Taxi Drivers Media partner del Med film Festival 2022 segnala un importante omaggio dedicato a Francesco Rosi in occasione del centenario della sua nascita, e a Raffaele La Capria, suo amico e coautore di capolavori della Storia del Cinema. L’evento, realizzato in collaborazione con la Cineteca di Bologna, proporrà l’anteprima della versione restaurata di “Le mani sulla città” ed una masterclass che vedrà dialogare: Alberto Anile, conservatore della Cineteca Nazionale, Sandro Veronesi, scrittore e Federico Pontiggia, consulente artistico del festival, sul
tema: “Le mani sul capolavoro: Francesco Rosi e Raffaele La Capria”.
“Le mani sulla città” è un film drammatico italiano del 1963 diretto da Francesco Rosi. Film di impegno civile, è una spietata denuncia della corruzione e della speculazione edilizia dell’Italia degli anni sessanta. Significativa è la didascalia del film che recita:
«I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce».
Il film vinse il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1963. Con Rod Steiger, Guido Alberti, Marcello Cannavale, Alberto Canocchia, Salvo Randone.
Sinossi
Un consigliere comunale napoletano, Eduardo Nottola (militante di un partito di destra) e costruttore edile è costretto a ritirarsi dalla vita politica per il crollo di una palazzina da lui costruita. Cambiato partito (si sposta al centro) riesce a farsi eleggere di nuovo e ad avviare un gigantesco progetto speculativo.
Le mani sulla città, denunciando la speculazione immobiliare e smascherando i meccanismi che permettono agli interessi politici ed economici di coincidere, analizza un fenomeno comune a tutte le metropoli, ma che a Napoli raggiunge un’eccezionale gravità: “Napoli ‒ come ricorda lo sceneggiatore del film Raffaele La Capria ‒ è stata una delle città più devastate da una speculazione immobiliare oscena; era una città bellissima e sono riu-sciti a rovinare tutto, anche la salute e la vita dei suoi abitanti“.
E Francesco Rosi ribadisce:
“L’aspetto negativo della speculazione immobiliare non consiste soltanto nella distruzione della città e nell’aspetto caotico che essa assume, ma anche nella distruzione di una cultura a vantaggio di un’altra in cui l’uomo non trova più posto“.
Esponendo alla luce del sole gli ingranaggi dei giochi di potere, Rosi pone il problema dei rapporti tra morale e politica.
Per chi detiene il potere la questione è presto risolta: fare politica significa addentrarsi in un campo in cui la morale tradizionale non ha più valore e dove contano soltanto l’opportunismo, la corruzione, la capacità di manovra.
Per conquistare il potere e conservarlo, ogni metodo è ammesso. I discorsi demagogici e le prebende servono solamente a ottenere il consenso degli elettori in un sistema che è ormai soltanto un simulacro della democrazia. L’esercizio del potere, se praticato senza controllo, conduce a ogni genere di abuso e trasforma il cittadino in schiavo. Così si creano fortune colossali trasformando i terreni agricoli delle periferie in foreste di cemento, devastando il centro della città, sostituendo le case antiche con ignobili edifici che sconvolgono il tessuto urbano e costringono le classi più disagiate a trasferirsi. Sostenuto dall’interpretazione espressionista di Rod Steiger e di Guido Alberti, dalla fotografia di Gianni Di Venanzo, che crea un clima opprimente attraverso l’uso di un bianco e nero fortemente contrastato, e dalla musica dalle sonorità metalliche di Piero Piccioni, Rosi trasforma il proprio film in una sorta di thriller politico. La sua messa in scena, lungi dall’essere una semplice ricostruzione documentaria, utilizza tutte le risorse dell’immaginario urbano. Napoli acquista così un’autonomia e una ricchezza figurativa capaci di trasformarla nell’emblema di tutte le metropoli occidentali colpite dal dramma della speculazione immobiliare.
Il film vinse il Leone d’oro al Festival di Venezia nel 1963.