Presentato in concorso al Festival di Cannes 2025, Fuori segna il ritorno di un nuovo intenso capitolo del cinema di Mario Martone, autore raffinato del nostro tempo. Il film, distribuito da 01 Distribution e tratto da L’Università di Rebibbia e Le certezze del dubbio di Goliarda Sapienza, prende spunto da un episodio reale della vita della scrittrice, arrestata nel 1980 per furto e ricettazione. Martone, in sceneggiatura con Ippolita Di Majo, costruisce un linguaggio visivo che alterna il realismo alla poesia, con un racconto che supera i confini, rompe le barriere e si trasforma in una riflessione sul carcere, sul genere, sulla libertà, in un’Italia all’indomani degli anni di piombo.
Il regista torna così ad esplorare le fratture dell’identità femminile e del corpo sociale italiano, con un film profondamente poetico e politico. Valeria Golino ci regala un’interpretazione magistrale di Goliarda Sapienza, accompagnata da una straordinaria Matilda De Angelis nei panni di Roberta, giovane detenuta tossicodipendente con la quale instaurerà un rapporto profondo e un legame particolare. Una relazione che anche (se non soprattutto) fuori dal carcere continuerà a sfidare convenzioni e stereotipi, diventando il cuore pulsante del film.
Fuori, una storia vera
Goliarda Sapienza (Valeria Golino) finisce in prigione, ma il carcere si rivela tutt’altro che una fine. Lì conosce donne che le cambieranno la vita, ognuna con la propria ferita e lotta interiore. Tra queste in particolare, Roberta (Matilda De Angelis) giovane combattiva tormentata, e Barbara (Elodie), figura schiva ma profondamente umana.
Una volta fuori, Goliarda condividerà con loro il sapore di una libertà inquieta ma autentica. Attraverso un cammino che non cancella il dolore, ma lo trasforma in possibilità.
Chi è Goliarda Sapienza
Goliarda Sapienza nasce a Catania il 10 maggio 1924, in una famiglia fuori dall’ordinario. Figlia di Maria Giudice, prima donna a dirigere la Camera del Lavoro di Torino, e di Giuseppe Sapienza, avvocato socialista e convinto antifascista, cresce in un ambiente segnato dall’impegno politico e dalla libertà di pensiero. Suo padre decide di non mandarla a scuola, temendo che l’educazione del regime fascista possa soffocarne lo spirito.
Goliarda si trasferisce a Roma a 16 anni e si iscrive all’Accademia d’arte drammatica. È il primo passo di un’esistenza in continuo movimento, sempre in bilico tra arte e ribellione. Lavora come attrice per alcuni dei grandi nomi del cinema italiano, come Blasetti, Visconti e Citto Maselli, con cui avrà anche una lunga relazione. Ma il suo vero amore è la scrittura.
Alla scena preferisce la parola, al riflettore il silenzio del pensiero. La sua vita è attraversata da alti e bassi: periodi di povertà, difficoltà psicologiche, una breve esperienza in carcere, dove troverà però un’umanità e una libertà sconosciute ai salotti intellettuali della Roma bene, che non ha mai sopportato. Come Modesta, protagonista del suo capolavoro, Goliarda non ha mai avuto paura di rompere le regole, né di pagare il prezzo della propria libertà. Scrittrice mai celebrata in vita, verrà riscoperta solo dopo la pubblicazione del suo romanzo-ossessione, a cui dedicò dieci anni della propria vita: L’arte della gioia.
Il rapporto tra spazio e legami
Il breve periodo passato a Rebibbia sotto ogni aspettativa si rivela essere per la scrittrice un momento di profonda rinascita, soprattutto attraverso l’incontro con alcune giovani detenute. La loro amicizia (a tratti forse qualcosa di più) si muove in una Roma che cambia volto a seconda di chi la guarda: imponente e smisurata dal cellulare dei carabinieri, stretta e disordinata appena fuori dal carcere. Martone costruisce una geografia emotiva fatta di strade e salite, di salotti borghesi e periferie dimenticate.
Ogni luogo ha un peso, ogni spazio racconta una storia. Dalla profumeria di Barbara, in via dell’Acqua Bullicante (in un rifugio che ricorda ancora una cella) ai bar della Roma bene, dove si beve per dimenticare chi si è e dove si sta andando. Tutto parla. Tutto significa.
Anche i muri parlano. In una scena, Roberta mostra a Goliarda una scritta tracciata sul cemento: “Le ore del nostro presente sono già leggenda”. È una frase che arriva come un pugno dolce. Dentro c’è il cuore del film. Queste bellissime donne, infatti, piene di sbagli ma profondamente vive, fuori posto e fuori norma, hanno già la forza di qualcosa che sopravvive al presente, che si fa racconto, memoria, e resta traccia.
Nel carcere raccontato da Fuori, le relazioni tra donne non seguono percorsi lineari o definizioni rigide. Si muovono in una zona grigia, densa, fatta di affetto e desiderio, di cura e tensione emotiva. È uno spazio sospeso dove i confini tra amicizia e amore diventano quasi impossibili da tracciare. Le emozioni si mescolano ai gesti quotidiani, ai corpi che si sfiorano per caso o per scelta, agli sguardi che durano un attimo più del necessario. In quell’ambiente chiuso, dove la vita sembra rallentare, ogni legame si amplifica e prende forma in modi che fuori sarebbero forse impensabili, o giudicati troppo. Sono connessioni profonde, intime, che nascono dal bisogno umano di essere visti, accolti, toccati, nel corpo, ma soprattutto nell’anima.
Martone ci regala una delle scene più significative in questo senso: quella della doccia a tre, nella profumeria. A prima vista potrebbe sembrare una scena carica di sensualità, ma il tono è un altro. Non si tratta di erotismo gratuito, bensì di un atto collettivo di fiducia, di libertà e vulnerabilità condivisa. È un momento in cui tre donne decidono, senza bisogno di parole, di mostrarsi per quello che sono, nel corpo e nello spirito, senza paura del giudizio. Un gesto che, in quel contesto, assume un valore altissimo. È quasi un rito: un modo per dirsi “ti vedo”, “ti riconosco” e “mi lascio vedere”.
Quando Goliarda guarda Roberta e le dice: “Non ti piace farti vedere nuda”, e poi si spoglia davanti a lei, non sta facendo una mossa di seduzione. Sta aprendo un varco. Sta invitando l’altra a fidarsi, a mostrarsi senza difese. È un gesto di disarmo reciproco, forse l’unico modo, in quel mondo così duro, per costruire qualcosa di vero. La nudità, qui, non è solo fisica: è anche emotiva. Perché lì, in quel dentro, c’è anche uno spazio per un autenticità che fuori, spesso, non trova voce.

Imparare ad abitare il margine
Fuori è un titolo che non chiede spiegazioni, ma si impone. Potremmo chiederci, fuori da cosa? Da dove, esattamente?
Una risposta plausibile potrebbe essere: fuori da sé, fuori dalla norma, dalla legge, dal ruolo assegnato, dalla convenzione. E forse anche fuori da un “dentro” che non è sempre facile abitare.
In questo senso, Fuori non parla di una semplice evasione, ma di una condizione esistenziale complessa: il “fuori” è al tempo stesso margine da abitare e confine da superare. È uno spazio incerto, fluido, a volte perfino surreale. Non garantisce la libertà, ma la sfiora: è una soglia, un passaggio possibile.
Dentro e fuori, allora, smettono di essere categorie opposte nette e diventano invece territori fluidi, luoghi dove oppressione e speranza si intrecciano. Le mura, le stanze, le sbarre che abita Goliarda non sono solo prigioni fisiche, ma simboli di una reclusione che continua ben oltre la scarcerazione: un senso di estraneità che nasce quando non si riesce a trovare uno spazio tutto proprio, un rifugio da abitare con dignità.
Il film si fa così meditazione potente sul bisogno di uno spazio collettivo, un luogo reale e simbolico in cui la libertà si costruisce assieme: nella relazione con l’altro, nella ricerca di sé stessi, nel dialogo e nello scambio, nel diritto a esistere e appartenere. Perché vivere davvero significa poter abitare un mondo che ti riconosca, ti accolga e ti rispetti.
“Voglio sentirmi dentro per sentirmi libera”, afferma Goliarda Sapienza, che non vede il margine come una condanna, ma come un’opportunità. In questa deriva si nasconde la forza di una resistenza silenziosa eppure rivoluzionaria, un grido sommesso ma potente che riapre gli spazi personali e interpersonali del dentro e del fuori. Accanto alla colonna sonora originale firmata da Valerio Vigliar, Robert Wyatt con Memories canta: “I’ve got to choose between tomorrow and yesterday”, ma Goliarda sceglie l’oggi. Anche se fa male. Anche se è tutto da ricostruire.
Perché forse non esiste, e non serve trovare o aspettare, un posto perfetto per iniziare a vivere. Ma è importante abitare la propria libertà, ovunque ci si trovi. Perché la vera forza non sta nell’essere dentro o fuori, ma nel sovvertire lo spazio che ci è stato assegnato, rendendolo nostro.
Scegliendo chi amare, dove vivere, cosa scrivere, insomma, chi essere. Ricordando che ogni scelta, per quanto marginale, è sempre un atto politico rivoluzionario.