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Interviews

Intervista a Diletta Di Nicolantonio su ‘Ciao Varsavia’ e l’Est Europa

La regista classe '97 racconta il suo cinema fatto di architetture sovietiche, lenti russe e ferite aperte. Tra l'eredità pittorica paterna e il confronto con i maestri polacchi, un viaggio intimo dentro i disturbi alimentari e lo sguardo predatorio della società.

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Diletta Di Nicolantonio classe 1997 ha un percorso tutt’altro che lineare. Nasce videomaker, si forma sui set internazionali e trova la sua voce lontano da casa. Prima c’è stato Lukiskes, girato in Lituania, un assaggio di un cinema interessato alle crepe emotive e alle relazioni sbilanciate. Ora, con Ciao Varsavia, compie il suo salto definitivo.

Presentato ad Alice nella Città, dove ha vinto il Premio Andromeda Film (un riconoscimento concreto che guarda già al suo futuro lungometraggio), il corto non usa Varsavia come semplice fondale, ma come cassa di risonanza emotiva. Diletta Di Nicolantonio non filma solo il dolore di Diana, una giovane donna che cerca di ricucire il rapporto con il proprio corpo, bensì la sua trasformazione. È un cinema che sa di pellicola, di freddo e di una “malinconia familiare”, in cui l’Est Europa smette di essere esotismo per diventare casa. L’opera non si ferma a Roma, infatti il 6 dicembre verrà proiettata a Varsavia. Abbiamo dunque intervistato la regista per capire cosa si nasconde dietro quello sguardo che scruta le cicatrici.

Origini, Est Europa e identità: lo sguardo di Diletta Di Nicolantonio

Dopo Lukiskes, girato in Lituania, sei tornata a Est con Ciao Varsavia. L’Europa dell’Est per te non sembra solo un set, ma quasi uno stato d’animo. Cosa trovi in quei luoghi che l’Italia non ti dà? È una ricerca delle tue origini italo-croate o c’è un’atmosfera che risuona con il tuo mondo interiore?

Sicuramente le mie origini croate hanno influenzato il modo in cui guardo e vivo l’Europa dell’Est. Sono sempre stata molto attratta dall’architettura sovietica, da quei posti che portano addosso una malinconia particolare. La Lituania, la Polonia e recentemente la Moldavia per il mio lungometraggio: sono luoghi che sento “dentro”, che mi riportano a una malinconia che riconosco come mia.

È un po’ come dice il mio psicologo: mi piace crogiolarmi nella malinconia e in un certo tipo di dolore. È uno stato in cui mi sento paradossalmente a casa. So che è una risposta un po’ personale, ma è la verità.

C’è un regista oppure un film che ti hanno colpita particolarmente?

Sicuramente Kieslowski. La doppia vita di Veronica, il Decalogo. Trovo che questo dualismo dei personaggi sia meraviglioso. Prima di trasferirmi a Varsavia sono andata a vedere i luoghi dove aveva girato: avevo una curiosità enorme di assaporare veramente quei luoghi dal vivo. Anche se sono cambiati molto purtroppo. Però trovo che rimane sempre di fondo questa malinconia presente anche nell’architettura. Alla fine ti ho citato solo Kieslowski che è polacco.

In gara ad Alice nella Città, 'Ciao Varsavia' è il cortometraggio di Diletta Di Nicolantonio sulle fragilità di una giovane donna

Direi che è molto a tema se consideriamo che è di Varsavia. Parlando di film, ho sentito una risonanza tra Ciao Varsavia e Toxic di Saulė Bliuvaitė, film lituano premiato tra Trieste e Locarno.

Sì, certo. L’ho adorato. L’ho visto dopo aver girato Ciao Varsavia. Me l’aveva nominato Sara Serraiocco, che era in giuria a Locarno. È un film fortissimo, e si sente molto l’impronta dell’Est: la regista è di Vilnius, e quell’ambiente ha un fascino unico. Girato in Italia sarebbe stato tutt’altro film.

Però Ciao Varsavia va in un’altra direzione: qualche somiglianza con Toxic c’è, ma tocchiamo anche altri temi. E secondo me nel mio film c’è pure una nostalgia dell’Italia che attraversa tutto.

La somiglianza che avevo notato era proprio il fatto che troviamo una sorta di nuova onda riguardo l’estetica della mercificazione del corpo femminile. Ciò mi ha molto colpita, diciamo. Poi ovviamente i percorsi sono totalmente diversi.

Sì, esatto. Per fortuna che se ne comincia a parlare un po’ di più.

La costruzione di Diana e il corpo femminile

Oltre alla regia, hai curato la sceneggiatura in Ciao Varsavia. Per costruire Diana interpretata da Carlotta Gamba, quanto hai attinto a un tuo vissuto o a quello di persone vicine a te, e quanto invece è stato un lavoro di ricerca esterna?

In realtà quasi tutta ricerca interna. Venivo da corti commissionati, in cui cercavo di essere più politicamente corretta e professionale. Con Ciao Varsavia ho deciso di mettermi davvero in gioco: non solo affrontando il tema del disturbo alimentare. Volevo andare oltre. Sì, ho sofferto di bulimia per tanti anni. Ma ciò che volevo raccontare era anche la solitudine di Diana.

Mi interessava raccontare un trauma che non fosse “solo” il disturbo alimentare, perché la bulimia non è quasi mai il problema principale: è un effetto collaterale di qualcosa di molto più profondo. Io ho avuto un’infanzia turbolenta, e quella sensazione di solitudine la conosco bene. Nel film c’è anche l’abuso di potere, e tanti dettagli che toccano dolori veri. Era importante parlarne con delicatezza ma senza filtri, in modo autentico.

C’è una scena che mi ha colpita molto. Si tratta della scena del corridoio prima dell’audizione, dove vediamo tutte quelle donne in intimo in attesa. Successivamente la macchina da presa attraverso gli occhi di chi giudica scruta Diana per trovare un difetto. Infatti, subito dopo vediamo il dettaglio della cicatrice sul braccio di Diana. Volevi mostrare come il sistema cerchi il difetto prima ancora del talento? E come hai lavorato su quella sequenza per renderla così soffocante?

Parto da una cosa: la scena è ambientata nel mondo della moda, ma non perché io sia interessata alla moda in sé. Era un contesto che mi permetteva di parlare del giudizio sul corpo delle donne, che viviamo ogni giorno, ovviamente anche chi non è attrice o modella. Diana non è una modella, infatti.

Le cicatrici sul braccio sono un punto chiave: rappresentano ciò che l’occhio maschile nota subito, prima ancora del talento. C’è qualcosa di carnale, quasi animale, nello sguardo dell’uomo che la osserva. Non voglio essere accanita con gli uomini, non è il mio punto, ma tante ragazze più vulnerabili diventano prede perfette. Se incontri le persone giuste ti salvano; se incontri quelle sbagliate usano le tue fragilità a proprio vantaggio. Mi interessava mostrare tutto questo in modo schietto, realistico.

Lo sguardo pittorico e l’eredità del padre artista di Diletta Di Nicolantonio

Passiamo poi alla palette e all’atmosfera utilizzata in Ciao Varsavia. So che tuo padre è un pittore e, guardando i tuoi lavori, sembra che tu abbia ereditato un occhio molto specifico per la composizione e il colore. Il film segue delle tonalità fredde precise. Quanto l’arte di tuo padre ha educato il tuo sguardo registico?

Intanto devo ringraziare tantissimo Matteo Cocco, il direttore della fotografia: è stato straordinario. Abbiamo girato in pellicola, con lenti russe particolari, e le location già facevano metà del lavoro.

Mio padre fa arte moderna, molto pop art. Da piccola ho passato con lui anni interi a dipingere, anche perché in certi periodi non ho frequentato la scuola. Più che una questione tecnica, credo mi abbia insegnato a canalizzare il dolore nell’arte. Lui è diventato dal nulla un pittore e mi ha trasmesso questa energia, questa speranza che anche con l’arte si può vivere bene e che veramente può essere una terapia quotidiana.

Sono totalmente d’accordo. Alla fine poi riesci anche a buttare tra virgolette fuori quello che hai dentro e successivamente elaborarlo meglio. Oltre che vederlo da un’altra prospettiva. Non riusciamo sempre a vederci dentro finché non esprimiamo il tutto. Mentre per quanto riguarda lo sguardo pittorico cosa pensi di aver ereditato?

Quanto allo sguardo pittorico, penso sia qualcosa che hai dentro: il gusto dell’immagine, degli establishing lenti, delle inquadrature fisse, che possiamo considerare anche un po’ “quadri”. A volte possono sembrare noiose, ma sono parte del mio modo di guardare il mondo. Vedere appunto queste inquadrature fisse.

Società bulimica e disturbi alimentari: uno sguardo oltre il sintomo

Prima mi stavi citando il fatto che gli altri corti che hai girato erano più su commissione rispetto a Ciao Varsavia. Quindi lo consideri un po’ il primo corto che parla più di te rispetto agli altri? Cosa è cambiato poi nella modalità registica?

Sì. È nato per parlare dei disturbi alimentari, ma poi ho lasciato che il film prendesse vita davvero. Mi rispecchia completamente: vivo a Varsavia da due anni, ci sono molte cose intime sedimentate dentro. Però anche Lukiskes mi appartiene: lì c’è il rapporto tra una guardia carceraria e un detenuto, un tema diverso ma che tocca comunque il disagio psichico. Sono toni che mi vengono naturali e che racconto con più facilità rispetto a una commedia.

Tra l’altro i disturbi alimentari come la bulimia sono anche la conseguenza di un problema della società.

Sì, è anche un paradosso tra l’altro. Viviamo in una società bulimica. Fra consumismo, social, l’idea del “non basta mai”. È un paradosso: il sintomo individuale rispecchia un problema collettivo. Quindi è anche un tema più profondo rispetto al cibo e basta.

L’ultima scena del film voleva proprio dire proprio questo: la protagonista forse ha “raggiunto un obiettivo”, ma si risveglia in un appartamento bellissimo e vuoto. Quel vuoto esterno è il suo vuoto interiore. Guardando fuori, forse lì può esserci una rinascita, ma non è salendo ai piani alti che si risolve il dolore. Però era importante far capire che molte volte le ambizioni che magari ci propongono i social o la nostra società non sono davvero la risposta allo star bene.

Il futuro di Diletta Di Nicolantonio

Quale sarà la prossima tappa per Ciao Varsavia?

Sabato 6 ci sarà la proiezione di Ciao Varsavia in polacco a Kino Cultura. Su Instagram si trova anche un post a riguardo. Devo dire che sono molto entusiasta di condividere il lavoro anche con la troupe polacca.

Per concludere, so che stai lavorando alla scrittura del tuo primo lungometraggio. Continuerai questa esplorazione geografica ed emotiva nell’Est Europa? Cosa possiamo aspettarci?

Avendo vinto il Premio Andromeda, il soggetto parte da Ciao Varsavia. È ancora uno sguardo femminile, una storia di una ragazza in bilico, tra fragilità e marginalità. Non voglio spoilerare troppo, ma resterò nell’Europa dell’Est. Esploro e continuo a esplorare ancora.