«Personaggi senza radici alle prese con amore e solitudine. Corpi irrequieti e la vertigine della malinconia.»
Un neonato. Una sala di ospedale anonima. Un uomo che osserva la foto di una donna incinta mentre il suono di una canzone restituisce le parole nascoste. Capita di rado che un film sia in grado di rendere il complesso movimento costruito da un regista in anni di film. É questo il caso di Spillover, ultima fatica di Gianluigi Perrone, uno che il mondo lo conosce bene e lo racconta attraverso le immagini. Immerso in una luce a tratti polverosa, dove i colori la fanno da padrone, Spillover è l’audace cifra etica ed estetica del regista, autore anche della sceneggiatura. La sua opera più intima. Un film che merita attenzione per la sua capacità di mescolare tematiche attuali all’interno di un contesto inquietante, ma affascinante al contempo.
Nel cast: Xin Li, Shunhua Sing, Apryl Mei Reagan, Clara Morlino, Edoardo Sferrella, Giorgio Grasselli, Olga Achkasova, Francis Arcelus, Chen Bo.
La trama
Spillover si sviluppa intorno a un’epidemia globale che minaccia di distruggere l’ordine sociale e naturale delle cose. Un piccolo gruppo di persone, tra cui un medico, un ricercatore ambientale e una giovane attivista, si trova a dover affrontare la diffusione di una malattia proveniente da un virus di origine animale. Il virus viaggia rapidamente, attraverso i continenti, all’interno delle persone, portandone molte all’autodistruzione. L’infezione si propaga mentre il racconto esplora non solo l’emergenza sanitaria, ma anche le disastrose implicazioni sociali, politiche ed economiche che ne derivano. Pochi si innalzeranno a una nuova evoluzione spirituale.
Perrone va sotto la pelle del suo ultimo film per metterne in luce ossessioni e identità utilizzando un’atmosfera di crescente claustrofobia e ansia, che tiene lo spettatore in uno stato perenne di angoscia, senza però mai cedere alla bulimia del dolore. Il regista, noto per il suo approccio critico alla realtà contemporanea, ci porta in un mondo dove le problematiche globali si intrecciano con la vita quotidiana di persone comuni. Spillover è un film che unisce il dramma psicologico al thriller socio-politico. Il titolo stesso fa riferimento al concetto scientifico, ovvero la fuoriuscita di un virus da una specie “serbatoio”, in cui circola, verso una nuova specie “ospite” in cui può morire oppure adattarsi fino a innescare epidemie. E, nel film, assume il valore di metafora mettendo in luce quelle che sono le conseguenze imprevedibili delle azioni dell’uomo su un mondo sempre più fragile dove tutto appare fuori controllo. Rispecchia le lotte mentali dell’umanità di fronte a questo enorme cambiamento, che porta a una evoluzione solo per alcuni diventando il viaggio spirituale di quelli che ce l’hanno fatta, che sono adesso i nuovi umani.

Colori e desolazione
La fotografia enfatizza i contrasti tra la bellezza della natura e la desolazione dei luoghi in cui si svolgono gli eventi. Non serve solo a raccontare la storia visivamente, ma contribuisce a rafforzare il tema centrale del film: l’interconnessione tra l’umanità e il mondo, e la distruzione che l’umanità porta su entrambi. Un approccio a tratti documentaristico che mira a rendere realistico e tangibile l’impatto di un evento catastrofico. La struttura narrativa del film è basata sul concetto di archetipi, una sorta di mosaico dove la figura centrale diventa l’infante, simbolo di nascita ma anche di speranza.
La scelta di un ritmo cadenzato, a tratti lento e riflessivo, con un linguaggio simile a quello della comunicazione asiatica, fa sì che lo spettatore si senta immerso nell’angoscia e nella disperazione dei personaggi. La musica, assolutamente studiata, minimalista e a tratti persino claustrofobica, contribuisce a creare l’atmosfera di ansia e incertezza, aumentando quel senso di angoscia che permea tutto il film.

Spillover vanta inoltre un cast di attori multietnico. Scelta fatta non effettuata a caso, in quanto l’obiettivo del regista è stato quello di raccontare il diverso approccio alla pandemia nei tre diversi continenti (Cina, Italia, Stati Uniti), in cui si sviluppa la storia. Le interpretazioni appaiono intense e credibili. I personaggi, in alcuni momenti quasi caricaturali, vengono esplorati in profondità restituendo così un contesto reale, uno spaccato di mondo crudo e a tratti doloroso. La sceneggiatura, pur non risparmiando momenti di tristezza e desolazione, lascia intravedere sprazzi di speranza e resistenza umana, senza mai cadere nel melodrammatico. Perché la speranza vuole essere il messaggio del film.
Esoterismo e spiritualità
Stiamo parlando di un film che è anche molto spirituale. C’è un esoterismo tradizionale in Spillover. Possiamo scorgerlo nei simboli, nelle maschere, nelle parole e nella struttura stessa. Il suo obiettivo è quello di poter operare una sorta di guarigione mentale. Non a caso l’idea alla base del film è l’antico animismo. É una storia per le persone che amano il buddismo e la filosofia.
Spillover non si limita a descrivere la tragedia, ma pone domande su questioni mai definitivamente risolte. Si tratta di una vera e propria riflessione sulla fragilità umana e sull’imminente minaccia di una crisi globale, la capacità di resistenza e speranza in un contesto apparentemente senza via d’uscita. É un’ opera stimolante che parla di oggi, ma che guarda anche al domani con un senso di urgenza che non lascia indifferenti.

Leggi anche l’intervista al regista di Spillover, Gianluigi Perrone