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Taxidrivers Magazine

Chi ha paura della realtà virtuale?

Quest’anno al Festival di Cannes, nella sezione Next, c’è un’enorme presenza di VR films o experiences (c’è anche Alejandro Gonzales Inarritu con un documentario che fa vivere allo spettatore l’esperienza della frontiera tra Messico e Stati Uniti). Tra le varie opere selezionate ci sono anche quelle del nostro Gianluigi Perrone, il quale è tornato a far parlare di sé con Dogma VR, un manifesto per un nuovo cinema

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Quest’anno al Festival di Cannes, nella sezione Next, c’è un’enorme presenza di VR films o experiences, con conferenze, cinema, sales (c’è anche  Alejandro Gonzales Inarritu con un documentario che fa vivere allo spettatore l’esperienza della frontiera tra Messico e Stati Uniti), segno che le nuove tecnologie raccolgono sempre più consenso e interesse. Tra le varie opere selezionate ci sono anche quelle del nostro Gianluigi Perrone, il quale è tornato a far parlare di sé con Dogma VR, un manifesto per un nuovo cinema (che rievoca senza dubbio quello che rese celebre Lars Von Trier) in cui la realtà virtuale costituisce l’inedita modalità attraverso cui fare un’esperienza totalmente altra di fruizione. I due film, realizzati e prodotti per il Polyhedron VR Studio, Come Closer e The 7th night of Telema, testimoniano, seppur in forma ancora embrionale (le nuove tecnologie necessitano di un ulteriore sviluppo), quanto possa essere modificato il rapporto che normalmente si intrattiene con un’opera, con un film, e, più in generale con l’oggetto. Ciò che viene messo in crisi è il concetto di soggetto, il quale, convocato, attraverso la “sospensione di incredulità”, ad immergersi nell’opera di cui diviene esso stesso personaggio, trasforma sensibilmente il proprio rapporto con l’esterno, che non viene più percepito come un’alterità da conquistare, da fare propria, ma in cui sprofondare, aprendo, in tal modo, un orizzonte completamente diverso su cui posare lo sguardo. Decade impietosamente il rapporto dialettico con cui normalmente ci relazioniamo alla realtà, in favore dell’emersione di un piano di immanenza che agevola un movimento che, finalmente, può scorrere senza trovare attriti: l’esperienza della realtà virtuale sospende, quindi, la percezione ordinaria dello spazio e del tempo, facendo accedere a una durata attraverso cui sottrarsi, finalmente, agli angusti limiti imposti dalla rappresentazione.

Il montaggio, che ha sempre costituito l’essenza del cinema (cfr Empirismo Eretico di Pier Paolo Pasolini), generandosi a partire da una ‘morte’ che permettere a posteriori di conferire senso a quanto è accaduto in passato, cede il passo a una sorta di infinito piano sequenza (che spazia in tutte le direzioni), e allora non si tratta più di orientare l’esistenza a partire dallo spettro della finitezza (un tragico futuro che incombe), piuttosto viene dilatato a dismisura il presente, l’istante, passando in tal modo dalla iattura del tempo Kronos (cronologico) a quello Aion (degli Stoici); non c’è più Storia, l’ordine simbolico si liquefa, si retrocede dalla rappresentazione alla presentazione, e si soggiorna all’interno di un punto cieco, di una piega; il senso svanisce, ovvero coincide con un’azione che essendo perennemente in atto (viene a decadere in tal modo l’annosa questione della differenza tra atto e potenza) contiene già da sempre in sé ciò che normalmente viene percepito come qualcosa da ricercare o, nel migliore dei casi, con cui connettersi. Non c’è più, a rigore, un potere dell’autore, laddove chi fruisce ha un ruolo decisivo nel movimento di perfezionamento della realizzazione di un’opera, giacché senza di esso, non solo verrebbe a mancare lo sguardo che, come lamentava Leos Carax nel recente Holy Motors, registra la bellezza, ma non ci sarebbe alcunché a cui relazionarsi. L’opera in tal modo diviene il prodotto di un processo comunitario che spossessa l’autore, lo detronizza, facendolo svanire. In questo senso, la realtà virtuale costituisce la realizzazione di quell’ideale di democrazia invano tentato nel mondo reale. Non bisogna, a parere dello scrivente, temere gli effetti alienanti che queste nuove forme di fruizione, secondo qualcuno (molti), potrebbero produrre: un simile atteggiamento rivela solo un nostalgia del passato che, l’esperienza l’ha ormai chiaramente mostrato, non è utile ad affrontare le sfide del presente. Bisogna, semmai, rilanciare, non lamentarsi cioè della velocità del progresso tecnologico, piuttosto sperare che proceda ancor più celermente, in modo da arginare e risolvere quei problemi che oggi sembrano esserne la diretta conseguenza.

Le forme di sperimentazione, come Come Closer e The 7th night of Telema, costituiscono, allora, oggi, l’origine di uno straordinario movimento che non solo non deve essere fermato, ostacolato, ma agevolato, intensificato, portato alle sue estreme conseguenze, fidando in un processo di liberazione che davvero consenta di riformulare completamente la soggettività contemporanea, aprendo nuovi ed entusiasmanti orizzonti di comprensione.

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Luca Biscontini

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