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ShorTS International Film Festival Maremetraggio

Partiture di immagini allo ShorTS IFF: intervista a Massimiliano Nardulli

Un dialogo dedicato al ruolo del cortometraggio nel cinema contemporaneo.

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Dal 28 giugno al 5 luglio 2025, nella meravigliosa cornice della città di Trieste si terrà lo ShorTS International Film Festival. Massimiliano Nardulli, programmatore di diverse sezioni, ha raccontato alla redazione di Taxidrivers retroscena e speranze della manifestazione dedicata ai cortometraggi e, in questo contesto, l’idea di cinema che la anima.

Alle origini dello ShorTS International Film Festival

ShorTS International Film Festival predilige una forma cinematografica breve che, nonostante ciò, può consentire a questioni fondamentali di prendere forma. Qual è l’intento che ogni anno vi guida nell’organizzazione del Festival e nella scelta dei cortometraggi?

Innanzitutto, è doverosa una premessa. ShorTS International Film Festival è l’evoluzione naturale di uno storico festival italiano del cortometraggio, Maremetraggio. I festival italiani dedicati interamente a questa forma sono pochi (oggi penso al Festival internazionale del cortometraggio di Siena o all’Arcipelago Film Festival), anzi, più in generale sono scomparsi. Maremetraggio ha cambiato nome per adeguarsi, in un certo senso, alla modernità, tutto grazie al lavoro della nostra presidente Chiara Valenti Omero, una figura storica del cortometraggio, cosa che ci fa sentire una certa responsabilità. ShorTS è un festival che riesce in un panorama non tanto semplice come quello del cortometraggio, qualcosa che noi prediligiamo e ci teniamo a portare avanti. Personalmente ho lavorato per altri festival storici come l’Arcipelago Film Festival, appunto, quindi per me ha un senso ancora più importante il lavoro che stiamo facendo adesso con ShorTS, soprattutto per preservare qualcosa che in Italia, purtroppo, sembra scomparso.

Per quanto riguarda la domanda, da quando ha ripreso la direzione del Festival Maurizio di Rienzo, anche lui una personalità centrale nell’ambito del cortometraggio italiano, ci confrontiamo con i responsabili delle sezioni di competizione ma non abbiamo qualcosa che cerchiamo di specifico. Ogni anno miriamo a trovare quello che ci sembra abbia più senso nel panorama internazionale, magari cercando di premiare anche quei corti meno visti ma che hanno una certa ricerca di linguaggio. Non c’è, però, una ricerca specifica, tematica o formale, tentiamo solamente di dare visibilità a delle voci, indipendentemente dal fatto che siano o meno rimarcate a livello internazionale.

Il fatto che non ci sia una censura formale all’inizio ci permette di adattarci a quello che arriva, vediamo tutto ciò che ci viene proposto e spesso andiamo a cercare anche noi dei corti. Chiaramente, come tutti i festival, anche noi viviamo tantissimo altrove, chiediamo a distributori e produttori di mandarci dei film e così via. Alla fine, non c’è una sola linea specifica, ci interessa solo che i progetti siano interessanti per il nostro pubblico.

Nello specifico, la sezione Eco-ShorTS rimanda sin dal nome a un’attenzione rispetto alla condizione in cui il nostro pianeta versa a causa dell’intervento umano. C’è un messaggio che i cortometraggi di questa sezione devono veicolare?

Si, in questo caso è nata l’idea di far riflettere. Non è una sezione ecologista-militante ma è molto più larga di questo, vuole riflettere in modi variegati sul rapporto tra uomo e natura. Ci è sembrato più opportuno orientarla in questa maniera perché è molto semplice parlare solo a coloro che già sono sensibili al tema, mentre così risulta più interessante perché la sezione si apre anche a quelle persone che magari non hanno particolarmente a cuore questo tema ma possono venire a vedere il programma e riflettere più generalmente sul rapporto tra uomo e natura. Si tratta di una questione universale che è alla base della visione ecologista e a noi permette di affrontarla in maniera più delicata, più sottile filosoficamente ed eticamente, dandoci l’opportunità di raggiungere e toccare un pubblico anche più vasto e non di predicare solamente ai convertiti. Il nostro scopo è di toccare, anche con dei film più leggeri e ironici, il rapporto complesso, l’amore e l’odio (incosciente) tra uomo e natura.

Oltre i confini

A questo proposito, spesso i festival si barricano dietro un’aura di esclusività che porta un pubblico più generalista ad allontanarsi. Come fa ShorTS International Film Festival, invece, a dialogare con tutti i tipi di pubblico indistintamente e orizzontalmente?

È una buonissima domanda. Da quando ho iniziato a lavorare alla programmazione di cortometraggi (sono parecchi anni ormai) ho cercato di essere sempre più inclusivo possibile, chiaramente per tutti coloro che abbiano un minimo di curiosità e apertura mentale. Parlando di “prossimità” mi sembra che la cosa più importante sia di contribuire allo sviluppo di due cose in uno spettatore, la curiosità e lo spirito critico, ciò che secondo me manca di più nella nostra società. Questo è stato sempre l’obiettivo che in qualsiasi sezione, in qualsiasi programma e in qualsiasi festival in cui ho lavorato ho sempre cercato di avere molto chiaro in testa. Non mi sono mai piaciuti quei festival dove le scelte dei film rispecchiano solamente il gusto del programmatore, dove il pubblico si chiede cosa sta vedendo e si instaura così una “dittatura del programmatore”. Sono sempre stato a favore di festival con alla base lavori che sono comprensibili e accessibili agli spettatori, anche eventualmente grazie a una spiegazione supplementare che chiarisca il perché di un programma, magari invitando i registi per poter instaurare un dibattito. Questo dovrebbe essere sempre uno degli scopi e non solo nel caso del cinema militante: anche una commedia brillante può far pensare e lasciare qualcosa quando si esce dalla sala. Si va, quindi, dalla parte opposta di un cinema di consumo, lavori che vogliono occupare le tue ore senza poi lasciarti spazio per riflettere.

Perseguire questo scopo per noi è completamente naturale, cerchiamo di ottenere dei film che possano parlare allo spettatore, non sono mai fini a loro stessi o degli esercizi d’arte. Questa idea ha sempre accompagnato in una certa maniera la costruzione del programma che deve essere pensato anche in relazione alla città. Noi abbiamo queste fantastiche sessioni open air a Trieste in cui ci sono tutti i tipi di pubblico: ognuno deve capire ciò che vede, magari non a tutti piacerà ogni cortometraggio ma dobbiamo comunque lasciare loro qualcosa, anche solo per ringraziarli del fatto di essere venuti. Questo mi sembra quasi un dovere per un programmatore.

Leggo nelle tue parole una volontà di attraversamento i confini, per questo vorrei chiederti del Focus Libano…

Si tratta di un elemento molto importante per noi. Qualche tempo fa abbiamo deciso, con il nostro direttore Maurizio di Rienzo, di darci uno scopo: cinque anni per esplorare una zona geografica, cominciando da Gerusalemme per finire a Trieste, non necessariamente nell’ordine. Siamo passati tra la Grecia e la Turchia per poi tornare un po’ indietro, appunto verso il Libano, perché ci è sembrato di averlo toccato troppo velocemente quando, in realtà, è un Paese estremamente interessante a livello cinematografo. Lì il cortometraggio ha una caratteristica presente anche in altri paesi ma forse in Libano ancora di più: quasi non esiste un apparato di produzione cinematografica per il cortometraggio. Spesso i registi giovani partono da un corto di scuola e il passo successivo va già molto più in alto quindi non è facile produrre un cortometraggio, ci sono poche produzioni che lavorano a questo tipo di prodotti dopo la fase scolastica. Eppure, in maniera sorprendente, ci sono dei film che fanno il giro dei festival, vincono premi e quindi, andando a lavorare più profondamente su questo fenomeno, abbiamo capito che succede qualcosa che ci piace tantissimo perché simile al nostro Neorealismo: ragazzi e ragazze, una volta usciti dalla scuola, per continuare a fare film finiscono per lavorare molto insieme creando una sorta di solidarietà tra i giovani registi che permette di realizzare, anche con pochi mezzi a volte, dei cortometraggi notevoli. Questo fattore ci ha interessato e ci è sembrato così importante da farci scegliere di fare qualche passo indietro e di tornare al Libano per parlare di questi registi che, in maniera sorprendente, hanno fatto parecchi cortometraggi notevoli negli ultimi anni in una terra antichissima, piena di cultura e di moltissime influenze anche europee. Perciò ci è sembrato doveroso rendere omaggio a questa cinematografia poco conosciuta e ancora poco vista, ma gli addetti ai lavori dei festival sanno che da lì emerge qualcosa di qualità ogni anno.

A proposito di attraversamento di confini, come si interseca l’identità della città di Trieste con il modo che avete di trattare il cinema allo ShorTS International Film Festival ?

La ricchezza culturale di Trieste è nota a tutti quanti. Il suo essere un crocevia così importante e così aperto ha influito sul Festival e ci permette anche di prenderci delle “libertà culturali” interessanti. Quello che ricerchiamo, come dicevo anche prima, è soprattutto la curiosità. Noi speriamo sempre che il pubblico che viene in sala o alle proiezioni open air sia curioso. Chiaramente, però, il pubblico si forma, non nasce curioso, ecco perché noi cerchiamo di dare degli spunti e di offrire la possibilità di conoscere di più, ad esempio parlando con i registi del perché di un film. Penso che tutto questo alimenti e aiuti la crescita della curiosità.

Sicuramente Trieste è un terreno fertile per questo scopo, in quanto centro culturale raccoglie ogni anno personalità da tutta l’Europa e non solo. Ad esempio, quando abbiamo fatto il focus Grecia la comunità greca si è impegnata molto e negli anni abbiamo visto una Trieste ricca culturalmente quasi quanto una grande capitale, quindi possiamo dire che Trieste per noi rappresenta una risorsa importante perché scopriamo ogni volta che, andando a esplorare un po’ più sotto, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.

L’importanza dello sviluppo

A proposito di curiosità, sei anche coordinatore di ShorTS Development & Pitching Training. In un mondo sempre più veloce e dove la soglia dell’attenzione si abbassa sempre più, uno strumento come quello del pitch risulta oggi essenziale. Quanto è importante per un festival, quindi, arricchirsi di una dimensione così concreta?

Allora, io ho un’esperienza quindicennale come programmatore di festival. Cosa fa di solito questa figura? Prende un prodotto finito e lo presenta a un pubblico. Allo stesso tempo, però, io ho anche esperienza in una tappa molto procedente, quella dello sviluppo. Io lavoro come sceneggiatore in Italia e all’estero, sono direttore artistico di un programma di sviluppo – in Francia – tra i più famosi in Europa, ma sono sempre stato interessato allo sviluppo delle sceneggiature, al raccontare storie. Questo mi ha portato ad avere una certa attenzione verso il prodotto finito ma mi sono detto che, prima di arrivare a questo, c’è un ulteriore e grande, grande lavoro. Si tratta di immaginare una storia, svilupparla, produrla, realizzarla, montarla, postprodurla e mandarla ai festival.

Quando sono arrivato a Trieste mi è sembrato interessante aggiungere al Festival una dimensione di developement, infatti, il workshop si chiama ShorTS Development & Pitching Training perché il pitch come strumento, nonostante sia interessante, secondo me non porta a capire veramente senza lo sviluppo. C’è una differenza tra raccontare una storia e fare un pitch. Normalmente quello che si intende per pitching è qualcosa di estremamente legato all’industria, fai un pitch per fare interessare dei produttori al tuo al tuo lavoro. Sicuramente è una realtà del lavoro che facciamo ma a me e altre persone interessa il fondo più che la sostanza, quindi siamo andati un po’ prima. Tu racconti una storia, vuoi vendere un progetto ma cosa dice veramente? Aggiungere la fase di sviluppo e lavorare su questi progetti ci permette di capire veramente anche le persone dietro di essi, quello che vogliono veramente dire e, in questo modo, li possiamo aiutare. Ancora prima di essere venduto, il progetto deve avere una sua forza, una sua coerenza e una sua ragione di esistere, ecco perché abbiamo aperto il laboratorio di sviluppo, in modo da dare a questi ragazzi la possibilità di mettersi a confronto con dei mentori ma soprattutto tra di loro e, così, capire più profondamente perché stanno facendo questo lavoro.

Ormai di film se ne fanno a bizzeffe, col digitale ci sono una marea di corti ma quello che interessa a noi è avere dei cortometraggi realizzati perché hanno una ragione di esistere e che veramente sono importanti, in primis per la persona che li realizza e che poi possono toccare, per svariate ragioni, il pubblico.

Senza lo sviluppo per me era frustrante prendere un progetto finito e indicare come venderlo, va contro la mia etica di lavoro. Se il progetto è vuoto è difficile poter fare un pitch, quindi in questo modo noi possiamo scegliere e selezionare i ragazzi che hanno veramente bisogno di aiuto nello sviluppo perché è una delle poche fasi in cui ci si può mettere davvero a confronto con le altre persone. Ciò consente di uscire dall’idea pseudo-romantica dello sceneggiatore e del regista che si torturano per scrivere un film: non è così, i film sono spesso scritti da più persone, è un lavoro continuo di dialogo e confronto ed è quello che poi si spera avvenga con il pubblico. Se non hai dialogo e confronto già nella fase di concezione è molto difficile averlo anche nella seconda o nella terza fase: questa per noi è una piccola scuola di buon senso. Sin dall’inizio il processo non è solamente centrato su te stesso ma è un qualcosa che puoi arricchire con il contributo degli altri e secondo me questo fa una differenza incredibile.

Da quando abbiamo iniziato a seguire questo programma abbiamo ottenuto dei risultati di cui siamo estremamente soddisfatti. Ci sono film che sono usciti dal nostro Development & Pitching Training, ad esempio il vincitore del Pardino d’oro SRG SSR per il miglior cortometraggio internazionale a Locarno 2024, Washhh di Mickey Lai, che è stato sviluppato da noi. Ci fa estremamente piacere perché sono i risultati di un lavoro lungo, infatti questo workshop è diventato una parte parecchio importante nel mio lavoro, anche perché credo che con lo sviluppo si mostri veramente una maniera diversa di lavorare e si offra un’etica del lavoro diversa ai ragazzi. Ogni anno sono soddisfattissimo del risultato, finisce questo workshop e mi sento di aver scoperto nuovi potenziali registi che avranno qualcosa da dire durante la loro carriera cinematografica.

ShorTS Express e Italia in ShorTS

La centralità della durata breve è ancora più marcata nella sezione ShorTS Express…

Si tratta della sezione che abbiamo deciso di mettere in apertura del Festival e che premia cortometraggi che durano meno di 5 minuti. È una forma di cortometraggio che prima era molto diffusa e che adesso con il web, le nuove tecnologie e la caduta verticale dei livelli di attenzione si può trovare solamente nei brevi video su YouTube o TikTok. A noi, invece, sembra una forma cinematografica estremamente interessante e, discutendone con Maurizio di Rienzo, abbiamo deciso di dedicargli uno spazio all’interno del Festival. In più, c’è una particolarità che a me sembra abbastanza eccezionale nel panorama internazionale: noi spingiamo anche i registi che sono o sono stati vicini al Festival a confrontarsi con questo con questo formato cortissimo perché è qualcosa che vent’anni fa era estremamente diffuso. Quando ho iniziato io la maggior parte dei corti durava meno di dieci minuti mentre adesso durano tra i quindici e i venti e questo è dovuto anche all’avvento del digitale. Quello che ci interessa è saper raccontare una storia in pochissimo tempo, un esercizio non semplice ma molto interessante e quindi abbiamo cercato di indirizzare anche noi, nel nostro piccolo, i registi a fare questo tipo di lavoro. In verità, la risposta è stata più che positiva: almeno un terzo dei film che sono stati selezionati sono quelli per i quali abbiamo insistito affinché venissero realizzati, abbiamo chiesto ai registi di partecipare e di mandarci qualcosa. Questo risulta molto interessante per noi perché ci sembra, in questa maniera, di contribuire alla valorizzazione di un tipo di formato che dà l’opportunità, durante una proiezione di cortometraggi, di saltare tra venti storie diverse. Noi abbiamo ventuno film in competizione quest’anno, quindi è un programma che è perfetto anche per coloro che si avvicinano per la prima volta al cortometraggio perché permette veramente di rispecchiare le possibilità formali e tematiche di questo formato in meno di due ore.

Teniamo tantissimo a questa sezione che è difficilissima da programmare perché è una questione di ritmo, di intensità, di non fare girare la testa con tante storie diverse. Allo stesso tempo, è forse una delle sezioni che ci dà più soddisfazione a livello di risultato e può permettere di avvicinare gente che inizia a scoprire il cortometraggio solo adesso. Ripensando a vent’anni fa può scaturire un po’ di nostalgia e un po’ di riscoperta per questo formato che è stato quasi dimenticato.

Coniugare dei cortometraggi insieme sembra quasi un lavoro musicale, la costruzione di una partitura…

Certo, esatto, quasi non importa quello che si seleziona ma come lo si mette insieme. Forse è il lavoro più complesso per un programmatore: selezionare i vari film è difficile ma metterli insieme secondo un buon ritmo, in modo che lo spettatore entri e rimanga là attraversando anche dei momenti di respiro, di rilassamento, lo è ancora di più. Saper mettere un ordine di montaggio in un programma è forse la capacità più importante di un programmatore, come ciò che fa il direttore d’orchestra.

Concludiamo con qualche parola sulla sezione che chiude il programma, Italia in ShorTS…

Questa sezione ha presentato una vera difficoltà perché mira a rappresentare, in un solo programma, la produzione italiana dell’anno. Si parla di estrapolare da tremila cortometraggi un programma di dieci al massimo, cosa che non è semplice. Per questo ho cercato di mettere insieme cortometraggi che avessero qualcosa di differente, una voce propria, seppur imperfetti. Questo è parecchio importante perché in una certa maniera, come dicevamo, ci sono tantissimi cortometraggi che vengono fatti ogni anno: sul piano tecnico ormai sono tutti di buon livello, il problema è sul versante delle storie che, invece, si ripetono e tendono ad annullarsi l’un l’altra.

Ci stiamo arenando e inaridendo a livello di storie, molti film incassano tanto ma risultano didascalici e lasciano il tempo che trovano, in altri casi le storie hanno un impatto emotivo ma manca il fondo. Mi sembra che nel panorama italiano, purtroppo, si stia poco sulle storie e molto sulle apparenze. Io sono per la qualità cinematografica che vedo a livello tecnico ma, al tempo stesso, a volte resto perplesso nel vedere la banalità delle storie che sono arrivate su schermo. Purtroppo, è un grosso problema educativo che porta film spesso banali a ottenere risultati sorprendenti e questo va contro ciò che sosteniamo. Invece di prendere il film che ha vinto tantissimi premi dappertutto, magari molto semplice e di facile accesso ma privo di fondo, cerchiamo di considerare corti che abbiano qualcosa in più da dire. Credo che Italia in ShorTS quest’anno rappresenti questo, ci sono film di registi – giovani e meno giovani – che rischiano senza puntare alla facilità che spesso decreta il successo nel circuito festivaliero.

Anche quest’anno le premesse di ShorTS International Film Festival sono più che stimolanti. Non resta che aspettare il 28 giugno per l’avvio della nuova edizione.