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Festival di cinema

Benevento Cinema e Televisione: Enrico Vanzina incontra il pubblico

La personalità di Enrico è cresciuta e si è formata nella consapevolezza che il cinema debba far divertire e pensare. E non accetta la distinzione tra film di genere e film d'autore, perché il cinema è una lingua comune

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Enrico Vanzina incontra il pubblico del BCT Benevento Cinema e Televisione, manifestazione nazionale dedicata al piccolo e al grande schermo, alla sua prima edizione, in una conversazione con il critico cinematografico Valerio Caprara.

I ricordi d’infanzia

Enrico Vanzina, figlio di Stefano, “Steno”, di cui ricorre quest’anno il centenario dalla nascita e a cui lo stesso Enrico e suo fratello Carlo dedicano una mostra a Roma, ha una personalità poliedrica.

Sceneggiatore, produttore cinematografico, scrittore e giornalista.

Frutto di un’infanzia trascorsa in una casa frequentata da autori, attori e artisti del cinema italiano degli anni in cui nasceva la commedia all’italiana, la personalità di Enrico è cresciuta e si è formata nella consapevolezza che il cinema debba far divertire e pensare contemporaneamente.

Racconta un aneddoto molto doloroso della sua vita, quando suo figlio era ricoverato in ospedale per un incidente grave e si trovava in un reparto insieme ad alcuni malati terminali.

Una sera andò a trovarlo e mentre si avvicinava alla stanza sentì delle persone ridere.

Erano suo figlio e altri compagni di reparto che stavano vedendo Vacanze di Natale (1983).

Se  c’è una cosa che lo rende orgoglioso è regalare questi momenti di divertimento e non solo.

Il cinema è un bisogno, è pomiciare, è essere tristi,  è avere paura”.

Soprattutto – e cita Hitchcock per dare quella che secondo lui è la più bella definizione di cinema – “il cinema è la vita dalla quale si tagliano i momenti noiosi”.

Il cinema come lingua comune

Valerio Caprara introduce un dibattito che da un po’ di anni divide pubblico, critica e chi in generale si interessa di cinema.

Negli anni Sessanta e Settanta chi andava al cinema vedeva sia i film western che i film di Fellini, perché il cinema era una lingua comune, e lo spettatore poteva spaziare tra tutti i registri, come in quelli di una lingua, da quelli alti a quelli più popolari.

Lo spunto di Caprara è molto interessante, poiché in termini linguistici, i registri di una lingua vanno usati tutti, altrimenti la comunicazione si blocca, ed è questo quello che dovrebbe succedere nel cinema, sperimentare e fruire di tutti i registri, per renderlo sempre vivo e non bloccare la comunicazione con il pubblico, invece di perdersi in diatribe, talvolta sterili, tra cinema d’autore e cinema di genere.

Steno, ricorda il figlio Enrico, frequentava tutti.

A casa Vanzina, oltra e Monicelli, Scola, Age e Scarpelli e Sergio Leone (che per Steno faceva il segretario di edizione) ci andava spesso anche Antonioni, che considerava chi faceva film comici dei grandi attori. E ancora, Vittorio De Sica insieme ad attori come Tina Pica, Paolo Panelli e Bice Valori.

Il grande cambiamento avvenuto nel cinema è stato quando gli attori sono diventati anche registi, e quindi oggi manca quel mondo dei film di complesso dove ognuno aveva il suo ruolo; la dimensione globale che si è venuta a creare oggi ha portato alla formazione di gruppi, di clan che difficilmente creano uno scambio tra loro.

I ricordi di Enrico Vanzina: Totò e Alberto Sordi

Tra i ricordi affettuosi di un Totò triste e malinconico, che Steno una volta vide piangere, di un Alberto Sordi che durante le riprese di Polvere di Stelle diretto dallo stesso Sordi, che si era fasciato la mano per evitare di stringerla ai tanti che erano accorsi ad assistere alle riprese del balletto all’interno del Teatro Petruzzelli di Bari.

Enrico Vanzina sottolinea l’importanza che hanno avuto nel nostro cinema.

Il principe De Curtiis, non era molto amato dall’Italia, eppure apprezzatissimo all’estero per quella che è considerata la sua migliore prova d’attore.

Guardie e Ladri, scritto da Steno, Mario Monicelli (registi del film), Aldo Fabrizi, Vitaliano Brancati, Ruggero Maccari e Ennio Flaiano, interpretato insieme ad Aldo Fabrizi sancì l’inizio della commedia, la storia di una guardia e di un ladro che alla fine, nonostante la vita abbia messo l’uno contro l’altro, alla fine si ritrovano a dover fare i conti con le stesse ristrettezze e amarezze.

Fu un affresco dell’Italia dell’immediato dopoguerra alle prese con una ricostruzione difficile, acclamato dalla critica e riconosciuto all’epoca del neonato Festival Cannes con la Palma D’Oro per il miglior film nel 1951.

Il giovane Alberto Sordi e Totò lavorarono insieme in un unico film, Totò e i re di Roma (1951), diretto da Steno e Monicelli. Enrico Vanzina racconta divertito di come Totò si rese conto della grandezza del giovane Sordi e durante le riprese di una scena in cui era previsto che Totò gli sputasse, questi continuò a farlo ben oltre le esigenze di copione.

Alberto Sordi, continua il ricordo di Vanzina, “osservava e imitava gli italiani, e il suo modello era talmente forte che gli italiani finirono per imitare lui.

Gli attori

E non ci sono soltanto i ricordi di un’infanzia così preziosa e legata alla nascita di una cinematografia che ancora oggi fa scuola.

Enrico Vanzina parla dei suoi film e della folta schiera di attori, italiani e internazionali, con cui ha lavorato e per i quali si dice contento di aver lanciato, e in alcuni casi ri-lanciato o re-inventato.

E’ soprattutto fierissimo di continuare a fare quello che aveva fatto suo padre.

Eccezziunale Veramente (1982) fu un film fatto contro ogni previsione, perché si diceva che i film sul calcio non si potessero fare, e invece si rivelò un successo che non soltanto consacrò Diego Abatantuono nel panorama attoriale dell’epoca, ma diventò un film cult per le generazioni successive.

Con Sapore di Mare (1983) lancia Christian De Sica e rilancia Virna Lisi: se il primo era considerato negato dai produttori, la seconda era, sempre secondo i produttori, troppo vecchia.

L’interpretazione di Virna Lisi le portò un David di Donatello e un Nastro D’Argento per la miglior attrice non protagonista e, nella scena finale, in uno sguardo che si scambia con una giovanissima Isabella Ferrari, crea continuità con la nuova generazione di attori.

La presenza di Isabella Ferrari gli era sembrata come quella di Catherine Spaak ne Il Sorpasso di Dino Risi.

E su Gigi Proietti conferma che “è il più bravo attore col quale ho lavorato”; così come ne apprezza uno dei suoi allievi più famosi, Enrico Brignano, e definisce Vincenzo Salemme una persona semplice, in quanto autore prima che attore (“perché gli attori sono complicati”) che insieme a Carlo Buccirosso formano una coppia “spettacolare”.

I registi

E se parla con una tenerezza nei confronti dei tanti attori che hanno lavorato nei suoi film, lancia invece una stoccata ad alcuni registi, che “devono mettersi da parte e non fare i megalomani, il cinema è di tutti i talenti che mettono un tassello a un lavoro collettivo”.

I produttori

Dino De Laurentiis finanziò Steno, Leo Longanesi e Mario Soldati durante la guerra.

E continuò a farlo dopo, producendo i loro film. “Mancano quelli come lui, come Carlo Ponti, Franco Cristaldi” quei produttori cinematografici che, al contrario dei manager di oggi, devono farsi affascinare dall’idea e produrla, accompagnati dallo stupore di uno spettatore bambino.

Il ruolo della critica

E cosa rimprovera Enrico Vanzina ai critici che hanno mostrato un’ ostilità preventiva nei confronti dei loro film?

All’inizio ci amavano. Abbiamo avuto successo troppo presto e questo ha dato fastidio.”

Sono almeno due gli aspetti che secondo Vanzina hanno contribuito a creare una sorta di ostilità da parte della critica e di un certo pubblico.

Primo fra tutti il pregiudizio ideologico che in Italia c’è sempre stato intorno al contenuto e alla forma: se si parla di un argomento alto, allora si tratta di un film alto.

E aggiunge “Quando abbiamo fatto film come Via Montenapoleone (1986), Yuppies (1986) o Sotto il vestito niente (1985), si pensava che fossimo i cantori un genere. In realtà lo scopo era quello di raccontare la realtà contemporanea con la quale i critici non hanno mai avuto sintonia.”

Il critico deve spingere chi fa cinema popolare ad alzare un po’ il tiro e spiegare a chi fa un cinema presuntuoso a renderlo un po’ più popolare”.

E ribadisce ancora una volta che non esiste distinzione tra film di genere e film d’autore, il cinema è una sola lingua comune.

L’ispirazione  

Il sodalizio con il fratello Carlo è una specie di “ristorante a conduzione familiare”, Enrico scrive e monta e Carlo dirige.

La sceneggiatura in un film è la base di tutto ed è importante captare idee dalla vita di tutti i giorni, bisogna vivere la vita cercando di capire il modo in cui la gente parla, andare al mercato la mattina presto (come faceva Alberto Lattuada) e non rinchiudersi dietro la figura di intellettuale.

Enrico Vanzina ricorda Paolo Villaggio

E a proposito di intellettuali, la conclusione dell’incontro è dedicata all’artista genovese recentemente scomparso.

Paolo è stato sommo. Non è un attore di commedia, è un comico alla Jerry Lewis, alla Stanlio e Ollio; come loro faceva comicità gestuale e di linguaggio che non aveva nulla della commedia all’italiana.”

Paolo Villaggio era prima di tutto un intellettuale finissimo che riusciva a mettere alla berlina un certo radicalismo molto in voga, come fece nella scena de La corazzata Kotiomkin ispirata parodisticamente al film sovietico, La corazzata Potëmkin.

E sulla paura di morire, che Paolo Villaggio aveva da sempre e aveva fatto di tutto per esorcizzare, Enrico Vanzina ci lascia con un suo ricordo personale. Aveva circa diciotto anni e aveva deciso di fare lo sceneggiatore e chiese a Ennio FlaianoA cosa serve scrivere?” e la risposta fu “A sconfiggere la morte”.

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