Michel Hazanavicius, dopo aver rivisitato pessimamente il cinema muto nel semplicistico e superficiale The Artist (2011), con Le Redoutable propone un personalissimo e disturbante confronto con una delle personalità più difficili da tratteggiare: Jean-Luc Godard.
Le Redoutable è una pellicola assolutamente presuntuosa. Presuntuosa l’idea di andare a toccare una sorta di mito intellettuale e cinematografico attraverso i ricordi di una ex moglie. E soprattutto presuntuoso per un regista con pochi lungometraggi alle spalle, di sicuro non geniale e talentuoso, andarsi a confrontare sullo stesso terreno (cinematografico) con una figura indubbiamente rivoluzionaria.
Le Redoutable la storia
A comporre questa farsa, Louis Garrel, in una clamorosa caduta interpretativa. Ad illuminare l’‘ardito’ regista il libro Un anne après della ex moglie di Godard, Anne Wiazemsky, racconto della storia d’amore dell’allora 19enne Anne, giovane studentessa dell’alta borghesia francese, nipote del celebre scrittore François Mauriac, debuttante nel cinema con la perla bressoniana Au hasard Balthazar (1967), che all’alba del 1968, si innamora e sposa Godard, di 20 anni più grande, protagonista del suo La Chinoise (1967). Questa la partenza della pellicola, nella quale Hazanavicius, fautore di una estetica della superficie, sceglie l’attrice più adatta a tale fascinazione: Stace Martin, la musa che Lars Von Trier ha illuminato dentro Nymphomaniac (2014), ridotta da Hazanavicius a puro oggetto estetico. Ripresa in pose plastiche da autentica cerbiatta: dal volto magnifico allo splendido corpo scoperto a strati e gradi, sovente nudo.
Ironia paradossale
L’amore tra Jean-Luc ed Anne si fa misura dell’evoluzione cinematografica e concettuale di Godard, nel suo periodo creativamente florido in cui raccoglie consensi e devozioni. L’incomprensione del pubblico verso La Chinoise, getta Godard in una crisi individuale che si unisce a quella sociale del ‘68: Jean-Luc rifiuta il concetto di regista artista per assumere su di sè quello di artista maoista, creando un buco nero che lo isola dal mondo sociale, artistico ed intellettuale. La sua ‘autodistruzione’ fagociterà anche l’amore con Anne. L’ironia apparentemente paradossale da cui è pervaso Le Redoutable, collante nel libro-fonte e fortunoso espediente concesso ad Hazanavicius per prendere le distanze da una personalità complessa, travagliata, indefinibile fino in fondo quale Godard, svela fotogramma dopo fotogramma, e parallelamente alla crisi di Jean-Luc, un ritratto al limite della macchiettistica: vera e propria presa per i fondelli di uno dei simboli della Nouvelle Vague, del cinema, della cultura, del ’68 nella sua azione e nel suo pensiero. Anche visivamente le scene della protesta sono girate con un lassismo, un’improvvisazione così lontane dalla posticcia eleganza di tono e registro con cui il regista assembla ambienti, situazioni, ammorbidisce musicalmente le atmosfere, in un naïf fine a se stesso.
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Jean-Luc Godard e la rivoluzione del linguaggio. Un regista di culto