L’interessante cortometraggio Astronauta (2025) di Giorgio Giampà, é presentato in anteprima nella sezione Onde Corte – Panorama Italia di Alice nella Città (Roma).
Il cortometraggio è l’opera d’esordio alla regia di Giampà, già noto come produttore (nomination ai David di Donatello) e compositore (autore per Canneseries).
Il film è girato nella giungla del Guatemala e utilizza un cast di attori non professionisti, formati in un laboratorio condotto dallo stesso Giampà e da Graciela Villanueva, collaboratrice di registi come Alfonso Cuarón, Carlos Reygadas e Jayro Bustamante.
Accessibilità e inclusione al Festival di Roma e Alice nella città
Astronauta trama
Audely, 39 anni, è un taglialegna nella giungla guatemalteca; sua figlia Carol, 11 anni, sogna di entrare nella foresta. Quando il padre lo scopre, riflette e poi decide “di andare sulla luna”.
Un racconto che mescola quotidiano, desiderio e fuga immaginaria,  indicato come “prequel” di un futuro lungometraggio in sviluppo.
 Cosa funziona

L’ Ambientazione autentica e la partecipazione locale sono i veri punti di forza del corto.
Scegliere la giungla del Guatemala come scenario conferisce al film un’atmosfera di “altrove” reale: non è una mera scenografia, ma un contesto vivo e stratificato. L’uso di attori non professionisti e il laboratorio di formazione aggiungono verità e immedesimazione.
Questo approccio richiama pratiche ibride tra documentario e fiction, arricchendo l’opera di un’impronta reale e di partecipazione comunitaria.
Temi universali
E al tempo stesso specifici.
Il rapporto padre‑figlia, il sacrificio quotidiano, il desiderio di futuro: sono temi che parlano a tutti. Ma ambientati qui in una comunità di taglialegna nella giungla  assumono una dimensione culturale e sociale concreta che ne amplia la portata. Il sogno della luna – letterale o metaforico – diventa simbolo di fuga, speranza, ma anche di distanza e disconnessione.
Il film sembra “nascere da eventi biografici dei protagonisti per poi perdersi in una dimensione sospesa tra realtà e immaginazione”.
Questa commistione è molto stimolante: dà all’opera un aspetto poetico, al di là della semplice cronaca, aprendo al simbolico, al metaforico. La “luna” come meta irraggiungibile, come spazio dell’Altro, come sogno impossibile ma necessario.
La coproduzione tra Italia, Guatemala, Messico e Francia mostra ambizione e apertura.
Il fatto che il cortometraggio sia il prequel di un lungometraggio in sviluppo è inoltre segno che il progetto ha un orizzonte più ampio, e non si limita a creare “solo un corto”. Questo contesto ne valorizza la dimensione di laboratorio, di scommessa creativa.
Uno degli aspetti che può risultare problematico è la sovrapposizione di più livelli narrativi: il sociale (la durezza della vita nella giungla), il familiare, il metaforico (la luna). Per un cortometraggio – per sua natura breve – esiste il rischio che alcuni temi restino solo abbozzati, che la riflessione perda profondità in favore dell’atmosfera.
In altre parole: quanto è riuscito a reggere il film nel poco tempo la complessità che si propone?
 Tra realismo e simbolismo.
Sebbene l’unione realtà/fantasia sia uno dei punti di forza, è anche una linea sottile da attraversare: troppo realismo può impedire alla dimensione immaginifica di emergere; troppa astrazione rischia di far perdere concretezza e coinvolgimento emotivo. Se la figura del padre decide “di andare sulla luna”, bisogna che lo spettatore creda sia coerente con il mondo del film: se non è ben supportata, rischia di suonare come fuga forzata.
Produrre un film in Guatemala, con attori locali, è senz’altro positivo. Ma sempre esiste la domanda: come viene gestito lo sguardo su questa comunità? Il film assume la voce dei protagonisti o la voce occidentale di chi racconta? Il rischio è che diventi “rappresentazione di un altrove” più che “ esperienza vera.
Il coinvolgimento locale e l’uso di attori non professionisti sono indizi in senso positivo, ma resta da valutare se il film evita i cliché, se restituisce la complessità culturale, o se rimane in superficie.
Essendo un corto resta la questione della circolazione: quanto potrà oltrepassare la cerchia festivaliera per raggiungere un pubblico più ampio? Il fatto che sia prequel di un lungometraggio aiuta, ma è una sfida. La sfida per l’opera “ibrida” – tra documentario e fiction – è spesso l’essere riconosciuta e valorizzata.
Inoltre, la co‑produzione internazionale implica molte sfide logistiche, linguistiche, culturali: non sempre queste si riflettono pienamente sullo schermo, e talvolta si percepiscono disomogeneità.
In un momento in cui sempre più autori cercano di uscire dai confini “nazionali” – sia geograficamente sia linguisticamente – il progetto di Astronauta si inserisce in questa tendenza: cinema dal basso (con comunità locali), ibrido tra fiction e documentario.
Un cinema universale.  Astronauta
In Italia, il cortometraggio ha una tradizione forte ma spesso resta marginale rispetto al lungometraggio: rappresenta un terreno di sperimentazione, di scoperta. Che un regista‑produttore come Giampà scelga il corto come prima opera propria è segno che il formato viene visto non solo come “passaggio” ma come espressione autonoma.
Inoltre, la scelta di raccontare un micro‑mondo concreto (la giungla, una comunità taglialegna) e inserirvi un elemento di apertura – il sogno della luna – è sintomo di un cinema che non si accontenta del locale, ma cerca l’universale.
Astronauta è un cortometraggio che merita comunque  attenzione: innanzitutto per la forza del suo progetto (luogo raro, attori non professionisti, co‑produzione internazionale), e poi per l’ambizione narrativa (mescolare realtà e immaginazione, quotidiano e desiderio).
Allo stesso tempo, il film si porta dietro le sfide proprie di questi tipi di operazioni: mantenere coerenza, evitare semplificazioni, trovare un equilibrio tra concretezza e simbolo, ottenere visibilità oltre il giro festivaliero.
Il corto ha una valenza significativa soprattutto come esperienza di cinema “altro”, capace di muoversi tra mondi e registri, e offre uno spunto potente: come raccontare la speranza (la luna) in un contesto che sembra non lasciarla spazio?
Con l’equilibrio giusto, potrebbe essere anche un ponte verso quel lungometraggio futuro che promette di ampliare il racconto.