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Serie Tv

Grey’s Anatomy: sedici anni e non sentirli

Sta andando in onda su Fox Life la sedicesima stagione di Grey's Anatomy, costretta ai sottotitoli per l'emergenza covid, ma rappresentativa dello sforzo produttivo di Shonda Rymes

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16 anni e non sentirli. Che se per un essere umano due lustri e mezzo sono il pieno dell’adolescenza, per un serial sono un carico veramente enorme di storie, personaggi e ascolti, un traguardo invidiabile che ovviamente non è da tutti. Caso a parte lo fa certo Grey’s Anatomy, medical drama partito nel 2005 e ideato da Shonda Rymes mentre era ancora in corso la storica E.R – Medici In Prima Linea, altro serial simile creato da Michael Crichton. Ma se lì le storie puntavano i riflettori più sulla verosimiglianza delle situazioni e delle problematiche ospedaliere, centrando un discorso tecnico, qua abbiamo un nosocomio che pare albergo di innumerevoli situazioni sentimentali, triangoli e quadrilateri emotivi e sessuali, intrighi e colpi di scena degni di un vero e proprio feuilleton moderno. Sarà per questo che proprio con la sua sedicesima stagione Grey’s ha battuto in longevità E.R. (la creatura di Crichton era arrivata solo a 15 stagioni, la Rymes ha portato la sua Meredith Grey fino alla 16^ ma si prosegue almeno per altri due anni già confermati), dando addirittura vita a ben due spin-off, la defunta dopo sei stagioni Private Practice e l’attualmente vivissima Station 19. Ma per lo stesso motivo anagrafico, ci si aspetta che dopo 16 anni i personaggi abbiano detto tutto quello che avevano da dire: niente di più sbagliato.

Grey’s Anatomy streaming: dove vederlo

Operazione d’amore

La saga dei medici e paramedici dell’ospedale Grey-Sloane è un continuo via vai di personaggi, principali e non, con la quale riesce a tenere sveglia l’attenzione del suo numerosissimo pubblico: è un fatto che il ventesimo episodio della stagione attualmente in corso abbia totalizzato 7.13 milioni di spettatori, con una crescita complessiva del 10% rispetto agli ascolti della stagione precedente.

Sarebbe facile liquidare lo show descrivendolo ormai come una telenovela con più soldi: ma sedici anni sono davvero tanti, senza dimenticare che la durata delle stagioni -contrariamente al drastico ridimensionamento avvenuto qualche anno fa in seguito allo storico sciopero degli sceneggiatori e conseguenti ad una struttura produttiva mutata nel tempo- continua ad essere imperterrita di venticinque episodi, tranne per il 2020 che, causa coronavirus, arriverà “solo” a ventuno.

Grey’s Anatomy è un cuore pulsante aperto: nessuna definizione probabilmente si adegua più di questa alla creatura di Shonda Rymes, che senza pudore mette in campo relazioni sentimentali che definire problematiche è dir poco. Certo, alcune soluzioni sono realmente da telenovela, ma trovate voi uno show tv che dopo tutto questo tempo riesce ad essere fresco ed appassionante, scambiare vorticosamente i suoi protagonisti principali (della prima puntata sono rimasti solo in tre, Meredith Grey – Ellen Pompeo –, Miranda Bailey Chandra Wilson –, Richard Webber James Pickens Jr. –) riuscendo sempre e comunque a centrare caratteri e caratteristi, inserendoli in una narrazione incredibilmente fluida e ritmata, sopravvivendo anche alla perdita del suo attore feticcio, quel Patrick Dempsey che ha preferito lasciare alla stagione 11 per rincorrere sogni di gloria più alti (e che vedremo a breve ne I Diavoli per i tipi di Sky Atlantic).

Ritmo sinusoide

Ma è proprio il ritmo la soluzione all’enigma. Perché gli sceneggiatori lavorano alacremente per non perdere mai il filo, per rendere accessibile ad ogni nuovo spettatore un parco personaggi vastissimo con interrelazioni tra le più variegate, per resistere ad ogni bordata produttiva esterna ed interna. Che poi facciano tutto bene, l’episodio 16×16 (quello dell’abbandono del dott. KArev, uno dei personaggi in corsia fin dal primissimo episodio) sta qui a dimostrare che non è vero: il bel tenebroso Justin Chambers ha lasciato in corso d’opera per motivi di salute, costringendo la sceneggiatura ad elaborare una storia che lo facesse uscire di scena “fuori onda”, ma che allo stesso tempo permettesse un suo eventuale futuro ritorno. Ecco, non tutto è filato liscio perchè a parte l’esilità della trovata in sé per sé, è tutta la struttura dell’episodio, basato su quattro lettere lette da quattro personaggi differenti con voce off, ad essere carente.

E così, proprio l’altro abbandono celebre, quello di Dempsey, è stato invece significativo di una delle più grandi variazioni qualitative del serial. Con una produzione così longeva, sono inevitabili e quasi fisiologici momenti di stanca: e allora varcato il decennale, Grey’s Anatomy ha iniziato a mostrare fiato corto, stiracchiando ogni soluzione narrativa e lasciando pressoché invariata la struttura degli episodi e dell’andamento delle storie orizzontali interne alle stagioni. Non è un caso se la maggior parte dei protagonisti ha mollato proprio intorno alla stagione 10, e non è un caso se sono dovuti ripartire proprio dalla morte di Derek Shepherd per ricostruire sulle rovine. Ci sono volute tre o quattro stagioni perché il risultato tornasse ad essere pienamente soddisfacente, ma nuovi volti e nuova linfa, finanche un cambio leggero di tono sono arrivati e hanno risollevato le sorti del serial: perché se fino ad allora girare intorno a Meredith Grey significava morire di morte violenta o fare comunque una brutta fine, e se ogni stagione si concludeva con un cliffhanger che preludeva ad un lutto doloroso, il traguardo della prima decade ha fatto sì che Grey’s Anatomy cambiasse impercettibilmente marcia, premendo di più il pedale sulla comedy e lentamente ma inesorabilmente decelerando sul filone morte & distruzione. Ferma restando la ferma volontà, sacrosanta e quantomai necessaria, di restituire i personaggi con una vastissima varietà di tipi a favore del politically correct (omo e bisessualità, adozioni, transgender, etnie e razze tra le più disparate), questa sedicesima stagione ha avuto un po’ una funzione decompressionante: se, come si è visto, le trame orizzontali e verticali si intrecciano senza soluzione di continuità, e se il tema portante è un flusso ininterrotto, alcune sequenze di episodi vengono quindi utilizzate, ultimamente, per decomprimere la tensione e portare a compimento determinati segmenti narrativi gettando i semi per storie future.

È il caso degli episodi che stanno passando su Fox Life in questa fine di aprile 2020, nei quali l’ascolto forzato in lingua originale -causa intoppi Covid- evidenzia per ultimo uno dei punti di forza migliori di Grey’s Anatomy: gli attori. Un comparto interpretativo al di sopra della media stagionale, che riesce nell’ardua impresa di far passare sopra soluzioni raffazzonate e coup de theathre da soap, tra cui gravidanze inaspettate, ritorni di fiamma improbabili, dolorose sparizioni improvvise. Insomma, quel che si dice (sbagliando, perché in nessun piacere può esserci colpa) un vero e proprio guilty pleasure.

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