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‘Tre colori – Film rosso’, l’inno alla fratellanza di Kieślowski

Con uno spazio di diritto nel canone dei migliori film della storia del cinema, il regista polacco eleva a stato di grazia l'incontro anomalo e rarefatto tra un giudice in pensione e una modella, nei recessi del caso e alle soglie della morte e del destino

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Tre colori – Film rosso (1994), l’ultimo film di Krzysztof Kieślowski, scomparso troppo prematuramente nel 1996 a 54 anni, è anche la chiusura della trilogia ispirata agli ideali della Rivoluzione francese, preceduta da Tre coloriFilm blu e Film bianco: un corpus stilisticamente compatto che esplora qui, con le virtù drammaturgiche proprie dell’autore e del suo fidato sceneggiatore Krzysztof Piesiewicz, il tema della fratellanza, associato da Kieślowski, con una licenza poetica, alle tonalità purpuree.

Ma Film rosso non è solo l’involontario canto del cigno di una carriera maiuscola che comprende Decalogo e La doppia vita di Veronica; i suoi meriti così emotivamente manifesti e vibranti ottennero il plauso pressoché unanime fin dalla sua presenza in concorso a Cannes (dove sorprendentemente non entrò nel palmarès), aprendo un varco ricettivo ancora più trasversale, fino alle tre candidature agli Oscar 1995, dopo che l’autore aveva trionfato nel panorama festivaliero con il Leone d’oro per Film blu e con l’Orso d’argento a Berlino per Film bianco.

Intorno agli ingranaggi imperscrutabili dell’esistenza, che concede e toglie al contempo, che procede per ritorni e variazioni, si muovano due interpreti dal magico magnetismo che è essenza di talento e di verità: un tenebroso Jean-Louis Trintignant e la radiosa Irène Jacob.

La fratellanza mai caduca

Come si presenta al pubblico oggi Tre colori – Film rosso?  Proclamato già come un capolavoro dalla più autorevole critica internazionale nel 1994, a distanza di più di trent’anni dalla sua uscita, il film di Kieślowski ha resistito alla prova del tempo, senza che qualsivoglia pratica di storicizzazione possa scalfire il suo imperituro e ammaliante dialogo su Dio e sulla responsabilità individuale, sugli incastri del caso e sulla mano invisibile del destino, sull’amicizia e sull’amore. Perché Kieślowski ha saputo ritrarre con i due protagonisti così agli antipodi la più improbabile, pura e toccante amicizia amorosa della storia del cinema.

Nella fotografia curata da Piotr Sobociński (nominato agli Oscar) rifulge ovviamente la tavolozza cromatica virata verso un rosso caldo e autunnale che ammanta l’evoluzione della conoscenza tra Valentine, giovane e altruista studentessa e modella, e l’anziano Joseph Kern (Jean-Louis Trintignant), disincantato e asociale giudice in pensione dall’animo ferito da tempo. Un fil rouge, appunto, tra i due, annodato da un incidente fortuito dove è rimasto lievemente ferito il cane di lui, che Valentine riporta al suo padrone, recluso nella sua villa nella periferia di Ginevra e intento a intercettare illegalmente le conversazioni telefoniche dei vicini.

La maestria che soffia umanità

Senso di colpa e pietà, fratellanza e perdono, legge e necessità, clausura e apertura al mondo scorrono, si intersecano e si intensificano nei confronti diretti tra i due, acquisiscono verità di rara naturalezza e intensità nei primi piani di Trintignant e Jacob, nei loro sguardi reciproci in un gioco individuale dove a vincere saranno entrambi, forse per una provvidenziale manovra del fato o forse per l’intervento di un’entità tutta terrena, ma sempre nella luce carezzevole di un amore mai nato quarant’anni prima, che ora li lega entrambi, nella fede laica delle potenzialità infinite che la vita può schiudere. Perché, per il regista polacco, l’amore è prima di tutto com-passione verso l’altro.

La fotografia che nel suo manifesto visivo purpureo dirige un’orchestrazione estetica quietamente maestosa e conciliante; il montaggio ineccepibile che era per Kieślowski lo scalpello filmico per eccellenza, qui in grado di costruire traiettorie di sguardi, geometrie compositive, simbolismi che sublimano le biforcazioni interpretative; i movimenti di macchina da presa, che con iridescente fluidità animano gli oggetti con sensibilità spiccatamente polacca, accentuano le metafore metacinematografiche, donano materialità all’istanza narrante che è poi quella di un regista-demiurgo (Kern/Kieślowski stesso).

Ancora, il bilanciamento drammaturgico che con poesia e persino tenue ironia tesse parallelismi, rimandi, intrecci, rime esterne (con Film blu e Film bianco). Infine, tra gli altri innegabili meriti, la visione del mondo di Kieślowski, così laica e trascendentale allo stesso tempo, imbevuta di principi morali che sono poi la condizione imprescindibile per poter stare a mondo. Dove una stretta di mano o uno scambio di sguardi, parafrasando le parole dello psicoanalista Massimo Recalcati, sono gli squarci nel muro dell’individualità, per aprirsi alla relazione con l’altro, nella vertigine emozionante degli incontri possibili e talvolta salvifici che tendono una mano anche alla nostra confusa e assurda esistenza.

'Tre colori - Film rosso'

  • Anno: 1994
  • Durata: 100'
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Krzysztof Kieślowski