Emanuel Pârvu scandisce con lunghe inquadrature il ritmo di vita di un paesino lontano da ogni modernità, laddove il pregiudizio regna sovrano. Spettatori di un mondo a parte: una parentesi sospesa in un remoto villaggio del Delta del Danubio in Romania.
Dopo essere entrato in concorso al Festival di Cannes, Tre chilometri alla fine del mondo si è portato a casa, al Sarajevo FF, il premio come Miglior film, per poi essere presentato al Trieste Film Festival, in corso dal 16 al 24 gennaio.
Tre chilometri alla fine del mondo: la storia di Adi
Una notte, Adi, 17 anni, viene picchiato nel suo paesino natale sul Delta del Danubio. I genitori scopriranno cosa c’è dietro questa aggressione e, da quel momento, tutto di Adi verrà messo in discussione, facendo emergere un netto contrasto tra i valori tradizionali/morali della famiglia, con quelli del mondo esterno a cui Adi vorrebbe affacciarsi.
Il concetto del “diverso”
Il lungometraggio si presenta e sviluppa come un giallo, i cui protagonisti iniziali sono il padre di Adi e il commissario di Polizia che lo aiuta a trovare i colpevoli dell’aggressione del figlio. Queste due figure, con le loro iniziali buone intenzioni, mostreranno poi, senza alcuna macchia, ragionamenti “naturali” e anche corrotti, di popolani isolati dal mondo. A costellare i pregiudizi è la paura.
« L’idea di fare questo film nasce da due prospettive intrecciate: quella della famiglia, dato che io stesso sono figlio e padre, e quella di un’intransigenza che sembra essere onnipresente nel mondo di oggi, che non offre sempre comprensione e tolleranza. Ma soprattutto, la storia è la mia interpretazione della condizione di quelle che generalmente definiamo minoranze. Tutti noi abbiamo attraversato momenti in cui ci si siamo sentiti emarginati e soli. Mi hanno attirato i sentimenti contraddittori verso qualcosa che non si riesce a capire… »
Così spiega il regista Emanuel Pârvu, mettendo in risalto temi come la tolleranza, le minoranze e la famiglia, che non sempre purtroppo vanno di pari passo.
Centrale è la tematica del “diverso”, così come è inteso agli occhi dei genitori e compaesani di Adi. Una diversità che spaventa, perché stigmatizzata e condannata. In particolare, la storia ruota attorno al voler nascondere e arginare l’omosessualità di Adi, che mostra per tutto il film i segni fisici dell’aggressione subita.
Non manca la forte componente religiosa. In soccorso alla disperazione della madre per la “malattia” del figlio, subentrerà un prete mosso dalle migliori intenzioni di aiutarlo, ma i suoi modi non rispecchieranno la bontà di queste intenzioni…
L’ambientazione: una realtà moderna, ma corrotta
Se considerare la storia narrata di odierna ambientazione oppure risalente al panorama di un ventennio fa, il clima del film contribuisce a metterlo in dubbio. A confermare la sua attualità è, però, un elemento ricorrente e moderno per eccellenza: il cellulare, unico strumento di contatto con il mondo “esterno”. I genitori di Adi capiranno presto che è proprio quel telefono la fonte del contatto e della “corruzione” del ragazzo, lo stesso che gli aggressori rubano in principio. Privazione di identità e di comunicazione, quindi, non solo con la famiglia, ma anche col mondo esterno.
Quest’opera a tratti poliziesca, non contiene i tipici ritmi del genere, creando quasi un effetto documentaristico di una realtà confinata e assente dal progredire del mondo. Pârvu ha volutamente creato un forte contrasto tra il panorama bucolico (campagnolo, calmo e lento), che circonda il protagonista, e la sua tacita sofferenza per non essere accettato dalla famiglia. L’unica persona che lo fa sentire meno solo è la sua migliore amica. I ritmi dilatati della narrazione si scontrano con le poche ferventi urgenze davvero percepite: l’iniziale bisogno del padre di scoprire chi ha fatto del male al figlio, poi le paure della madre di Adi, l’attaccamento moralistico/religioso come unico appiglio di salvezza per il figlio e poi, la futura presa di consapevolezza di quest’ultimo che lo porterà, in un qualche modo, ad agire.
Qualcosa in più sul regista, Emanuel Pârvu
Emanuel Pârvu è attore, sceneggiatore e regista. Classe 1979, è nato a Bucarest dove si è laureato all’Università Nazionale Rumena per il Teatro e il Cinema. Ha scritto e diretto diversi cortometraggi prima del suo debutto con il lungo Meda sau Partea nu prea fericită (2017), Migliore regia e Migliore attore al Sarajevo FF. Il Trieste FF ha presentato i suoi cortometraggi O familie… nel 2010 e Totul e foarte departe nel 2019. Tre chilometri alla fine del mondo è il candidato all’Oscar per il Miglior film internazionale per la Romania.