Un po’ come i paramedici di Al di là della vita (Bringing Out the Dead, 1999) e le loro folli corse in ambulanza. Sullo sfondo però non c’è l’America tormentata di Martin Scorsese, bensì una Russia che, osservata dallo sguardo attento e tagliente di Boris Chlebnikov, è affine in tutto e per tutto a quella in crisi d’identità dei film di Andrey Zvyagintsev, Jusup Razykov, Aleksei Balabanov. E a bordo di quell’autoambulanza non c’è, ovviamente, Nicolas Cage. Senza infierire sul divo d’oltreoceano potremmo quindi parlare di un valore attoriale aggiunto: sì, perché interprete principale di Arrhythmia è quell’Aleksandr Jacenko, attore feticcio dello stesso Chlebnikov, che qui ci ha regalato un’altra performance istrionica e ricca di sfumature, guadagnandosi pure il premio come Miglior Attore al Festival di Karlovy Vary.
Regia funzionale a un film di scrittura, in cui l’arguzia dei dialoghi e l’ottima scelta degli interpreti contribuiscono a creare uno spaccato vivo, pungente e credibile del paese, Arrhythmia si rapporta alla società russa sovrapponendo le difficoltà cui va incontro il protagonista, raffigurato nel bel mezzo di una devastante crisi di coppia, alle troppe ansie di una collettività in balia ormai di cinismo dilagante, individualismo selvaggio, corruzione senza freni e applicazione delle regole estremamente burocratica, di fatto al servizio dei più forti e dei meglio inseriti.
Lo spensierato e spesso ubriaco protagonista, Oleg, è un antieroe fuori da ogni schema che dietro l’apparente cialtroneria e le scelte azzardate, ravvisabili nei suoi interventi come infermiere, cela una potente critica al sistema. Notevole, perciò il modo in cui viene collocato nel racconto dallo sguardo sornione e drammaturgicamente raffinato di Boris Chlebnikov: il regista, già autore assieme ad Aleksey Popogrebskiy di un film spartiacque del cinema russo contemporaneo (e loro lungometraggio d’esordio, per giunta) come Koktebel (2003), riesce così ancora una volta a fotografare con spigliata ironia i contorni di una realtà sociale alla deriva; lanciando però, almeno sul versante privato, un salvagente ai personaggi principali, che rende tutto sommato più agevole la partecipazione emotiva e l’immedesimazione da parte del pubblico.