parte la Roma caotica e dall’altra un luogo di pace, che inizialmente doveva essere in Abruzzo.
Quanto sono stati importanti i tatuaggi per caratterizzare il personaggio?
FL: Ci siamo resi conto che il rischio più grande era quello di fare un film che scimmiottasse, ma abbiamo scritto un immaginario prendendo dalla realtà. L’operazione successiva è stata quella di creare un mondo originale, fatto di costumi e canzoni originali.
E per quanto riguarda il discorso della dualità, il vuoto e la speranza?
FL: La speranza germoglia dall’umanità. Il film parla di cose molto semplici, un ragazzo che si perde e ritrova la normalità nel dialogo. La speranza è provare a sopravvivere. Lovely Boy è stato pensato come due film diversi, girati anche con ottiche diverse. Bolzano è l’antitesi di Roma.
PF: C’è anche l’idea di comunità, si può cercare di stare bene quando si sta con gli altri. Nic riesce a ritrovare se stesso, a diventare adulto, in questo modo.
Qual è il tuo rapporto con la città?
Andrea Carpenzano: Una delle esperienze più belle di questo progetto è stata la possibilità di lavorare in montagna. Ma io sono un animale da pianura, mi piace stare in città. Mi piace anche il brutto, il mozzicone per terra mi mette calma e Roma è un disastro. È anche questo il bello.
Come vi siete preparati al ruolo?
AC: Io sono andato a osservazione, ricordi vecchi e presenti, anche per quanto riguarda il discorso della musica. I movimenti, il modo di parlare, questo è stato un approccio importante per me.
Ludovica Martino: Io ho cercato di nascondermi completamente, anche a livello fisico, per far uscire il personaggio. Poi ha aiutato il fatto di conoscere Andrea (con cui ha diviso la scena ne Il campione, ndr.)
Come scegliete i vostri progetti?
AC: Cerco di leggere tanto e di farmi un pensiero, anche se è negativo è qualcosa che mi spinge. Inoltre sto cercando di variare nelle scelte dei progetti e dei personaggi.
Che rapporto avete con la trap?
AC: La ascoltavo anche prima, perché ascolto un po’ di tutto, da Paolo Conte a Sfera Ebbasta. Mi piace, mi ha interessato da subito, e poi fare un film sulla musica è difficile, proprio come lo è stato farne uno sul calcio. Ma io faccio il kamikaze.
LM: Anche sul set di Skam Italia l’ho ascoltata, ma prima non la conoscevo. La trovo molto divertente quando parla di tutto e di niente, e si prende poco sul serio. Quando vanno a spiegare la vita e diventano più seri, mi interessa meno, ma è una cosa mia.
C’è una scena a cui siete particolarmente legati?
LM: La scena che mi intenerisce di più è quella finale, mi sono molto commossa perché secondo me rappresenta tutta una generazione, quanto si è soli. Fabi è una ragazza che ci prova tanto, ma alla fine deve lasciar stare, nonostante l’amore. É un personaggio molto coraggioso.
Un’altra scena con cui sono in conflitto, perché è stata difficile girarla per me, è stata quella del Tevere. Dovevo mantenere una concentrazione altissima. Francesco è un regista che si fa capire, ma nonostante ciò ho avuto molte difficoltà. Era un addio vero.
AC: La scena della pera mi ha fatto venire un attacco di panico, per cui l’ho trovata molto bella.
Daniele Del Plavignano: Per me quella del furgone, perché è un trip di Daniele. L’ho sentita più autentica e mi è piaciuta molto.
FL: Vorrei aggiungere che Daniele ha lavorato dieci anni in una comunità come operatore e quella scena lì ce l’aveva raccontata, gli è capitata diverse volte. Tante scene che riguardano la comunità vengono dall’esperienza di Daniele.
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