Presentato in concorso al Linea d’Ombra Film Festival, Volcelest, cortometraggio d’animazione del regista e designer francese Éric Briche, è stato proiettato nella sezione CortoEuropa_30, dedicata ai cortometraggi di fiction e animazione che indagano nuovi linguaggi e visioni del reale.
Un’opera questa che, già dal titolo, evoca la tensione fra istinto e sopravvivenza, fra il visibile e ciò che resta fuori campo.
In occasione della proiezione, abbiamo dialogato con il regista, che ha raccontato le intenzioni di questo suo lavoro. Un cortometraggio che riflette sulla bellezza imparziale della natura e sul fragile equilibrio di ogni forma di vita.
Clicca qui per il trailer del cortometraggio.
Volcelest, il realismo poetico di un ermellino in lotta per la sopravvivenza
«La natura è bella ma anche crudele. Ho voluto mostrarla nella sua realtà più naturalistica, anche nei suoi aspetti immorali»
Con Volcelest, il regista Éric Briche firma un cortometraggio d’animazione che unisce rigore naturalistico di stampo documentario a sensibilità poetica, restituendo alla rappresentazione del mondo animale un realismo raro quanto perturbante.

Il corto si ispira a un racconto dello scrittore francese Louis Pergaud, tratto dalla raccolta intitolata Da Goupil a Margot. Storie di animali con protagonista una faina. Qui il regista decide di sostituire alla faina originale un’ermellina, ben più piccola e agile predatrice, rendendola l’emblema del ciclo di una natura tanto fragile quanto crudele.
«È un animale dalle abitudini molto simili, e la sua piccola taglia (una ventina di centimetri) accentua la percezione degli spazi nei paesaggi, nei luoghi in cui si muove, e sottolinea il rapporto di dimensione con gli altri personaggi. Inoltre, è un animale che passa da un manto marrone a uno completamente bianco prima dell’inverno. Questo fenomeno di mimetismo è graficamente interessante e conferisce a questo predatore un’ulteriore “innocenza”. Infatti, il bianco è spesso associato alla purezza, all’innocenza, quindi alla preda; al contrario del nero, che rappresenta il male e il predatore»
Questo cambiamento, decisivo, va a simboleggiare la capacità di adattamento e la forza di questo animale che, nonostante appaia piccolo e inoffensivo, è capace di uno spirito adattivo in grado di trasformarlo da preda in predatore.
Volcelest, tra documentario e fiction
Il racconto spietato della natura, rappresentato con taglio documentario filtrato dallo sguardo di questa piccola ermellina, può essere definito un gesto quasi sovversivo, se si pensa a quanto l’animazione contemporanea abbia umanizzato gli animali, trasformandoli in metafora di sentimenti e morali.
In Volcelest, invece, nonostante siamo davanti a un corto d’animazione, l’animale resta animale che, per sopravvivere al rigido inverno, è costretto a fuggire dal suo mondo selvaggio per procacciarsi cibo, diventando allo stesso tempo colui che minaccia e che viene minacciato.
«L’antropomorfismo è spesso utilizzato per raccontare storie basate su animali. Io ho voluto fare l’opposto, mantenendo uno sguardo realistico su questo animale, pur rendendolo il protagonista»
In questo modo, è come se il regista strutturasse il cortometraggio su due livelli distinti. Un primo livello realizzato come un documentario realistico, che mostra la quotidiana lotta per la sopravvivenza in un ambiente montano ostile, in cui si scopre un animale poco conosciuto con le sue abitudini, e un secondo livello più vicino alla finzione, centrato sull’incontro tra l’animale e l’uomo, che a sua volta cerca di sopravvivere nello stesso ambiente isolato.
Come sottolinea il regista
«La transizione tra queste due parti avviene attraverso gli spostamenti dell’ermellina, che ci conducono progressivamente — e per necessità — dal mondo selvaggio alla fattoria dell’uomo»

Volcelest, la natura materica resa con la tecnica del carboncino
L’universo visivo di Volcelest è costruito su una tecnica che Briche conosce intimamente: inchiostro e carboncino su carta.
«L’universo della montagna innevata, le nebbie e le atmosfere notturne si prestano perfettamente al mio stile grafico»
L’integrazione del carboncino va ad accentuare, quindi, il realismo desiderato e immerge in modo più autentico lo spettatore nell’universo rappresentato.
«Penso che quanto più il tratto grafico è curato e sincero, tanto più lo spettatore si lascerà trasportare nella storia proposta, dimenticando che si tratta di un film d’animazione»
Il risultato, infatti, è un’animazione che non vuole incantare ma che diventa materica. In questo modo, Briche riesce a ricreare un ambiente immersivo per lo spettatore che dimentica di trovarsi davanti a un cortometraggio di animazione. Ogni tratto vibra, ogni sfumatura sembra dissolversi nel silenzio della rigida montagna. Non c’è colore, ma un’intera tavolozza di grigi che restituisce al paesaggio la sua fisicità, la sua densità rendendo la storia più reale.
Questa dimensione tattile e “imperfetta” diventa funzionale per far percepire maggiormente la fisicità di una natura che governa anche con crudezza il mondo, non solo animale, ma anche umano.

Volcelest, una natura bella e crudele
Il ritmo del corto è essenziale, scandito da respiri più che da eventi. Non c’è quasi colonna sonora, ma un paesaggio sonoro fatto di fruscii, di passi sulla neve, di silenzi che diventano narrazione. Il suono segue la logica dell’immagine: asciutto, organico, mai decorativo. Ogni rumore appartiene al mondo che mostra e ne amplifica la verità.
«La natura è bella ma anche crudele. Il riscaldamento climatico ce lo mostra regolarmente in questi ultimi tempi. Lo stesso vale per gli animali e per gli esseri umani che cercano di adattarsi per sopravvivere o per vivere meglio»
E poi arriva il finale. L’ermellina, dopo aver eluso il cacciatore, si crede salva. Ma un’ombra taglia il cielo e la cattura. È una poiana che, con ogni probabilità, farà del piccolo animale suo pasto.
«L’imparzialità è il tema di questo film, e ho voluto rappresentare la realtà di questa natura nel modo più naturalistico possibile, anche nei suoi aspetti immorali. Senza dimenticare il contesto fisiologico, che mostra come l’ambiente in cui vivono i protagonisti sia una delle ragioni dei loro comportamenti»
Volcelest, il senso ultimo della natura
In quell’attimo di sospensione, si concentra il senso ultimo di Volcelest. La natura non consola, non punisce, non redime. È imparziale, come la vita stessa.
Il regista non cerca di moralizzare la violenza, ma di restituirle il suo posto nel ciclo delle cose. Il suo si fa cinema della verità sensibile, dove la bellezza coincide con l’assenza di giudizio, dipingendo la natura nella sua realtà.
Alla fine resta il silenzio. Un silenzio pieno, vibrante, come quello di una montagna che non ha bisogno di spettatori per esistere. E in quel silenzio, tra la neve e il tratto nero del carboncino, Briche ci ricorda che la natura non ha morale, ma è ciclica e si basa sul principio dell’uccidere per nutrirsi. Sopravvivere per non essere uccisi.
