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Interviews

Intervista a Gianluigi Perrone, regista di Love hurts, frutto della A.I

Un corto ambientato in un ring con dei pugili e una donna che attendono di incrociare i guantoni

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Il corto

Love hurts, per la regia di Gianluigi Perrone, mostra dei pugili e una donna, disposti in circolo. Gli atleti, dotati di guantoni e maglietta gialla, scaldano i muscoli e scaricano rabbia e tensione, colpendo dei sacchi da boxe e guardandosi torvi negli occhi. Un arbitro, sullo sfondo, osserva silenzioso. É tutto pronto per la grande sfida. É un lampo e gli uomini franano a terra, magicamente, come birilli. A trionfare é la donna che alza le braccia al cielo, in segno di vittoria. Un corto dove prevale il giallo, ricco di primissimi piani e di un paio di riprese dall’alto. I dialoghi sono scarni, ma la tensione si taglia a fette.

L’intervista al regista

Sei un regista e un critico cinematografico. Perché un corto con AI?

Molto banalmente, mi é stato commissionato. Sono nell’industria dell’audiovisivo da vent’anni e in Cina da dieci. Ho appena finito un lungometraggio intitolato Spillover ma, a cavallo della post-produzione, ho lavorato con una compagnia cinese per dirigere un videogioco per cellulare, Figure Fantasy. L’executive di questa compagnia era al corrente della mia compagnia di realtà virtuale (www.polyhedronvrstudio.com) e mi ha chiesto se fossi in grado di realizzare un piccolo corto tutto in AI perché conosceva una casa di produzione che era interessata. Con Polyhedron avevamo iniziato a lavorare con l’intelligenza artificiale su un  modello di linguaggio connesso al visore VR già nel 2018, e esplorare anche questo linguaggio mi incuriosiva.

Quali difficoltà hai incontrato?

Da un lato, la tecnologia non è ancora pronta per realizzare un film di animazione fotorealistico, come si può anche vedere da Love Hurts, ma lo sarà molto presto. Questo però rischia di ingenerare quella che viene definita “curva di disillusione”, ovvero che le produzioni, che spesso sono in mano a gente che non capisce nulla né di tecnologia né di storytelling, non vedendo il risultato immediato, mollino. É successa la stessa cosa con la realtà virtuale, ma in questo caso é un errore perché la velocità di sviluppo del machine learning sta crescendo così esponenzialmente che non è un’esagerazione parlare di nuova rivoluzione tecnologica. Ad oggi esistono già tool che sono in grado di risolvere in pochi giorni ciò che fino a poche settimane fa richiedeva mesi. E chi aspetterà di capire rimarrà indietro. Ho la sensazione che andiamo incontro non solo a un nuovo divario economico della popolazione, ma anche di conoscenza tecnologica. L’Italia rischia di isolarsi in un medioevo tardo – tecnologico, come una corsa tra uno che va in moto e uno che va a piedi. Qui in Cina, nonostante la popolazione abbia un livello medio di istruzione bassissimo rispetto all’Europa, la dimestichezza con le tecnologie é superiore anche agli Stati Uniti.

Cosa volevi raccontare? Di fatto non ci sino combattimenti e, come un thriller,  regna l’attesa di quello che dovrebbe succedere…

In questo caso, devo essere onesto, il mio focus era capire come raccontare con questa tool. Quindi l’idea é nata casualmente. Ero in palestra e stavo facendo pugilato. Ho dei guantoni gialli anche io, come i protagonisti, e ho pensato che se avessi usato i guantoni avrei ovviato a uno dei problemi noti delle tool immagini di machine learning, ovvero le dita delle mani, che spesso vengono fuori sbagliate. In realtà sulle immagini statiche ho trovato una tool che risolve il problema, ma il pugilato, come metafora del rapporto di coppia, mi sembrava una chiave di lettura interessante. É strano vedere un incontro di pugilato tra un uomo e una donna, no? E la seduzione, lo studio dell’altro, l’aggressività, il controllo, fanno parte sia della disciplina del pugilato che del rapporto di coppia. Mi sembrava un’idea buona. L’uomo combatte a vuoto con la donna, come avviene nella realtà. Lo dedico a Mila, la mia compagna.

Sai che negli Usa, gli attori stanno scioperano contro l’utilizzo delle Majors della Ai. A riguardo che posizione hai?

Da settimane, sul mio canale Twitch e YouTube, Mind Cathedral, dove parlo anche di cinema, esoterismo e tecnologie, faccio interviste con amici, professionisti di Hollywood, per tenere il polso di questo sciopero.  La mia posizione é come Oppenheimer, che é la stessa di un mio film in VR, Destroy, in cui la protagonista dice “non puoi fermare il progresso tecnologico, puoi evolvere con esso. “Sia attori che sceneggiatori possono stare tranquilli che ci vorrà un bel po’ prima che vengano veramente rimpiazzati dalle tool. Secondo me, si devono preoccupare i tecnici dell’audio e alcune figure di post produzione, se non si aggiorneranno. Io nel mio ultimo lungometraggio ho scritto, girato come operato, montato e post – prodotto il film da me. Adesso sto studiando come AI Prompt Manager, che é una figura che unisce il supervisor di animazione, il regista e il montatore. Non tutti potranno farlo perché sono richieste delle conoscenze specifiche nell’audio visivo. La tool non basta. Non fa tutto da sola. Questo sciopero é un po’ mal organizzato. Io ho paura che si crei uno stigma contro chi Usa AI, visto che c’è questa aria di linciaggio in giro. Io sono un film-maker tradizionale e uno storytellers tradizionale, ma é da ottusi credere che la tecnologia non evolva. Quando i soliti criticheranno, chiederò se girano e montano in digitale o in pellicola.

La lunghezza del corto è dovuta alla complessità dell’operazione o a una scelta  registica?

A ciò che mi avevano chiesto, al tempo e al fatto che non volevo pagare la tool, quindi la sfida é stata farlo con solo i tentativi a disposizione del free trial. Adesso ho acquistato e il nuovo progetto sarà lungo.

Come credi verrà accolto Love hurts? Lo fai girare nei festival?

Credo che una mia fortuna sia non crearmi aspettative e focalizzarmi sul lavoro. Ora sono focalizzato sulla distribuzione del mio lungometraggio, che é un film realizzato in maniera classica, che tratta un tema molto importante come le conseguenze psicologiche della pandemia, che stanno portando a questa follia collettiva sotto gli occhi di tutti. Ho iniziato a lavorarci all’inizio della pandemia e mi sono reso conto di aver intuito tutto ciò che sarebbe successo a venire, inclusa la guerra. Love Hurts é un test, ma può aiutare a produrre il passo successivo con l’intelligenza artificiale. Ho trovato altre soluzioni che si adattano meglio a questo linguaggio e sto lavorando in quella direzione. Spero solo che il mio paese di origine metta da parte i doppi standard e mi dia la giusta esposizione. Con Andrea Biscaro e Matteo Stefani stiamo mettendo su una piattaforma dedicata.

Il futuro é nell’AI?

Come marxista dico che l’A.I sarà il futuro perché abbatte i costi di produzione, ma il cinema si nutre anche di altro…É sogno…

Vivo e lavoro da più di dieci anni in Cina, ho una compagna russa nata prima della caduta dell’Unione Sovietica. Sono stato invitato professionalmente due volte in Nord Corea dove mi hanno concesso dei privilegi straordinari rispetto ad altri ospiti stranieri. Mi sembra di poter dire che qualcosa del marxismo l’ho imparata sul campo, che piaccia o no. E ho capito anche cosa non è. Esiste un’idea ideologica, romantica e astratta che non ne identifica la natura strutturale, che é una blockchain. La tecnologia é una forma evolutiva che rende le cose più semplici all’uomo, é l’intenzione che fa la differenza. Per esempio, amo molto, da regista, dirigere gli attori e lavorare con loro sul personaggio. Ho avuto il privilegio di lavorare con attori dal background professionale e culturale totalmente diverso, non ultimo Jodorowsky, ma anche un lama tibetano, oltre che performer da tutto il mondo. Questo non scomparirà. Questa idea che prendi uno e gli fai fare Marlon Brando, solo perché gli metti la faccia, é un’idea bislacca dei CEO di Netflix, Amazon e Apple, che di arte non sanno nulla. Così ogni step della produzione creativa. Non ci scandalizziamo per l’evoluzione dell’animazione, né per The Irishman, in cui si fa sostanzialmente ciò per cui protestano ora. Quindi é evidente che il problema sia venale e non creativo. Io credo che il male nel cinema sia che ne abusa troppa gente che del cinema non gliene può fregare di meno.

 

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