Le cinque serie SKY da vedere o rivedere a dicembre
In uno dei cataloghi più ricchi tra le piattaforme italiane, Sky passa da serie di qualità a prodotti mainstream che vanno incontro al gradimento del pubblico
Cosa vedere su Sky. Lo streaming di Sky è l’appuntamento più conosciuto e temporalmente più risalente in Italia: ma ancora oggi ha un ventaglio di proposte interessantissimo, che passa dai film all’intrattenimento sterminato dei reality, fino alla varietà delle serie tv, disponibili nel box set con le serie complete e concluse o con i nuovi episodi dei serial più seguiti di oggi.
Sta per arrivare la classifica dei serial più belli del 2020, serpeggiando tra le varie piattaforme: intanto, diamo uno sguardo alle serie tv più interessanti disponibili a dicembre 2020 su Sky.
GREY’S ANATOMY
16 anni e non sentirli. Che se per un essere umano due decadi e mezzo sono il pieno dell’adolescenza, per un serial sono un carico veramente enorme di storie, personaggi e ascolti, un traguardo invidiabile che ovviamente non è da tutti. Caso a parte lo fa certo GREY’S ANATOMY, il medical drama più conosciuto e seguito della tv partito nel 2005 e ideato da Shonda Rymes mentre era ancora in corso la storica E.R – MEDICI IN PRIMA LINEA, altro serial simile creato da Michael Crichton.
Ma se lì le storie puntavano i riflettori più sulla verosimiglianza delle situazioni e delle problematiche ospedaliere, centrando un discorso tecnico, qua abbiamo un nosocomio che pare albergo di innumerevoli situazioni sentimentali, triangoli e quadrilateri emotivi e sessuali, intrighi e colpi di scena degni di un vero e proprio feuilleton moderno. Sarà per questo che proprio con la sua sedicesima stagione GREY’S ha battuto in longevità E.R. (la creatura di Crichton era arrivata solo a 15 stagioni, la Rymes ha portato la sua Meredith Grey fino alla 16^ ma si prosegue almeno per altri due anni già confermati), dando vita a due spin-off e arrivando oggi a parlare ovviamente dell’emergenza Covid, in una diciassettesima stagione in onda su Fox dal novembre 2020.
Non si sa quanto mancasse, nell’attuale panorama seriale, un altro poliziotto declinato al femminile, che produttivamente si inserisce nella speranza di occupare lo slot rimasto “libero” (per modo di dire) da Montalbano, vivo e vegeto ma orfano ormai del suo creatore Camilleri.
E PETRA fa il suo lavoro, affiancandosi ad altre ottime cose come IMMA TATARIANNI e ROCCO SCHIAVONE, mutuandone -complice la creazione della Gimenez-Bartlett– asperità caratteriali e caratteristiche ammiccanti al pubblico più smaliziato e nuovo, in cerca di personaggi freschi e soprattutto lontani dagli stereotipi che lentamente stanno sparendo dal panorama televisivo e non solo.
E diciamo subito che, dal punto di vista programmatico, riesce nel suo intento: RITI DI MORTE, la prima storia portata in tv, è un’opera dignitosissima che oltretutto può vantare la regia di Maria Sole Tognazzi, abilissima regista da grande schermo forse fin troppo sottovalutata o non abbastanza elogiata.
Partendo dal nome della protagonista, il personaggio tratteggiato da RITI DI MORTE è un enigmatico e affascinante ossimoro: forte come la pietra fuori ma fragile e delicata dentro, vive e si comporta in maniera totalmente libera, fuori dagli schemi, seguendo solo il suo istinto e la sua ferrea legge morale interiore.
Funziona allora tutto, o quasi, e tutto si sviluppa come da programma: e questo primo mini film tv è un’introduzione perfetta al mondo della scrittrice ma soprattutto ad un universo narrativo giallo che ha tre protagonisti, i due poliziotti e la loro città, Genova.
THE THIRD DAY con Jude Law, presentato in anteprima al Torino Film Fest, è un dramma travestito da horror rurale, che guarda da vicino alle geografie emozionali di film come THE WICKER MAN , il recente e bellissimo MIDSOMMAR o il nostrano LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO:
costruita abilmente in due spezzoni diversi ma complementari (tralasciando la follia dell’intermezzo social), la miniserie targata Sky è insospettabilmente qualcosa di folle e sperimentale, dai toni visionari molto poco mainstream che travalica -o tenta di farlo- i confini del piccolo schermo, risultando alla fine un’opera quasi onomatopeica e sinestetica, assolutamente da recuperare.
E lo stesso melting pot del concept si ritrova nella trama, un classico del folk horror che attira lo spettatore con una storia di mistero avvinghiandolo poi in spire sempre più fitte che riguardano più il modo in cui viene raccontato piuttosto che l’oggetto della storia stessa.
“Qual è il prezzo delle bugie? Non serve più la verità, oggi: perché forse bastano le storie a riempire quel buco”, dice Valery Legasov, chimico sovietico chiamato dal Cremlino per gestire il disastro della centrale nucleare, e voce narrante che apre il primo episodio (di cinque) di CHERNOBYL, in onda su Sky Atlantic e tutt’oggi ricordata come una delle cose più belle e importanti viste in tv negli ultimi dieci anni.
Una figura drammatica e appassionata schiacciato tra la realtà del sistema politico che serve e i costi umani pagati: un uomo che, con le poche parole sussurrate dentro un registratore, riassume il senso tragico di un serial di altissima latitudine emotiva.
CHERNOBYL non è solo il resoconto (pare fedele: tanto che la Russia pare si sia offesa particolarmente e voglia rispondere con una sua serie tv sull’argomento, arrivando a puntare il dito su agenti CIA infiltrati) del più grande disastro nucleare che il nostro mondo ricordi; ma anche e soprattutto un mosaico, dalla precisione entomologica, che restituisce il quadro della fallibilità umana inquadrata e metaforizzata nel sistema di menzogne e bugie dell’ex Unione Sovietica comunista.
Sono passati undici anni dalla messa in onda del primo episodio, passato nella quasi totale indifferenza del grande pubblico; complice poi la lungimiranza degli autori, una scrittura brillante insieme ad una spettacolarità che si è impennata lentamente, sul piccolo schermo nel corso di queste otto stagioni abbiamo visto sotto i nostri occhi crescere un’opera che ha saputo mantenere intatta quasi sempre la sua qualità narrativa riuscendo allo stesso tempo a guadagnare in grandiosità visiva e concettuale.
Trame a lunghissima percorrenza, premonizioni, legami fra l’inizio e la fine, attori di altissimo profilo, messa in scena sontuosa e ricca di suggestioni: IL TRONO DI SPADE è disponibile nella sua interezza sull’on demand di Sky ed ha fatto attendere il suo larghissimo pubblico per ben due anni tra la settima e l’ottava stagione finale, che è frutto esclusivamente dei runner della serie non avendo ancora Martin messo la parola fine ai suoi libri.
Questa sorta di stanchezza narrativa ha contagiato, per una brevissima parentesi, anche il serial: che nel passaggio dalla quinta alla sesta, coincidente con il passaggio dal libro alla tv, ha avuto non poche difficoltà di adattamento.
Ma Winterfell (Grande Inverno, s08e01) ha spiazzato tutti, in un senso e nell’altro: una puntata doverosamente “di servizio”, per ritrovare i personaggi dove li avevamo lasciati -pur non perdendosi come spesso accade in questi casi in rivoli noiosamente riassuntivi- e per preparare il terreno ai fuochi, letterali e non, che arriveranno.